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Questo articolo è stato pubblicato dieci anni fa sull’Unità, il giorno della discesa in campo di
Berlusconi.
Il fascino pericoloso dell’uomo di Arcore
Arriva, volando sull’onda elettronica come una Mary Poppins della politica, l’uomo di Arcore.
Arriva già preconfezionato, precotto, in kit di montaggio, istruzioni incluse. Uguali come clonazioni,
parlano le cassette registrate, non l’uomo in carne e ossa: non siamo nell’era dei messaggi? E del
resto, in un’occasione ufficiale come una dichiarazione di guerra, perché sottoporsi a domande,
tanto più se si possiedono personalmente microfoni e telecamere? Così, l’Italia pre-elettorale
ascolta il sermone del replicante, magari cerca di articolarlo e spezzettarlo, ma il risultato è lo
stesso.
Forse si può partire da qui, da questa singolare scelta dell’autointervista, per cercare di
capire chi è l’uomo del destino, e di indovinare se quello splendido villone brianzolo dai viali
innevati sarà una Versailles o una Sant’Elena. Forse Berlusconi (insieme al diversissimo Di Pietro)
è il personaggio più popolare d’Italia: e anzi ci sembra di ricordare un’indagine d’opinione nella
quale precedeva - nella classifica di celebrità di tutti i tempi - addirittura Gesù Cristo.
È
diventato quasi un sinonimo: di abilità imprenditoriale, di successo rapido. Agnelli si nasce,
Berlusconi si diventa. Ecco l’esempio pratico di come chiunque, con laboriosità spregiudicata, potrebbe
diventare miliardario, tirare le fila di quel grande teatro dei burattini che è l’universo
dell’informazione e dello spettacolo, mettere in riga i potenti magari esaudendo i loro desideri, e in
fine presentarsi come il salvatore della patria, il raddrizzatore dei torti, la fata del libero
mercato, il mago che può salvarci dal fisco incontentabile, ma soprattutto dal totalitarismo statalista
e collettivista.
Piano-bar e finanza
Che si vuole di più? Di Berlusconi, gli italiani sanno tutto: la sua carriera, il suo passato di
intrattenitore da crociera, l’edilizia, i quartieri residenziali milanesi, il gran salto
nell’affare televisivo, l’infortunio della iscrizione alla P2, la conquista della Mondadori e della Standa,
l’estensione di un immenso impero economico-finanziario sia pure lesionato da debiti immani, i
successi sportivi con il Milan... C’è poco da raccontare, in una biografia così pubblica, che si
svolge tutta all’aperto, sotto gli occhi di una folla che è anche utente e spettatrice. Cosa rivelare
che già non si sappia sulle riunioni di Arcore, sulle amicizie politiche, sugli aneddoti
personali?
Berlusconi è stato senza dubbio, nel bene e nel male, il protagonista degli anni Ottanta,
decennio di ascese e cadute, di spregiudicatezze e di rampantismo, di grinta e di complotti. Oggi che
Berlusconi si ricicla, si propone come uomo nuovo, bisognerebbe ricordargli (ma si può dialogare con
una cassetta magnetica?) che mai nessuno è stato fortunato come lui nei rapporti con la vecchia
classe politica, quella che gli italiani dovrebbero essere chiamati a seppellire.
Nessuno ha goduto
dell’appoggio più diretto del lungo governo del suo strettissimo amico Craxi e dei suoi alleati
dc, durante la IX legislatura. Prima con l’assenza di leggi, poi con leggi e decreti favorevoli, il
tutto in una materia - la comunicazione - che è strettamente legata al consenso, alla
manipolazione delle idee, e quindi in ultima analisi alle scelte politiche.
Berlusconi ha avuto l’intuito e
l’abilità di non indossare un’uniforme, di non percorrere la strada maestra del fiancheggiamento. Ha
usato la benzina politica per crearsi una sua macchina particolare, colorata, sfavillante. Ha
ricercato con meticolosità i gusti, le attese, le debolezze, i desideri della platea, e ha fatto di
tutto per soddisfarli.
