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IL MOVIMENTO... QUELLO SCONOSCIUTO
Publie le mercoledì 8 settembre 2004 par Open-Publishing1 commento
Ogni tanto, periodicamente, qualcuno torna ad implorare il movimento.
Questo movimento, che tutti cercano in qualche modo di incanalare in qualche ambito confacente alle aspettative di ciascuno o tutto proteso a qualche obiettivo, che è l’obiettivo personale o di qualche partito, gruppo o...
Per cui quando spontaneamente esplode qualcosa quasi tutti cercano di indirizzarla verso quell’obiettivo principale che si sono preposto, e quando non ci riescono se ne tirano fuori in qualche modo.
Dopo la grande (numericamente parlando) manifestazione contro la guerra in Iraq, immediatamente precedente lo sganciamento dei primi missili, quasi tutto il ceto politico si è autoconvinto che il movimento abbia una specie di missione da compiere,
e cioè di sconfiggere l’imperialismo americano. Per cui, se il movimento non si esprime su quei temi, vuol dire che non esiste, se invece riesce a fare una qualsiasi grande manifestazione allora vuol dire che esiste.
Beh, almeno su questo, finalmente si sta creando una consapevolezza abbastanza generalizzata: il movimento non esiste.
Ma se questo è un dato bisogna cercare di capire da che cosa lo si ricava: lo si può forse ricavare, come qualcuno fa,
per il fatto che esso non si è mobilitato per la salvezza di Baldoni?
La nostra risposta è no. Certo, chi della vicenda irakena ha fatto il centro del suo intervento politico, qualche passo lo doveva fare, perlomeno uguale al passo fatto per la salvezza dei 3 sbirri a pagamento, mentre per il povero giornalista,
a parte qualche piccolo editoriale politicante non si è fatto nulla; ma da questo a decretare la morte del movimento
per l’assenza da questa vicenda pure tragica, ce ne corre.
Il movimento non esiste non per questo, ma per il fatto che perlomeno da Genova (anzi qualche mese prima)
esso non riesce più ad avere una capacità di porsi come alternativa radicale all’esistente.
Il movimento di Seattle era nato non come una tifoseria antiamerikana, ma era per esprimere la sua volontà di combattere
contro una tendenza capitalistica, che era quella di uniformare alla logica del profitto l’intero pianeta,
costringendo tutti i vari paesi ad accettare le regole del capitale monopolistico occidentale.
Ed infatti era un movimento composito, capace di dare risposte differenti, ma convergenti sull’esigenza di contrastare questa famosa globalizzazione. Per cui si vedevano i contadini francesi, ma anche quelli indiani lottare insieme ai migranti che lottavano contro le esclusioni degli stati-fortezza occidentali o insieme ai piqueteros argentini o i sem-terra brasiliani e i giovani del mondo occidentale che rifiutavano l’omologazione del denaro e del profitto.
E naturalmente tutti insieme lottavano anche contro le aggressioni americane contro i paesi non completamente omologati:
ma non era una guerra di resistenza, era una guerra d’attacco contro un sistema putrescente.
Insomma c’era un Movimento.
Ma stiamo parlando di un passato remoto, perché ormai quel movimento non c’è più da molto tempo.
Quel movimento è stato smantellato, e non dal nemico ufficiale, ma soprattutto da quel nemico che marcia alla tua testa, che ha cercato (e c’è riuscito) di ingabbiarlo, per trasformarlo da movimento in lobby elettorale.
Con questo non vogliamo certo dire che il Potere non ha fatto nulla per fiaccare il Movimento, anzi!,
ma che il Potere si muova, utilizzando tutte le armi a sua disposizione, dalla precarizzazione, al controllo sociale, alla repressione, alla guerra, è normale, anzi se non lo faceva voleva dire che quello per cui il Movimento lottava era in qualche modo confacente agli interessi del Capitale.
Quello che non dovrebbe essere normale, ma che purtroppo lo è diventato, è che il ceto politico incuneato nel Movimento
(e che grazie al Movimento ha fatto la sua fortuna politica) ha pianificato lo smantellamento del Movimento stesso.
Un Movimento ha la sua punta di forza nella sua eterogeneità, nel fatto che in esso convivano anime diverse, con aspirazioni diverse, con sensibilità diverse e con modi diversi di esplicare la sua voglia di lottare.
Non è un Partito, che obbedisce a direttive e secondo quelle direttive si muove.
