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Intellettuali all’assalto dei pacifisti

Publie le martedì 12 ottobre 2004 par Open-Publishing

Dazibao


di Piero Sansonetti

Nell’articolo di fondo del Corriere della Sera di ieri i pacifisti italiani vengono
definiti «cieco-pacifisti» e i loro cervelli «micro-cervelli». Si fanno anche
i nomi e i cognomi di queste persone stupide: Agnoletto Vittorio, Strada Gino,
Pecoraro Scanio Alfonso, Bertinotti Fausto, Mussi Fabio. L’autore dell’articolo è uno
dei maggiori politologi italiani, forse il maggiore. E’ un professore che ha
vissuto molti anni in America, che è nemico di Berlusconi e amico del centrosinistra,
dispone di un patrimonio enorme di cultura politica e umanistica e si è sempre
dimostrato un liberale vero, serio e convinto: è il professor Giovanni Sartori.
Nel suo articolo, Sartori sostiene la seguente tesi: Bush ha sbagliato ad attaccare
l’Iraq perchè non c’erano le prove di un legame tra Saddam e il terrorismo arabo;
oggi si sa che quel legame era inesistente; tuttavia sarebbe un suicidio interrompere
l’occupazione dell’Iraq perché a questo punto il pericolo terrorista è reale
e potrebbe diventare devastante. La spietatezza artigianale dei tagliatori di
teste, se lasciata libera di agire, crescerebbe su scala industriale e porterebbe
all’olocausto, con milioni di vittime occidentali. Quindi, guerra.

Cos’è che colpisce nel ragionamento di Sartori? Tre cose. La prima l’abbiamo già detta: il fatto che l’articolo sia firmato da lui, un borghese saggio e colto, e non da un commentatore di Libero o da un seguace di Oriana Fallaci. La seconda cosa che colpisce è l’uso dell’esagerazione per far funzionare il ragionamento: e cioè l’enorme dilatazione del pericolo terrorista (migliaia di morti, milioni di morti, virus, batteri, malattie...) che è un po’ quello che ha fatto Bush alla vigilia della guerra dell’Iraq per giustiuficare l’ntervento. La terza sorpresa viene dalla mancanza di considerazione per il diritto.

L’Iraq oggi è un paese occupato da eserciti stranieri; l’occupazione è avvenuta senza nessuna legittimazione di autorità internazionali; la motivazione della guerra - che consisteva nell’accusa a Saddam di avere armi chimiche e di sostenere Al Qaeda - è caduta; come si fa a giustificare giuridicamente il mantenimento dell’occupazione? Questo problema elementare, di dottrina, nessuno se lo pone e Sartori lo ignora totalmente. Se questo modo di trattare la politica internazionale - non come questione di diritto ma di convenienza - diventa la norma, cosa rimane della nostra cultura politica?

Sul Corriere della Sera di ieri c’è un altro articolo, anche questo firmato da un intelletuale colto e intelligente, Aldo Grasso. E in questo articolo si pone questa domanda: l’Italia si è mobilitata in modo compatto per Simona Pari e Simona Torretta; saprà dimostrare la stessa unità e la stessa emozione per Jessica e Sabrina, le due sorelle morte nell’attentato all’albergo di Taba? E Grasso sottintende una risposta: no. Perchè no? Perché esistono cittadini di serie A e cittadini di serie B, dice Grasso. I cittadini di serie A sono i pacifisti, gli altri sono di serie B e hanno diritto a meno affetto, a meno pietà, a meno amore. E questo è un male. E questo male è colpa dei pacifisti.

E’ davvero così? Vediamo come sono andate le cose fino ad oggi. Cioè vediamo i fatti. L’Italia ha mostrato sempre grande compattezza per tutte le sue vittime (tranne forse che per il giornalista Enzo Baldoni, che è stato preso in giro e disprezzato da alcuni giornali di destra. Baldoni era di sinistra, era pacifista). Si è unita e commossa nei giorni della strage di Nassirya, lo ha fatto per l’uccisione di Quattrocchi, e c’è stata una grande mobilitazione quando sono stati sequestrati Stefio, Cupertino e Agliana. In quell’occasione i pacifisti hanno organizzato un corteo che si è concluso alla basilica di San Pietro, e c’erano migliaia di persone. E quel corteo ha contribuito a salvare Stefio, Cupertino e Agliana. Eppure né le vittime di Nassirya né i tre sequestrati italiani erano pacifisti o gente di sinistra. I pacifisti non erano d’accordo sulla loro presenza in Iraq ma non si sono tirati indietro nella solidarietà verso di loro e nella lotta per salvarli. Quindi, qual è l’accusa? Dov’è la disparità? Non c’è.

Casomai dovremmo iniziare a fare un altro ragionamento. Difficile. Quello su quanto vale la vita e quanto vale la morte, e la morte di chi. Facciamolo pure a bassa voce questo ragionamento, e senza retorica. Voi lo sapete quante persone sono morte nell’attentato di Taba? Una trentina o forse quaranta, i giornali ve lo hanno detto di sfuggita. Vi hanno parlato solo degli italiani. Lo sapete che poche ore prima c’era stato un attentato in Pakistan e che i morti erano stati 45? Lo sapete quanti sono i palestinesi uccisi negli ultimi dieci giorni dall’esercito israeliano: cento. Perché questi morti valgono così poco? Perché sono poveri, perché sono stranieri, perché sono arabi, perché sono nemici? Bisognerebbe rispondere seriamente a questa domanda. Ma non per far polemica, che non serve a niente, non per avviare una miserabile discussione sui conteggi dei morti di una fazione o dell’altra. Semplicemente perchè solo se riusciamo davvero a capire che un morto è un morto, è un morto e basta, è una persona che non c’è più, è il dolore dei parenti, è un pezzettino di umanità che sparisce, solo se capiamo che i morti sono tutti uguali possiamo pensare di costruire un mondo migliore per i vivi. Non è così? C’entra poco in queste cose essere di destra o di sinistra, c’entrano i principi fondamentali della civiltà umana.

Però, a dire queste cose, oggi, si passa per svampiti. O per biechi opportunisti in cerca di voti. E infatti il pacifismo è sotto tiro e non solo sotto il tiro della destra-destra, ma anche di ambienti progressisti e democratici. Lo temono, ne prendono le distanze, cercano di smontarlo. Perché è così? Perchè ormai in occidente c’è un solo sentimento che domina la politica: la paura, la ricerca del nemico. E’ il sentimento intorno al quale si gioca la ricerca del consenso. E anche gli intellettuali e i partiti politici non si sottraggono a questa ventata irrazionale. La assecondano, credono che possa portare dei vantaggi, o forse che, se non la si contrasta, la si può più facilmente addomesticare. Non è così. Se nessuno ha il coraggio dell’anticonformismo, in questi casi, si va davvero allo scontro di civiltà e ogni possibilità di dialogo muore. Vince la xenofobia, il razzismo. Possibile che non ci si renda conto di quanto sia grande questo pericolo, di come possa appestare il nostro futuro?

http://www.liberazione.it/giornale/041012/LB12D6C4.asp