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di Andrea Ricci
Il prezzo del petrolio continua a macinare nuovi record. Da mesi sentiamo ripetere
che questo o quel singolo evento è all’origine del fenomeno. Oggi è la volta
degli scontri tribali in Nigeria e dell’uragano che ha danneggiato qualche pozzo
messicano. In realtà non si è mai estratto tanto greggio dalle viscere della
terra come in questo periodo. La produzione petrolifera è ai massimi livelli
e nei prossimi mesi nuovi impianti entreranno in funzione. Eppure nulla sembra
servire.
E’ il frutto inevitabile di un modello di sviluppo energivoro, dicono gli ambientalisti.
E’ vero, ma non è tutto. Qualcun altro, che ambientalista non è, si spinge fino
a dire che non tutto il male vien per nuocere, perché il caro-petrolio costringerà al
risparmio energetico. Sarebbe, questa, un’altra prova dell’efficienza del libero
mercato.
Tuttavia, da decenni ormai sappiamo che, prima o poi, il petrolio finirà. Eppure ben poco è stato fatto per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico perché le traiettorie della ricerca scientifica e tecnologica sono dettate innanzitutto dalle convenienze politiche ed economiche. E un petrolio alle stelle non danneggia tutti allo stesso modo. Anzi, c’è chi ne trae enormi vantaggi. Non a caso ieri le azioni delle "sette sorelle" sono schizzate anch’esse verso livelli record. E poi chi controlla le vie dell’oro nero ha in mano il mondo, come ben sa l’amministrazione Bush. In termini politici è l’Europa, priva di riserve petrolifere, ad essere colpita.
In termini sociali sono coloro che vivono di un reddito fisso, innazitutto lavoratori e pensionati. Per la singola impresa è facile farvi fronte, basta caricare il maggiore onere della bolletta energetica sul prezzo finale del prodotto e a nulla varranno le solenni promesse fatte di recente per bloccare l’inflazione. E’ per chi i prezzi li subisce che non c’è scappatoia. Per questo una volta, prima che diventasse una parolaccia, esisteva la scala mobile che, difendendo il potere d’acquisto, imponeva a governi e imprese di andare oltre l’emergenza e di cercare soluzioni strutturali alle contraddizioni dello sviluppo. Era un vincolo interno alla politica economica che spingeva verso una maggiore razionalità sociale e ambientale. Oggi, invece, l’aumento del prezzo del petrolio non scatena nessuno scatto, nessuna inventiva, se non in chi quotidianamente deve far quadrare i conti della spesa con il misero salario. Certo, alla fine di tutto, la riduzione dei consumi produce stagnazione e crisi, perché lascia invendute le merci. Ma questo il mercato non lo sa o, se lo sa, è impotente.
La riconversione ecologica dell’economia non avverrà mai spontaneamente. Per questo non c’è oggi nessun motivo di consolazione da trarre dal rincaro petrolifero. Nel modello neoliberista la scarsità energetica non funge più da stimolo al progresso tecnologico, ma è fattore ulteriore di regresso storico, produce guerre, depressioni e povertà. Un altro (l’ennesimo) motivo per superarlo.
Messaggi
1. > Il prezzo del petrolio, 30 settembre 2004, 18:20
bravi bravi....
tutto dite tranne la guerra usraeliana in Iraq! complimenti
dite che il petrolio è caro perche’ lo stiamo difendendo con gli eserciti! oppure siete troppo
impegnati contro il massone pier Silvio??!!!