Le decisioni non sono prese dall’alto, ma nascono nell’azione, ed è nell’azione che si ha una sintesi, provvisoria, fra le diverse sensibilità. Per cui lo stesso Movimento è capace in alcune situazioni di usare l’arma della resistenza passiva, in altre situazioni l’arma dell’azione diretta. E’ quella che una volta si chiamava intelligenza collettiva, che non risponde agli ordini di un segretario generale, né, tanto meno, a calcoli partitici elettoralistici, ma soltanto alla capacità di coniugare
i rapporti di forza ai progetti che si vogliono ottenere.
E, invece, proprio in occasione di Genova ci fu la violenta prevaricazione non violenta dei lillipuziani,
che decretando a tavolino il decalogo del movimento, di fatto lo frantumarono e lo esposero a derive settoriali e ghettizzanti.
Con gli avvenimenti successivi di Genova, con i comportamenti sbirreschi di molti, mediatici di altri, con le successive compartimentazioni del resto delle componenti, la fine del Movimento è cosa fatta.
E chiaramente saltò la capacità del Movimento di coniugare una visione planetaria degli accadimenti con un agire
che invece era locale. Si passò in parole povere dall’intervento nel reale contesto di tutti i giorni, all’intervento spettacolare nei momenti mediatici, proprio mentre il nemico faceva capillare il suo attacco.
E allora mentre il Potere spettacolarizzava un aspetto del suo intervento (la guerra), contemporaneamente sferrava un attacco feroce in tutti gli altri aspetti della vita sociale.
In questo modo fiaccava man mano le capacità di resistenza del Movimento, che man mano si ritrovava non più a determinare il terreno di scontro, ma soltanto a fare da tifoso in uno scontro che non era il suo, mentre il Capitale riconquistava pian piano il terreno perduto da Seattle in poi.
Ci spieghiamo ancora più chiaramente: se da Seattle a Genova il Movimento era riuscito a fermare l’avanzata degli OGM, se i sudafricani ed altri paesi non occidentali avevano potuto contrattare il prezzo dei farmaci anti-HIV,
se era nato un forte movimento mondiale contro la rapina dei semi, per fare solo alcuni esempi, dopo Genova,
con la conquista da parte dei “nonviolenti” del Movimento italiano si è man mano passati all’abbandono di tutte le tematiche,
per arrivare all’appiattimento del Movimento prima italiano e man mano mondiale, sul problema della pace e del non-intervento.
Questo aveva portato il Movimento a fare le scelte di campo tra due mali, certamente diversi nei rapporti di forza, ma due mali. Stiamo naturalmente parlando del male yanquee, nazionalista ed anche imperialista, e il male del nazionalismo religioso irakeno, che ha preso la testa della resistenza irakena. Diciamo due mali, in quanto materialmente distinti ed anche, militarmente contrapposti, ma in realtà si tratta di un male solo, visto che in Iraq non si confrontano due visioni del mondo diverse, ma due leadership possibili per il Pianeta, ambedue nazionaliste, ambedue con ambizioni imperiali.
Non ci soffermiamo sulla volontà di potere americana, che è sotto gli occhi di tutti, al punto che per spiegarla
dovremmo ripetere cose già troppo volte ripetute; preferiamo soffermarci su quella islamica.
E’ infatti una fregnaccia, divulgata peraltro in malafede, quella che ci vuole presentare un popolo irakeno oppresso solo dagli occidentali, sostanzialmente proletario e anticapitalista.
In Iraq c’è una borghesia abbastanza forte, arricchitasi col petrolio, che da tempo sogna di diventare il fulcro
di uno stato islamico esteso non solo nel medio-oriente e nei paesi arabi, ma tendenzialmente anche in molte zone
dell’Africa e in altri paesi asiatici. E naturalmente anche in alcune zone dell’Europa, come dimostra la vicenda kosovara, e nei paesi del Caspio, come dimostrano le vicende cecene e afghane.
Non è una tendenza imperiale chiaramente all’altezza del potere occidentale e soprattutto (militarmente parlando) di quello americano, stiamo forse a livello dei vecchi sub-imperi di una volta, ma sicuramente stiamo parlando di un regime
espressione di una sorta di capitalismo arabo.
La stessa cosa, per certi versi, la possiamo dire sui palestinesi.
La nostra naturale simpatia verso i palestinesi, cacciati dalla propria terra dagli ebrei, non deve farci dimenticare che anche i palestinesi sono dominati da una borghesia, assetata di proprietà e di profitti, magari da perseguire (in futuro)
con l’alleanza con la borghesia israeliana.
