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Il profeta del dialogo universale: 100 anni dalla nascita di la pira

Publie le venerdì 23 gennaio 2004 par Open-Publishing

Dall’Algeria al Vietnam, da Cuba all’Africa, l’impegno di Giorgio La
Pira a favore del disarmo quale condizione necessaria per rendere
impossibile l’«olocausto atomico». Nel centenario della sua nascita,
l’eredità dell’opera di un intellettuale cattolico che credeva nella
possibilità di una «liberazione» dell’umanità rintracciabile in un
disegno profetico della storia. Un mondo fondato su principi
universali e sulla coesistenza, senza esclusioni, di civiltà e culture
diverse

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Il contesto in cui discettò e operò Giorgio La Pira era quello della
guerra fredda e dei conflitti locali dominati dagli schieramenti della
guerra fredda. Tutti i suoi ragionamenti, le sue analisi, i suoi
appelli, oltre naturalmente alle sue iniziative, si spiegano solo in
questo quadro. A distanza di tempo, sarebbe difficile e futile
adattare la sua azione e il suo pensiero alla situazione nuova che si
è andata sviluppando dopo la sua morte, avvenuta nel 1977, per i fatti
del 1989 ma non solo. Piuttosto che cercare di capire se La Pira ha
anticipato gli avvenimenti, è più funzionale allora capire La Pira
così come è stato sullo sfondo dei problemi del suo tempo. Per La Pira
 di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita - contavano
soprattutto i principi. I suoi termini di riferimento erano le grandi
svolte della storia recente: Auschwitz, Yalta, Hiroshima, Bandung. Il
mondo aveva subito profonde trasformazioni per effetto della guerra.
Prima l’era atomica. Poi l’era spaziale. Non c’erano più confini
geografici e non c’erano più limiti alle capacità di distruzione
dell’uomo sull’uomo o l’ambiente. L’avvento del Terzo mondo aveva
ampliato al di là del limes convenzionale gli spazi della politica e
della cultura.

Tutt’insieme questi processi avevano aumentato, non ridotto, il ruolo
delle grandi potenze. La Pira non si illudeva che ne fosse derivato un
livellamento. Se mai le grandi potenze avevano più mezzi e quindi più
responsabilità. Nonostante le aberrazioni di un sistema ingiusto anche
per colpa delle superpotenze, la stessa autorità morale di Stati Uniti
e Unione Sovietica era oggettivamente cresciuta. Usa e Urss, insieme
alla Chiesa cattolica, formavano il trittico che si sarebbe
identificato piu precisamente nei grandi protagonisti della svolta
maturata tra gli anni 50 e gli anni60: Kennedy, Krusciov e Giovanni
XXIII (il Concilio: La Pira predata certe intuizioni a un discorso di
Pio XII del 1958). L’importanza dei tre leaders derivava dalla loro
consapevolezza di essere i garanti di un’epoca nuova. Persistevano
ostacoli molteplici ma La Pira confidava che quell’epoca nuova non
avrebbe più conosciuto inversioni di tendenza fatali. Egli superava
del resto il campo della politica nella sua accezione corrente perché
 in un misto di utopismo e realismo - dietro gli uomini e i governi
intravedeva un disegno profetico di cui gli individui e le forze
politiche erano strumenti attivi. Quasi alla rovescia, le sue
iniziative di maggior rilievo, come i Convegni sul Mediterraneo che
convocava a Firenze, si svolgevano su un piano temporale e storico e
insieme su un piano atemporale e religoso.

«Il genere umano è entrato in una fase totalmente nuova e di
dimensioni sconfinate: stagione nella quale, malgrado immense
resistenze, si sanano irresistibilmente le fratture che avevano
spezzato nei secoli scorsi l’unità della Chiesa e del mondo». Alla
base di tanto ottimismo La Pira poneva l’impossibilità della guerra.
Culture diverse hanno elaborato questa idea, con una sostanziale
convergenza fra i contributi liberali, marxisti e cristiani. Accanto
ai motivi storici di quella specie di tabù pesano i motivi teologici e
teleologici (in senso teilhardiano). Con l’albero dell’unità dei
popoli si sarebbe placata la collera dei poveri, degli oppressi, e
sarebbe rifiorito «inevitabilmente» l’ulivo della pace. Fra i due
livelli non c’erano iati o contrasti. «La visione profetica si
trascrive nel tempo e diviene la realtà storica del tempo nostro;
diviene la caratteristica essenziale, costitutiva, di questa nuova
epoca, di questa singolare nuova stagione storica del mondo».

