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Il telegiornale lo fa chi governa

Publie le venerdì 30 gennaio 2004 par Open-Publishing

ROMA - Non vogliono mandare giù il «panino» del governo, quei servizi confezionati in modo tale
che la Casa berlusconiana abbia sempre l’ultima parola. Ma non sanno, i giornalisti del Tg1, che
queste sono le regole della democrazia. E non lo sanno perché prima di essere giornalisti sono
«militanti». Parola del ministro dei rapporti con il parlamento, l’Udc Carlo Giovanardi. All’indomani
dell’assemblea a Saxa Rubra sul caso del vicedirettore Daniela Tagliafico, che ha chiesto al
direttore Clemente J. Mimun di essere sollevata dal suo incarico, l’offensiva della destra
sull’informazione Rai ha assunto una portata inedita. Ecco infatti che ci pensa Giovanardi a dare una lezione di
libera informazione ai giornalisti del servizio pubblico. «Mi spiace molto - premette - che il Tg1
di Mimun, il tg più amato e più seguito dagli italiani, non piaccia ai militanti di quella
redazione».

Ma in democrazia funziona così: «Le motivazioni del vicedirettore Tagliafico denunciano una
totale ignoranza delle regole parlamentari, culla della democrazia - spiega il ministro, dall’alto
delle sue competenze - dove il governo può intervenire quando ritiene opportuno e l’ultima parola
spetta sempre al gruppo parlamentare più forte. Forse la Tagliafico si confonde con i processi,
dove l’ultima parola spetta sempre agli imputati, ma in democrazia sono gli elettori a indicare chi
ha diritto di parlare per ultimo».

Gli attacchi scomposti con cui la destra sommerge i «militanti» del Tg1 la cui «offensiva è
destinata a finire su un binario morto» (parola del forzista Lainati) non riescono a attutire il clamore
delle affermazioni di Giovanardi, ma anzi lo evidenziano. L’idea del ministro «è vera quanto
incredibile - trasecola il segretario del Prc Fausto Bertinotti - E’ l’idea del Minculpop, secondo cui
l’autonomia dell’informazione non esiste e in realtà c’è un solo sovrano: il governo». Il
responsabile informazione della Quercia, Fabrizio Morri, parla di un «salto di qualità nel rapporto tra
governo e mezzi d’informazione», dimostrato dalle reazioni dello stesso Mimun, oltre che da quelle
«dei suoi sponsor politici». Per tutta risposta, il direttore del Tg1 liquida così la vicenda che
da giorni scalda la sua redazione: «Apprendo dal responsabile dell’informazione Ds di mie reazioni
sprezzanti a non so cosa. Visto che a differenza di altri conosco anche il valore del silenzio
oggi l’ho volentieri praticato».

Epperò le affermazioni di Giovanardi provocano un coro di indignazione anche nel mondo della
stampa. L’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, denuncia la «totale incomprensione delle più
elementari norme del giornalismo e delle ragioni dell’autonomia professionale»; la Fnsi parla di
democrazia confusa «con la dittatura, dove le regole dell’informazione vengono dettate dai potenti»; il
segretario nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Vittorio Roidi, non vuole credere né accettare
che «in una nazione retta da una Costituzione liberale che ha il suo pilastro nell’articolo 21, un
ministro dica che spetta alla maggioranza di governo decidere. E questa la libertà di stampa?»,
domanda. E sulla sortita di Giovanardi interviene anche l’Associazione stampa parlamentare,
ricordando che «un conto sono le regole democratiche di funzionamento delle assemblee parlamentari e un
altro la libertà d’informazione e i doveri del giornalista a essa collegati».

Il caso del Tg1 si somma a molti altri, più o meno recenti. Alla vigilia degli Stati generali
dell’informazione, il segretario della Quercia Piero Fassino si augura che da quella sede arrivi una
risposta «all’emergenza critica». Mentre i capigruppo dell’opposizione alla camera e al senato si
rivolgono con una lettera al presidente dell’Authority delle comunicazioni, Enzo Cheli. Al garante
chiedono di verificare «le cause dei sempre più evidenti e numerosi comportamenti discriminatori
della Rai» e di garantire «il rispetto dei principi di pluralismo e della professionalità da parte
del servizio pubblico», segnalando come nell’imminenza di importanti scadenze elettorali si
moltiplichino le «iniziative volte a irrigidire il controllo politico indebito sull’informazione Rai».

Ultime, le vicende del Tg1 e della striscia informativa dalla quale sono stati esclusi i
giornalisti sgraditi al governo. E, prima ancora, le ispezioni al Tg3, il caso Raiot, quello dell’Elmo di
Scipio... Sulla striscia prevista da febbraio su Raiuno è tornata ieri la presidente Rai Lucia
Annunziata per «chiarire definitivamente che avendo io avanzato una proposta che ritenevo equilibrata,
mi sono rifiutata di prendere in esame ulteriori candidati per non dare luogo a uno shopping di
professionisti che non meritano di essere sottoposti all’esame del loro Dna politico».