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Il 31 luglio del 1914 veniva ucciso il fondatore dell’Humanité Jean Jaurès

Publie le sabato 31 luglio 2004 par Open-Publishing


di Bianca Bracci Torsi

Un intellettuale della libertà

La sera del 31 luglio 1914 al "caffé du Croissant" di Parigi, il deputato socialista e direttore della "Humanité" Jean Jaurès veniva ucciso a revolverate dal giovane e fino ad allora sconosciuto Raul Villain, sciovinista e interventista, deciso a punire uno dei più acerrimi nemici della guerra che stava per scoppiare, l’uomo che i giornali della borghesia additavano al pubblico ludibrio come traditore della patria e amico dei tedeschi. Cinque anni dopo, alla fine del primo conflitto definito "mondiale", la Francia vittoriosa mandò assolto Villain.

Jean Jaurès, nato nel 1859 da una famiglia della piccola borghesia agraria, laureato in filosofia, insegnante, eletto deputato a 26 anni nelle liste radicali poi passato ai socialisti, era un riformista, lontano dal marxismo e dalla lotta di classe. Le battaglie che segnarono la sua vita politica e l’intransigenza con cui le condusse ne fecero un capopopolo sempre schierato dalla parte degli sfruttati e dei perseguitati, contro quel capitalismo al quale attribuiva tutti i mali del mondo, a cominciare dalla guerra. In uno scritto della maturità spiegò la sua scelta con l’impatto che, giovane deputato, uscito per la prima volta dalla sua provincia, ebbe con Parigi nella quale vide «migliaia di individui sofferenti e deprivati di tutto» subire senza ribellarsi «l’ineguale distribuzione dei beni e dei mali pur non avendo catene alle mani e ai piedi». Arrivò rapidamente alla conclusione che il capitalismo, con la forza dell’abitudine e del senso comune, aveva incatenato la mente e il cuore dei lavoratori, riuscendo anche a corrompere quella «élite proletaria» alla quale sarebbe spettato il compito di spingerli e guidarli alla rivolta.

L’affare Dreyfus lo vide schierato, a fianco di Emile Zola, in difesa del giovane capitano ebreo accusato di tradimento, anni dopo denunciò pubblicamente la copertura di alcuni membri del governo alla Compagnia universale del Canale di Panama, che aveva trascinato nel suo fallimento centinaia di piccoli risparmiatori ingannati e sostenne la necessità di un contributo statale ai coltivatori diretti, auspicando una loro «armoniosa convivenza» con la grande proprietà terriera. Il ricordo della sua infanzia campagnola, e la visione piuttosto idilliaca della vita contadina contribuirono certamente allo sdegno per le miserabili condizioni di lavoro e di vita degli operai che lo portò a chiedere la riduzione dell’orario di lavoro per i minatori, uccisi dalla silicosi prima dei quarant’anni, a difendere il diritto al lavoro dei vetrai licenziati di Carmaux con i quali creò una Vetreria cooperativa, in concorrenza con il loro ex padrone.

Ma la sicurezza del lavoro e le migliori condizioni di vita furono, per Jaurès, soprattutto la base necessaria per garantire ai lavoratori il tempo per pensare e la libertà di esprimere il loro pensiero, appropriandosi di quella «parte di sovranità che in una repubblica deve essere diritto di ogni uomo». La partecipazione alla vita politica e alle scelte dello stato, non limitata al voto, fu il vero obbiettivo di un suo famoso intervento parlamentare del 1894 per chiedere l’abolizione del divieto di occuparsi di politica per gli insegnanti, assoluto per i maestri elementari, limitato per i professori delle scuole secondarie e inesistente per i docenti universitari. Ciò comportava, afferma Jaurès fra gli applausi dell’estrema sinistra, «che in basso, per il popolo per quelli che lavorano tutti i giorni, c’è il silenzio, regolato dal meccanismo dei prefetti. Nel mezzo, nell’insegnamento secondario, una specie di organizzazione mista che non é né meccanismo né libertà. E in alto, per l’élite delle classi dirigenti, un altro privilegio, la libertà di pensiero». Concluse rivolgendo ai padri della repubblica nata dalla rivoluzione francese un appello a completare la loro opera, rendendo la repubblica "vera" cioè socialista.

Aderente alla Seconda Internazionale, Jaurès si batté per l’unità dei socialisti di qualsiasi tendenza presenti nei partiti e nei sindacati in tutta Europa, volle a sottotitolo dell’Humanité, da lui fondata nel 1904, la dizione "giornale socialista per l’unità della sinistra" e chiamò a collaborare intellettuali e dirigenti operai francesi e stranieri. Cinque giorni prima di essere ucciso, in un comizio contro la guerra a Lione, Jaures aveva denunciato le mire imperialistiche di tutti i governi europei, malamente mascherate da pronunciamenti patriottici e umanitari - un "patto fra ladri" che vedeva la Francia e l’Italia pronte a rinunciare alla difesa della libertà dei bosniaci in cambio del Marocco e della Tripolitania - e aveva ammonito che, se nella guerra dei Balcani era caduto oltre un terzo di un’armata di trecentomila uomini, la guerra che si preparava avrebbe messo in campo cinque o sei armate, per un totale di circa due milioni di soldati mandati alla morte. Parole profetiche che lo condannarono ad essere la prima vittima della carneficina che stava per cominciare, fra squilli di trombe e bandiere. Nei mesi successivi la Seconda Internazionale si sarebbe spaccata, molti socialisti avrebbero votato i crediti di guerra dei rispettivi paesi e partecipato a quello che fu definito "interventismo di sinistra". Sei anni dopo il Pcf, aderendo a l’Internazionale comunista con una scissione maggioritaria, avrebbe conquistato la prestigiosa testata Humanité facendone il suo organo ufficiale e nel secondo dopoguerra l’opera principale del socialista riformista Jean Jaurès, La storia socialista della Rivoluzione francese, diventerà uno dei testi di studio, collocato accanto ai classici del marxismo nelle librerie dei comunisti di tutta Europa.

http://www.liberazione.it/giornale/040730/LB12D683.asp