Home > IL RICCIO E LA NONVIOLENZA

IL RICCIO E LA NONVIOLENZA

Publie le lunedì 23 febbraio 2004 par Open-Publishing

Lettera ai comunisti

Capita sempre più spesso, purtroppo, di vedere sulle nostre strade tanti ricci schiacciati dalle automobili. Un riccio agisce come ha sempre fatto per autoconservarsi: si chiude, si arriccia appunto, non fugge e mostra gli aculei a tutto tondo. Così aveva sempre creduto di potersi difendere meglio dalle minacce del mondo e, in qualche modo, funzionava.

Ma il suo sistema automatico ed istintivo di difesa non poteva prevedere le automobili.

Ed ora il riccio muore proprio perché, davanti a questi nuovi mostri, continua a difendersi nell’unico modo che sa.
Mi-vi chiedo: riuscirà a cambiare le sue reazioni ? Potrà ‘riapprendere ad apprendere’ dalle sue nuove esperienze ? In quanto tempo ? Oppure proseguirà nel suo solito modo e si estinguerà ?

Questa immagine mi è apparsa difronte agli occhi, chiara e luminosa, quando ho letto –al mio rientro dal Senegal- gli interventi su ‘violenza e nonviolenza’, meritoriamente innescati da alcune interviste al vostro segretario…
E mi è venuta voglia di scrivervi questa lettera.

Vorrei partire da quelli che considero i molti ed importanti punti di vicinanza attualmente già esistenti tra di noi.
Ne ho scelto quattro, alla luce delle esperienze comuni svolte in questi ultimi anni nel movimento.

PUNTI D’AFFINITA’ ?

1. L’INSODDISFAZIONE SULLA DEMOCRAZIA REALE
Una democrazia parlamentare, fondata sulla delega e sul principio di maggioranza o addirittura su un sistema maggioritario (per non parlare dell’ONU, in cui ancora vige il potere di veto), non è sufficiente a garantire una reale partecipazione ed un potere davvero effettivo dei cittadini, delle minoranze e delle differenze. Le riflessioni capitiniane sull’ ‘omnicrazia’ (potere di tutti e di ciascuno) ed una sperimentazione su ampia scala del ‘metodo del consenso’ possono rappresentare un’aggiunta nonviolenta decisiva per ‘democratizzare la democrazia’.

2. ANTIMILITARISMO ED ANTICONSUMISMO
Il rifiuto integrale della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali da parte degli stati, la necessità di procedere al superamento di un’economia drogata dalle spese militari ed alla riconversione della produzione bellica; l’urgenza di cambiare i nostri stili di vita, di ridurre e trasformare i nostri consumi, di utilizzare energie rinnovabili e risorse riciclabili, di porre l’ambiente al centro delle scelte di programmazione economica.

3. ALTERNATIVE ALLA LOGICA SECURITARIA
La non accettazione della ‘sicurezza’ come unica modalità d’approccio atta a garantire un’adeguata ‘protezione’ dei nostri contesti di vita; scegliere di perseguire, invece, una logica di costruzione della fiducia relazionale e dei legami sociali nella vita quotidiana; un’attenzione critica ai processi neocoloniali di violenza e di ingiustizia e una forte apertura verso l’immigrazione proveniente dal Sud del mondo.

4. LA VALORIZZAZIONE DEL CONFLITTO E DELL’AZIONE
La pace non è quiete, la nonviolenza non è passività ed inazione.
Anzi, al contrario: il valore del conflitto e dell’azione diretta costituiscono il fulcro della nostra analoga visione della società e dei suoi processi.
Le pratiche di non collaborazione attiva, di obiezione e di disobbedienza civile potrebbero rappresentare un luogo di convergenza, anche di massa, e divenire così molto più credibili ed efficaci di quanto non lo siano tuttora (lasciando così ancora eccessivo spazio, al momento, a forme di lotta spesso violente e (auto)distruttive).

Tutto questo ha a che vedere con il patrimonio nonviolento e si incrocia, pur tra contraddizioni e differenze, con i processi già da tempo avviati, anche all’interno del movimento, da chi lavora per la ‘rifondazione’ comunista.
Credo e spero che il ‘salto’, esplicitato di recente da Bertinotti, ma fondato su esperienze di contaminazione che sono già in corso da tempo (zapatismo, disobbedienza, azioni dirette…), possa significare però anche l’inizio di un processo di discussione e di confronto su questioni ancora tra noi controverse. Anticipatamente rispetto al seminario nazionale di Venezia di fine febbraio, vorrei provare qui ad individuarne alcune.