Al duplice ordine di principi egli subordinava l’impegno su temi quali
il disarmo, la distensione, la soluzione pacifica delle controversie.
La coesistenza aveva origine nel pensiero di Gandhi. Il disarmo doveva
salvare il pianeta dalla sua stessa fine. Un segno non dubbio era
l’improvviso scioglimento, proprio sull’orlo dell’abisso, del braccio
di ferro russo-americano per i missili a Cuba.

La divisione all’origine della guerra fredda era tragicamente vera ma
in parte era artificiosa. Est e Ovest facevano entrambi parte
dell’Occidente. E per definire l’Occidente, così come era stato e
doveva essere, La Pira risaliva indietro fino a Israele, con una
visione che potrebbe sembrare eurocentrica o israelocentrica (anche
Marx era ebreo) se in ultima analisi non fosse stata una concezione
cristocentrica. Dallo stesso filone giudaico-cristiano era venuto
l’Illuminsimo, con suoi limiti ma con inedite prospettive di libertà.
Il pericolo da evitare a ogni costo era di discriminare alcune
componenti dell’umanità. Lo storico inglese Eric Hobsbawm ha affermato
che il pericolo sarebbe oggi di cedere «alla tentazione di isolare la
storia di una parte dell’umanità - quella che lo storico si sceglie o
in cui nasce - dal suo contesto più ampio». Nella cerimonia per la
concessione della cittadinanza onoraria a U Thant, la funzione
insostituibile delle Nazioni Unite fu sottolineata e argomentata da La
Pira, che non poteva prevedere il declino dell’Onu e gli abusi che
sarebbero stati commessi in suo nome.

L’equilibrio del terrore era un male e La Pira auspicava sviluppi tali
da «liberare» gli uomini dal ricatto dell’olocausto nucleare. Citava
spesso a questo proposito i filosofi Gunther Anders e Bertrand
Russell. La distruzione mutua assicurata - Mad, pazzo, nell’acronimo
inglese - era agli antipodi del suo progetto. La difesa di una certa
stabilità all’ombra della bomba non era un buon motivo per accettare
inerti lo status quo. Il dialogo, unito alle restrizioni e
autorestrizioni, doveva preparare la strada alla sicurezza della
coscienza e non a quella della paura. Nei suoi scritti La Pira non
entra nei dettagli del processo di disarmo che Usa e Urss cercavano di
avviare. Gli bastava certificare che quella era la direzione giusta.
La Pira salutò con favore il primo accordo, firmato nel 1963,
sull’arresto degli esperimenti atomici: una specie di «leva
d’Archimede» per i progressi futuri. Poco importa se alla fine, non il
disarmo, ma il controllo degli armamenti avrebbe dato un risvolto
concreto alla distensione. Sarebbe apparso assurdo però a La Pira
celebrare la fine della guerra fredda e del bipolarismo con una
riabilitazione pressoché generale della guerra, come doveva avvenire
persino in Italia: la guerra non più impossibile, bensì possibile,
reinserita nell’agenda della politica, anzitutto per tenere sotto
controllo la periferia sofferente e irrequieta così come è uscita dal
crollo del sistema basato sul rapporto Est-Ovest. E potrebbe non
essere un caso se fra i paesi che hanno pagato di più figurano la
Jugoslavia e l’Algeria, che furono fra i più coerenti assertori del
neutralismo.

Certamente La Pira non avrebbe condiviso l’idea che la fine della
guerra fredda avrebbe comportato la fine della storia. La Pira è
lontanissimo sia da Fukuyama che da Huntington. La storia per La Pira
aveva un senso profondo, addirittura il «senso biblico», e sarebbe
comunque continuata. E’ la fine della storia, nel caso, ad essere
metastorica, perché apocalittica, compimento della profezia. La Pira
credeva nei profeti non come poesia ma come visione della storia: in
un’intervista rivelò di aver messo questo concetto al centro del suo
colloquio con Nasser. La storia va inevitabilmente verso la foce e la
foce è come una luce. Il mondo del tempo era pronto per l’inizio
dell’età della «pienezza umana»: quella situazione limite della storia
 e la necessità di oltrepassarla con la scelta della pace per tutti e
per sempre - era stata la norma orientatrice della politica di Kennedy
e Krusciov e dell’azione di papa Roncalli. Quest’obbligo storico e
politico gli richiama continuamente alla mente i testi sacri e i
massimi teologi della storia, a cominciare da sant’Agostino e Dante,
ma La Pira aveva ben presenti anche gli uomini politici suoi
contemporanei, che interpellava personalmente sollecitandoli ad
operare contro la guerra e contro le cause delle varie crisi.

