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Il programma che non c’è

Publie le mercoledì 4 agosto 2004 par Open-Publishing

di Salvatore Cannavò

Nell’articolo pubblicato ieri da Giuliano Amato su Repubblica, in cui l’esponente dell’Ulivo cerca di rispondere agli interrogativi del "programma di governo", si intravede l’amara contastazione di chi è consapevole del compito che attende il centrosinistra pur conoscendone le innumerevoli insufficienze. E del resto basta confrontare l’articolo di Amato all’intervista concessa da Rutelli al Corriere della Sera per rendersi conto della schizofrenia che avvolge l’Ulivo: voglioso di misurarsi con le proposte dell’alternativa a Berlusconi ma incapace di cominciare l’avventura se non, come fa Rutelli, per inseguire lo stesso Berlusconi.

Nell’articolo di Amato la constatazione finisce per ammettere una incapacità a «sintetizzare in messaggi semplici le nostre proposte» che quindi si rivelerebbero «confuse». In realtà, non si tratta di confusione, che pure c’è, ma del tipo di valutazione che si da della crisi italiana e delle proposte per uscirne. Giuliano Amato si spinge fino a un apprezzamento per «Porto Alegre», giudicata più lungimirante di «Davos» riguardo ai destini dell’umanità. Ecco, se solo si prolungasse il concetto si coglierebbe quello che in Italia, e in Europa, è stato confermato dalle recenti elezioni europee: una crisi di credibilità dell’establishment liberista che rivela una crisi latente, ma profonda, del capitalismo stesso. Il fatto che i governi siano puniti elettoralmente a prescindere dal loro colore politico - Schroeder e Blair come Berlusconi e Raffarin - si spiega con un’incapacità di fondo dell’attuale assetto liberista e, ripetiamo, capitalista a prospettare un futuro credibile. E quindi della necessità di elaborare un’alternativa radicale, pena l’omologazione.

Non a caso, Giuliano Amato può solo elencare tre grandi interrogativi programmatici, senza fornire la risposta. La «vivibilità del pianeta», la «formazione permanente» e «la pace e la sicurezza» sono ingredienti sostanziosi per discutere di un progetto di società alternativa, ma le risposte alle domande che essi generano non possono che essere radicali. Non per una autoproclamata egemonia della sinistra alternativa su quella moderata ma per la natura stessa dei problemi. Si può affrontare seriamente il destino delle risorse energetiche senza porre la questione del controllo, sempre più militarista e "imperialista", delle grandi multinazionali su di esse? Si può ragionare di «capitale umano» e quindi di conoscenza, formazione, senza intaccare la gestione dei tempi di lavoro, le condizioni generate dalla moderna precarietà, recuperando un controllo del lavoro sul capitale? Si può alludere al tema della pace senza chiamare in causa le folli spese militari, il controllo imperiale del pianeta, anche a opera della "civile" Europa, la militarizzazione della politica e della società? Se gli interrogativi sono corretti, devono esserlo anche le risposte. Per questo Porto Alegre, nel giro di quattro anni, ha spazzato via Davos. Ma di questo il centrosinistra non si è ancora accorto.

http://www.liberazione.it/giornale/040804/LB12D6B6.asp