E’ chiaro che trattandosi di scontro fra borghesie, è più facile vedere e criticare quelle più forti, mentre restano nell’ombra
quelle più deboli: ed è per questo che è naturalmente più facile essere filo-palestinesi che filo-israeliani, più facile essere per la resistenza irakena che essere per gli occupanti americani, ma questo naturale sentire diventa sempre più fievole col progressivo imbarbarimento dello scontro in atto, e con la caratterizzazione sempre più marcata dello scontro in chiave nazionalistica
e peggio ancora religiosa.
E allora che c’è di strano se il movimento risponde sempre meno agli appelli periodici a dire la sua sul tema?
Ormai tutti dovrebbero aver capito che il movimento non sente quella battaglia come una sua battaglia, la sente estranea,
lontana e quindi non ci si appassiona.
D’altronde è pure naturale: perché mai il movimento si dovrebbe sentire più vicino ad un integralista sciita come Al Sadr,
piuttosto che al bovaro del Texas? Perché dovrebbe preferire i leaders di Hamas al macellaio Sharon?
Perché dovrebbe preferire Al Qaeda a...?
Eppoi perché il Movimento dovrebbe preferire? Non è in base a questo suo preferire o non preferire che si può determinare l’esistenza o meno del Movimento. Un Movimento potrebbe anche esistere, pur rifiutandosi di preferire, se continua a portare avanti nella pratica un suo progetto di trasformazione reale autonomo. Mentre sicuramente non esiste se si limita
a fare da tifoso in conflitti determinati da altri, e da altri combattuti.
Un movimento esiste solo in quanto scende in campo, con i propri obiettivi e con i propri strumenti, atti a conseguire quegli obiettivi: non esiste un movimento di tifosi.
E allora il nodo sta qui: quali sono gli obiettivi del movimento che nasce e si sviluppa in un determinato paese?
Se c’è un movimento con queste caratteristiche allora il Movimento esiste, altrimenti è un simulacro dietro cui si nascondono
alcuni per ingigantire il loro ruolo di tifosi.
E allora diciamola questa amara verità: IL MOVIMENTO NON ESISTE!
Qualcuno adesso rinfaccerà la bella manifestazione americana di pochi giorni fa, e facendolo dimostrerà ancora una volta la propria malafede, oltretutto stupida. Perché intanto quella non era una manifestazione di tifosi, ma era l’espressione di uno stimabile disfattismo di una parte della società americana, che si opponeva, in America, all’ideologia imperialista dell’altra parte della società americana al potere. Si trattava insomma di una sorte d’opposizione interna allo stato americano.
Naturalmente, poi, bisognerà vedere quanto questa opposizione sia sganciata da risvolti elettoralistici e sia
un’opposizione radicale all’ideologia dominatrice, che è prerogativa di tutto il ceto politico americano,
di destra o di sinistra che sia, ma è indubbio che il movimento americano si trova tutti i giorni a fare i conti con un’ideologia di guerra preventiva, che è il risultato, ma anche il fulcro dell’economia americana che su quest’ideologia fonda la sua (peraltro drogata) ripresa attuale. Per cui è logico che il movimento americano proprio nell’opposizione a quest’ideologia di guerra e di dominio trovi il centro del suo intervento.
In Europa, e nello specifico in Italia, la situazione è diversa: è vero che il sistema politico italiano partecipa a questa guerra,
ma non esiste un’ideologia guerrafondaia nella società, bensì un’indifferenza totale verso questo conflitto.
Berlusconi non ha tifosi in questa avventura, ma contemporaneamente non ci sono tifosi contro questa avventura;
anche perché questa avventura è stata presentata da tutte le parti come una specie di guerra finale fra due civiltà,
fra due mondi.
Bene: in gran parte del mondo questa guerra non è vista come la guerra finale fra due mondi, ma come una
delle tante guerre fra diversi figli di puttana e quindi non ci si appassiona.
E quindi è logico che non nasca un Movimento fondato su questa scelta di campo.
Ma tanto è come parlare alle pietre: i tifosi continueranno a programmare manifestazioni contro la guerra a tamburo battente
e lo faranno, anche accorgendosi che queste manifestazioni saranno sempre meno seguite.
Ma è un gioco, appunto! Un gioco, fra l’altro, che sarà finalizzato soprattutto per garantire visibilità ai tifosi,
più che a sostenere sul serio questa o quella tesi. La dimostrazione di ciò già si è avuta nella manifestazione del 20 Marzo, e probabilmente si vedrà anche nella preannunciata manifestazione del 25 (se non erriamo) Settembre.