PUNTI DI DIFFERENZA ?

1. ETICA/POLITICA
Il nesso mezzi-fini e la coerenza-integrazione tra etica e politica rappresentano la sostanziale novità e peculiarità della proposta nonviolenta rispetto alle altre tradizioni.
Immagino che quando Bertinotti dice, con effetti rassicuranti su buona parte di voi, che la scelta per la nonviolenza non implica una sua connotazione ‘etica’, voglia dire che non è necessario assumerla come ‘ideologia generale’ della vita personale, perché diventi comunque un’opzione univoca e non ambigua della strategia degli attivisti e del partito; se non significasse questo ( e glielo/ ve lo chiedo), e ripristinasse invece una separazione tra dimensione etica e politica, non capirei allora in cosa consisterebbe il ‘salto’, non vedrei più la ‘novità’…

2. LOTTA DI CLASSE/ RIVOLUZIONE NONVIOLENTA
Appare evidente, credo anche a dei comunisti, che il mondo presenti oggi una complessità di intrecci, vincoli, sovrapposizioni, complicità molto diversa dal passato.
La proposta nonviolenta, a partire da questa consapevolezza, rimette in discussione due capisaldi della teoria-prassi rivoluzionaria comunista tradizionalmente intesa (e sono ben consapevole dei passaggi che Rifondazione ha già compiuto anche su questo): la presa del potere e la lotta di classe.
Questo non significa assolutamente che essa trascuri la dimensione del potere e della lotta né che si rifugi in generici ‘riformismi’ o neutrali ‘interclassismi’, anzi.
Ma i processi di trasformazione degli squilibri di potere e di ricchezza vengono letti e affrontati a partire da altre premesse: la rivoluzione non può più consistere nella conquista armata del Palazzo da parte di una classe che prende così il sopravvento e la supremazia su un’altra.
La rivoluzione vera sta proprio nel superamento degli squilibri e delle ingiustizie nei confronti di chiunque, ripristinando equivalenze di dignità tra tutti, senza discriminazioni per nessuno.
Con un’attenzione nuova e profonda verso le ‘vittime’, ma anche verso i ‘carnefici’ (su questo abbiamo molto ancora da imparare dalla grande lezione di Mandela e Tutu in Sudafrica…).

3. RESISTENZA/AUTODETERMINAZIONE
E’ un tema spinoso, che ci chiama a cambiamenti emotivi e cognitivi profondi e scomodi.
La posizione su cui mi pare ci si attesti al momento è questa: lasciamo ad ogni popolo l’autodeterminazione attraverso cui scegliere le sue pratiche di lotta, violente o nonviolente che siano. A corollario di questa tesi: se un popolo sceglie la lotta armata (anche con effetti collaterali distruttivi verso la popolazione civile) non si tratta di terrorismo, ma di legittima resistenza all’invasore e va sostenuta.
Nell’ordine, direi questo (e mi/vi domando):

  siamo davvero sicuri che la lotta armata sia una ‘scelta’, fatta dopo aver valutato ed esperito delle ‘alternative’ ? Non pensiamo che, fatta la scelta, sia poi ancora più difficile, anche per altri (alleati o avversari) cambiare strada e farne di diverse ?

  una strategia solo militare di resistenza ha davvero probabilità di successo ? (vedi le riflessioni e le scelte di Marcos, a questo proposito). E, laddove vincesse, su quali basi ‘culturali’ potrà poi strutturare un sistema di vita non militarizzato e non violento al termine della guerra ?

  in un mondo globalizzato, che vive di interdipendenza e relazioni, è possibile affidare ad un singolo popolo e limitare ai suoi confini nazionali una scelta che ha poi ricadute su tutti noi (aumento della violenza, terrorismo, militarizzazione della vita sociale…) ? Non esistono situazioni in cui sarebbe preferibile l’intervento di terze forze non armate, se i protagonisti primi risultano incapaci di non farsi guerra ?

Sono domande che mi mettono in ansia, perché sento che le possibili risposte mi costringono ad uno sforzo ulteriore verso un approfondimento delle mie idee e convinzioni.
Immagino sia così anche per voi. Ecco perché spero che la discussione, su questi ed altri punti, prosegua con spirito d’apertura e franchezza tra noi, così come è iniziata.

Saluti rivoluzionari e nonviolenti
Enrico Euli
del Gruppo di lavoro tematico sulla nonviolenza di Rete Lilliput