Home > INCONTRO PER PROGETTARE INIZIATIVA SULL’IRAQ
Come già vi avevamo annunciato per il prossimo 16 settembre Equinozio ha progettato una iniziativa sull’Iraq in collaborazione con l’associazione "Un Ponte per...". La nostra intenzione è quella di cercare di riaprire un dibattito sulla ’guerra infinita’ e contemporaneamente di avviare un canale di contatto con una campagna di cooperazione con le scuole dell’Iraq.
SAREBBE PERCIO’ UTILE CHE QUESTA INIZIATIVA NON FOSSE PROMOSSA SOLO DA NOI MA DA TUTTE LE REALTA’ LUCCHESI CHE HANNO PARTECIPATO AL MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA.
PER PROGETTARE QUESTO INCONTRO PROPONIAMO PERCIO’ DI VEDERCI
MERCOLEDI’ 25 AGOSTO ALLE ORE 21 ALL’ARCI DI LUCCA.
Qui sotto trovate una breve illustrazione della campagna promossa da "Un ponte per.." che vorremmo contribuire a sostenere.
Un saluto a tutti
Fabio Lucchesi
Il 9 Aprile 2003 George Bush annuncia la fine della sanguinosa guerra in Iraq, portata avanti dalla "coalition of the willing" e iniziata il 20 Marzo
Dopo la seconda guerra mondiale l’Europa appariva come un continente sorto dalla resistenza, un valore ed un’idea per nulla astratta che indicava la lotta del popolo contro il fascismo, ma in senso più ampio contro un’occupazione del suolo nazionale. Dopo l’esperienza tragica della guerra mondiale, nessun governo occidentale avrebbe esplicitamente sostenuto la legittimità di una invasione armata. Colonialismo, conquista e occupazione erano diventate parole tabù. Oggi quel tabù è stato definitivamente abbattuto.
Il colpo di grazia lo ha dato l’arroganza statunitense nel portare avanti il conflitto iracheno, ma le prime falle in questo tabù non erano state aperte dalla destra neo-conservatrice di Bush, bensì dalle forze socialdemocratiche che, come è accaduto in Kosovo, con il baluardo ipocrita della guerra umanitaria e di pace, hanno distrutto le fondamenta culturali e storiche di questi tabù.
La guerra in Iraq è stata l’espressione più evidente di una politica imperialista maturata negli anni della guerra fredda, e che è esplosa dopo il crollo dell’URSS con la prima guerra in Iraq e che è proseguita attraverso numerosi interventi militari, drammatici, ingiusti, e illegittimi, che purtroppo spesso sono avvenuti sotto l’egida dell’ONU, interventi militari che hanno preso vari nomi, dal più audace "guerra" all’ipocrita "missioni di pace", ma che comunque fanno tutti parte di un unico disegno.
Se un tempo la guerra era la "prosecuzione della politica con altri mezzi", oggi la guerra è divenuta una costante, immancabile, della politica, un elemento necessario al mantenimento del potere. La guerra al terrorismo non è che un pretesto. Se fosse stata la priorità sconfiggere i terroristi (definizione sempre più ampia, un contenitore in cui infilare tutti i nemici della "libertà americana"), allora ci troveremmo di fronte ad un clamoroso abbaglio. La campagna antiterrorismo di Bush è caratterizzata, come ha scritto Olivier Roy su le Figaro, da "una visione strategica errata e preconcetta i cui obiettivi sono stati definiti prima dell’11 settembre e sono precisamente i cosiddetti Stati canaglia, e da qui la definizione della lotta al terrorismo in termini di guerra, arma inutile contro il terrorismo" ma che semmai lo alimenta.
Non sono mai esistiti dopoguerra facili, "costruire la pace" non è mai semplice, ma, senza dubbio, il dopoguerra dell’Iraq è estremamente intricato. L’unilateralismo devastante di questa guerra sanguinosa, la particolare situazione geopolitica dell’Iraq, le grandi differenze preesistenti nella popolazione dell’antica Mesopotamia, e tanti altri fattori stanno determinando un groviglio intricato da cui è difficile uscire, un groviglio di sangue morte e distruzione, che sta avendo gravi ripercussioni sul tessuto sociale iracheno.
Decine di morti ogni giorno, da tutte le parti: civili innocenti, forze occupanti, e iracheni combattenti o terroristi. Il lungo dibattito sulla differenza tra terrorismo e resistenza è molto complesso, e facilmente attaccabile dagli attenti strumentalizzatori e demagoghi guerrafondai.
Le affermazioni "lo avevamo detto" "avete visto?" non servono a nulla e non consolano.
Nemmeno una grande moltitudine, una "superpotenza", come il popolo pacifista, è riuscito a fermare questa guerra, ma ha creato una cultura della pace, che seppur minata dalla continua propaganda dei mass-media, permane e darà i suoi frutti.
Per sconfiggere la guerra, il neoliberismo, e tutto ciò che ne scaturisce, infatti, l’unica strada da imboccare è fare controcultura, creare una grande opposizione culturale, una consapevolezza tale da sconfiggere l’anticultura della guerra.
Le scuole, che sono il luogo in cui si formano le future generazioni, devono svolgere appieno questo loro ruolo, diventando presidi di pace e bacini di resistenza alla guerra, portando nel mondo la cultura dell’uguaglianza, della democrazia e dei diritti.
Questi luoghi di crescita e resistenza devono funzionare ed essere accessibili a tutti in tutto il mondo. Per questo crediamo che, nel nostro piccolo, che promuovere l’alfabetizzazione, la formazione culturale e professionale dei futuri cittadini del mondo sia di per se uno strumento di pace.
Particolare valenza assume dunque proprio una missione di cooperazione internazionale in Iraq, promossa da studenti per gli studenti iracheni, per dare il nostro contributo alla ricostruzione dell’Iraq, una ricostruzione che non sia spartizione e sciacallaggio, ma creazione di pace e diritti, là dove questi vengono calpestati.