Infatti si è arrivati il 20 Marzo all’assurdo di vedere nella stessa manifestazione quelli che volevano appoggiare la resistenza irakena e quelli che urlavano no alla guerra, no al terrorismo; e fra quelli che volevano appoggiare la resistenza irakena
c’erano i filo-Saddam, i filo-Sciiti e così via. Insomma un gran pateracchio, che però un mezzo risultato lo ha avuto: una manifestazione “grossa” (numericamente parlando) a cui tutti potevano affermare di aver partecipato. Tutti, eccetto uno: il Movimento, tanto decantato, ma inesistente.
Infatti i milioni di persone del Febbraio 2003 erano diventate centinaia di migliaia il 20 Marzo per ridursi a decine di migliaia
nella manifestazione di Giugno.
E fin qui tutto sarebbe normale. Non è certo da ciò che si può ricavare l’inesistenza del Movimento.
Un Movimento avrebbe tutto il diritto di non partecipare ad uno scontro, che non gli appartiene. Anzi sarebbe del tutto normale che un Movimento si rifiutasse di fare il tifo per una o per l’altra parte in uno scontro di poteri.
Se possiamo affermare che oggi un Movimento non esiste è perché non esiste più un soggetto autonomo e radicale, capace di criticare e mettere in discussione il sistema economico e politico esistente. Esistono alcune realtà che si muovono in questo modo, ma ormai non esiste più un Movimento con queste caratteristiche. Anzi questo è talmente vero,
che non solo il “Movimento” non è in grado di esprimere più un potenziale di critica e di trasformazione dell’esistente, ma è rimasto impotente anche di fronte alla reazione del Potere, che con la complicità di partiti e similari ha scompaginato la forza di quel Movimento, che da Seattle a Genova aveva influenzato i processi economici del Pianeta.
Infatti, mentre i tanti guru del movimento lanciavano appelli alle periodiche manifestazioni pro-visibilità dei guru nascosti
dietro la bandiera irakena, il Potere consolidava il suo dominio, in Italia, in Europa, nel Mondo.
Non c’è stata soltanto la guerra preventiva del bovaro texano a minare la forza del Movimento,
anzi per certi versi questa è stata soltanto la mazzata finale ad un movimento ormai spompato dagli appetiti cannibaleschi
di chi si stava cibando del Movimento stesso.
Prima di Genova c’erano già le guerre, preventive e no, scatenate dall’Occidente per normalizzare il Pianeta. Eppure il Movimento non facendosi chiudere nel ruolo di tifoso per l’una o per l’altra parte,
ma affrontando il Potere sui terreni che gli erano più congeniali, dall’antirazzismo al rifiuto degli OGM, dalla difesa dei semi
contro le rapine delle multinazionali alla lotta contro inceneritori e tutti gli altri meccanismi di morte della società capitalistica,
era riuscito a mettere in discussione la stessa globalizzazione imposta dalle multinazionali occidentali.
Non è stata quindi la guerra a distruggere il Movimento: la guerra d’Iraq ha soltanto messo in luce l’inconsistenza
e l’impotenza di un Movimento, che era passato da una critica radicale al sistema ad un’implorante richiesta di asettica pace, sponsorizzata dai papisti e dalle quinte colonne dei partiti riformisti all’interno del Movimento, lillipuziani (ma non solo) in testa.
Quello che ha distrutto il Movimento è stato la fine di una condivisione, di una complicità fra le varie sensibilità del Movimento stesso.
Quello che ha distrutto il Movimento è stata la consegna dei compagni nelle mani repressive di un sistema che
si diceva di voler cambiare.
E, infatti, il risultato è sotto gli occhi di tutti: il “Movimento” non si preoccupa più di lottare contro gli OGM e nemmeno di contestare i G8, G7, Commissioni Europee o quant’altro; il Movimento viene periodicamente chiamato ad oceaniche (sempre meno oceaniche, come abbiamo visto) manifestazioni, in cui la prima preoccupazione dei guru è di evitare “provocazioni”
e quindi incidenti proprio quando magari si manifesta per sostenere resistenze in Iraq o in Palestina, che invece vengono appoggiate proprio per la loro capacità di creare incidenti al Potere occidentale.
Insomma l’importante non è che ci sia la pacificazione, ma che ci sia la pacificazione in occidente, dove gli incidenti sono provocazioni, mentre in Iraq sono legittima resistenza: non ci sporchiamo le mani, tanto possiamo sempre sopravvivere,
cibandoci di quelli che, lontano da noi, si sporcano le mani.
In questo modo si ottiene il massimo di visibilità col minimo rischio, anzi senza rischio, se si ha l’accortezza di concertarsi col governo e gli sbirri. (Ogni riferimento è puramente voluto).