I conflitti a cui La Pira dedicò tanto tempo e tanta riflessione - e
tante preghiere - erano soprattutto quelli del Mediterraneo, il luogo
per eccellenza della pluralità vivificante: il conflitto
arabo-israeliano, la guerra di liberazione dell’Algeria, Suez. Ai
problemi impellenti del Mediterraneo erano rivolti i famosi Colloqui
di Firenze. La famiglia d’Abramo doveva tornare ad essere appunto una
famiglia. L’idea fissa era la riconciliazione senza forzature e senza
esclusioni. E, benché anche qui senza formule troppo specificate,
nessun «distacco». La stessa decolonizzazione, per esaudire il diritto
di autodeterminazioine dei popoli che era uno dei suoi punti fermi,
non gli era congeniale, almeno come parola. Tante lotte e,
paradossalmente, tanti sforzi di un’eventuale trattativa per dividere
popoli che la storia aveva unito? A parte il caso specialissimo della
Palestina, anche l’esodo dei pieds-noirs dall’Algeria dopo
l’indipendenza fu vissuto come un dramma, non certo per lasciare ai
francesi un’egemonia ormai condannata dalla storia, ma per
l’arricchimento che ne poteva venire a un’Algeria sovrana e plurale.

Allo stesso scenario, il Mediterraneo, appartiene l’Africa: «Il
destino storico dell’Africa nera è coordinato organicamente, in certo
modo, a quello dei popoli del Mediterraneo»». In questo La Pira si
avvicina molto a Senghor, che sognava la confluenza fra i tre filoni
giudaico-cristiano, arabo-islamico e negro-africano nella civiltà
universale. Niente scontro fra le civiltà secondo le mode alla
Huntington, ma apporti diversi a una stessa autenticità. Nella lettera
indirizzata a Alioune Diop per il Convegno di «Présence Africaine» che
si tenne a Roma nel marzo 1959 scrive di sperare che finalmente i
popoli neri, rientrando come fattore essenziale nella storia di oggi e
di domani, portino alla città universale la loro gloria e il loro
onore.

La guerra che più meritò la sua attenzione fu in assoluto quella del
Vietnam. Il Vietnam era la «macchia del mondo». Gli Stati Uniti
offendevano gli altri e se stessi infierendo contro un piccolo paese
coraggioso. La Pira non condivideva tuttavia la conclusione a cui
giunse De Gaulle, secondo il quale con la guerra in Vietnam gli Stati
Uniti avevano perduto ogni credibilità. La missione che La Pira compì
in Vietnam nel 1965 per accelerare i tempi di un negoziato ebbe un
riscontro anche all’Onu, non si sa fin dove sfruttato bene da Fanfani,
e finì nel complesso in modo infelice fra malintesi e incomprensioni.
Ma un’iniziativa per la pace in Vietnam tre anni prima del Tet, otto
anni prima della Conferenza di Parigi e dieci anni prima del
precipitoso abbandono dell’Indocina da parte degli americani sotto
l’incalzare dei vietcong e delle forze nordvietnamite, dà la misura
una volta di più di quanto il suo afflato pacifista fosse ancorato
alla realtà.

Si può dire che La Pira presentì la globalizzazione di fine millennio?
Prescindendo dall’ignominia imperdonabile della guerra trasformata in
routine del discorso e dell’agire politico, per chi, come La Pira,
ripeteva sempre che l’economia non era un obiettivo ma un mezzo e che
tendeva all’umanesimo integrale, un sistema che si inorgoglisce per
aver unificato i mercati, le finanze e le comunicazioni gli sarebbe
apparso sicuramente parziale e insufficiente. L’universalizzazione
lapiriana è altra cosa dal «pensiero unico». Né va confusa con il
relativismo culturale, che rischia di offuscare i valori
irrinunciabili. O tutti salvi o tutti periti. Il vero fine era
piuttosto di valorizzare ciò che di diverso c’è in Europa, nell’Islam,
in Africa, in Cina o in America per rispettare e far emergere
l’universale - La Pira avrebbe detto la divinità - che è in tutti.

dal manifesto