L’ingrediente soft
Il meccanismo è semplice e geniale: io somiglio a voi tutti, e vi do quello che chiedete e vi
aspettate, e noi tutti cresciamo insieme e ci somigliamo sempre di più. Se questo ingranaggio fosse
applicato (come accade nella storia) a pulsioni nazionalistiche, o militaresche, o etniche, o
religiose, si avrebbe un regime di tipo mediorientale o sudamericano. Ma Berlusconi, nel trasferirlo in
politica, si è portato via il suo materiale soffice: il consumo, l’applauso, il sorriso a tutta
bocca, l’ammiccamento, la risata. Non è difficile, nell’Italia melensa e immemore, trasformare tutto
questo in progetto, club di buongoverno, tricolore di Forza Italia.
Dunque, sul fondo, c’è
un’ideologia berlusconiana. Parte dal denaro, si occupa del denaro, arriva al denaro. Ma Paperone non
c’entra: ora sappiamo che l’oro è anche uno strumento di potere. Prima di tutto, per difendere l’oro
stesso, minacciato da statalismi, concorrenze, sinistrismi. Poi, per stimolare quel mondo di
marionette litigiose che, visto da Arcore o dall’elicottero della Fininvest, sembra essere il mondo
politico. Un mondo di ietti, ambiziosi, straccioni, incapaci di comunicare. Lui, Berlusconi, ha i
soldi, che da sempre muovono la politica.
Ma ha anche gli strumenti della comunicazione, che sono i
mattoni del consenso. Le idee diverse, il pluralismo? Sono utili alle aziende, muovono la scena:
non ci sarebbe Otello senza Iago, ma Iago è pur sempre il tortuoso traditore. Meglio rinchiudere
tutto nella confezione di una cassetta.Su Berlusconi sono state scritte biografie, alcune perfide,
altre agiografiche.
Disprezzo per la politica
Il suo stile sbrigativo piace a molti, che forse confondono quel carattere, così utile a un
imprenditore, per una promettente qualità politica. Sarebbe anche lungo elencare le ragioni degli altri,
di quelli che hanno riflettuto sui pericoli dell’ingresso di Berlusconi in un’area che in marzo
potrebbe arrivare addirittura al governo. Si possono diluire i propri interessi personali negli
interessi generali? Ci sarà una grave confusione fra chi sarà chiamato a decidere e chi beneficerà di
quelle decisioni?
Ci può essere lealtà competitiva se uno dei concorrenti dispone - malgrado
rinunce formali - di un grandioso apparato di imbonimento, una fabbrica di cassette e di opinioni in
cassetta? E su quale idea delle libertà, della società, dell’etica, della solidarietà, delle
passioni civili, è fondato un progetto politico che sembra scritto su un fissato bollato? Si può fondare
un movimento utile e duraturo basandolo sulla paura di qualcosa che non c’è (il comunismo), sulla
caricatura degli avversari, su fantasiose promesse fiscali, su vaghezze nominali come la
liberal-democrazia, su regole di mercato che lo stesso gruppo ha allegramente eluso e violato negli anni,
sull’unico ideale del consumo...?
Consumo di speranze, colori, musiche... La vita non è un quiz,
l’amministrazione pubblica non è le ruota della fortuna, le idee della gente non sono un karaoke. Se
il successo di Berlusconi invita a riflettere (anche sulla sua indubbia bravura) e rispecchia
un’Italia che vorrebbe essere spensierata e spregiudicata anche a costo di chiudere gli occhi, è
l’ambizione di Berlusconi il nuovo dato da esaminare, perché un uomo che ha già tutto gioca una partita
così grossa e rischiosa?
Le risposte possibili sono molte. Perché solo così può sperare di salvare
ciò che ha. Perché è sempre stato un giocatore. Perché disprezza la politica. Perché il potere che
ha non gli basta più. O, infine, perché crede in quel che dice. Fra tutte, questa, sarebbe la
risposta più allarmante. Sbaglia chi contesta a Berlusconi il diritto di impegnarsi in politica.
Sbagliano quei politici che vogliono scoraggiarlo per gelosia o per spirito corporativo. Sbaglia chi lo
attacca sui lati privati o personali. Ma sbaglia anche, chi pensa di votare per lui.
L’UNITA