E allora è arrivato il momento che ognuno si assuma le sue responsabilità e la smetta di piangere, perché il Movimento non risponde più agli appelli per manifestazioni di visibilità e neanche agli appelli di solidarietà.
Negli ultimi tempi si sono sprecati gli appelli più o meno lacrimosi alla solidarietà per questo o quel compagno colpito dalla repressione: cosa persino comprensibile, visto i tempi che attraversiamo. Ma ultimamente arrivano alcuni di questi appelli, che chiedono soldi e si lamentano che non arrivano soldi per quei compagni che chiedevano il diritto al dissenso o alla
disobbedienza, dimenticando che loro per primi hanno dato l’input a questa caduta di solidarietà quando ad essere colpiti
erano gli altri, i cattivi, insomma quelli che si additavano agli sbirri durante le manifestazioni.
Mettiamocelo in testa tutti: ORMAI IL MOVIMENTO NON ESISTE, L’AVETE SMANTELLATO.
E’ inutile piangere; si può certo cercare di ricostruirlo un Movimento, e noi cercheremo di dare un piccolo contributo per farlo;
ma piangere per la sua assenza quando ci serve, dopo averlo divorato non serve a niente.
Come non serve a niente “appoggiare” a chilometri di distanza con sclerotiche manifestazioni di solidarietà questa o quella resistenza, con la cui direzione non abbiamo in sostanza alcuna vicinanza.
L’Avamposto degli Incompatibili
Messaggi
1. in risposta di: il movimento, quello sconosciuto, 8 settembre 2004, 14:36
Mi dispiace, troppe parole per non stringere fatti. Mia figlia e’ una volontaria da solo due anni e so che sputa sangue, ha lavorato nei centri per tossici, nelle bidonville, nel deserto algerino...ed e’ ancora poco, altri sono volontari o attivisti da dieci anni o da 30. Non lavorano meno di prima, non sono spariti, hanno una visibilita’ in luoghi che non sono i media tradizionali ma il loro impegno non e’ calato e semmai e’ aumentato e non e’ commisurabile con la visibilita’ mediatica indottrinata o con il rapporto con la politica ufficiale, non hanno un PIL commisurabile, non hanno spot o caroselli, non parlano a reti unificate o a media unificati, il loro lavoro e’ difficilissimo e lento e graduale ma va in una sola e semplice direzione, verso il progresso. Per questo un articolo come il tuo alla fine risulta ambiguo e controproducente e finisce col dimostrare che chi lo ha scritto non e’ riuscito a togliersi dalle tecniche tradizionali mediatiche ed e’ un pacifista a meta’, forse solo un piazzaiolo o uno di quelli abituati a fare dialettica piu’ che a rimboccarsi le maniche. Francamente un articolo cosi’ avrei preferito non leggerlo, non e’ lusinghiero per quanti si fanno un culo cosi’. I volontari, gli attivisti e i pacifisti che danno tutto il loro tempo e la loro energia non meritano questo. Provo un senso di profondo dolore a leggere queste cose. Non si puo’ stare per meta’ avvinti alla simbolica del mercato e per meta’ a parlare di mondo nuovo. Pensa che cosa avrebbero detto i parenti e gli amici delle due Simone a leggere le tue parole. Ne provo vergogna. Ci sono scelte che sono radicali oppure si resta in luoghi ambigui di non chiarezza di intenti e di idee. Preferisco sempre e ancora la pacifista giapponese che dopo un mese di prigionia irachena e’ tornata esattamente al suo posto di lavoro, offrendo ancora e di nuovo la sua vita con la stessa semplicita’ e lo stesso eroismo inconsapevole di quando aveva cominciato. C’e’ chi parla di ideali senza capire bene cosa siano. L’unico modo di parlare di cambiamenti e’ offrire se stessi per attuare quei cambiamenti. Chi sta su campo e da’ se stesso al tentativo di cambiare il mondo non fa bilanci, stringe i denti e va avanti e tu non gli sei di nessun aiuto, non riesci nemmeno a capire cosa quell’attivista sta facendo anche per te. Qui, oggi, solo le opere contano. Tutto il resto e’ logorrea.
Scusami, non volevo essere sgarbata, probabilmente sei una buona persona, ma comincio a essere stufa di questi discorsi che sono identici nell’estrema destra guerrafondaia e mercantilista come sulle pagine dell’Unita’ o sulle labbra di chi parla di cambiamento ma solo con la bocca. A giudicare e criticare son buoni tutti. Prova a rimboccarti le maniche e vedrai il mondo da un’altra prospettiva e avrai rispetto per chi da’ tutto se stesso in cambio di niente.
Viviana