Home > Intellettuali all’assalto dei pacifisti
di Piero Sansonetti
Nell’articolo di fondo del Corriere della Sera di ieri i pacifisti italiani vengono
definiti «cieco-pacifisti» e i loro cervelli «micro-cervelli». Si fanno anche
i nomi e i cognomi di queste persone stupide: Agnoletto Vittorio, Strada Gino,
Pecoraro Scanio Alfonso, Bertinotti Fausto, Mussi Fabio. L’autore dell’articolo è uno
dei maggiori politologi italiani, forse il maggiore. E’ un professore che ha
vissuto molti anni in America, che è nemico di Berlusconi e amico del centrosinistra,
dispone di un patrimonio enorme di cultura politica e umanistica e si è sempre
dimostrato un liberale vero, serio e convinto: è il professor Giovanni Sartori.
Nel suo articolo, Sartori sostiene la seguente tesi: Bush ha sbagliato ad attaccare
l’Iraq perchè non c’erano le prove di un legame tra Saddam e il terrorismo arabo;
oggi si sa che quel legame era inesistente; tuttavia sarebbe un suicidio interrompere
l’occupazione dell’Iraq perché a questo punto il pericolo terrorista è reale
e potrebbe diventare devastante. La spietatezza artigianale dei tagliatori di
teste, se lasciata libera di agire, crescerebbe su scala industriale e porterebbe
all’olocausto, con milioni di vittime occidentali. Quindi, guerra.
Cos’è che colpisce nel ragionamento di Sartori? Tre cose. La prima l’abbiamo già detta: il fatto che l’articolo sia firmato da lui, un borghese saggio e colto, e non da un commentatore di Libero o da un seguace di Oriana Fallaci. La seconda cosa che colpisce è l’uso dell’esagerazione per far funzionare il ragionamento: e cioè l’enorme dilatazione del pericolo terrorista (migliaia di morti, milioni di morti, virus, batteri, malattie...) che è un po’ quello che ha fatto Bush alla vigilia della guerra dell’Iraq per giustiuficare l’ntervento. La terza sorpresa viene dalla mancanza di considerazione per il diritto.
L’Iraq oggi è un paese occupato da eserciti stranieri; l’occupazione è avvenuta senza nessuna legittimazione di autorità internazionali; la motivazione della guerra - che consisteva nell’accusa a Saddam di avere armi chimiche e di sostenere Al Qaeda - è caduta; come si fa a giustificare giuridicamente il mantenimento dell’occupazione? Questo problema elementare, di dottrina, nessuno se lo pone e Sartori lo ignora totalmente. Se questo modo di trattare la politica internazionale - non come questione di diritto ma di convenienza - diventa la norma, cosa rimane della nostra cultura politica?
Sul Corriere della Sera di ieri c’è un altro articolo, anche questo firmato da un intelletuale colto e intelligente, Aldo Grasso. E in questo articolo si pone questa domanda: l’Italia si è mobilitata in modo compatto per Simona Pari e Simona Torretta; saprà dimostrare la stessa unità e la stessa emozione per Jessica e Sabrina, le due sorelle morte nell’attentato all’albergo di Taba? E Grasso sottintende una risposta: no. Perchè no? Perché esistono cittadini di serie A e cittadini di serie B, dice Grasso. I cittadini di serie A sono i pacifisti, gli altri sono di serie B e hanno diritto a meno affetto, a meno pietà, a meno amore. E questo è un male. E questo male è colpa dei pacifisti.
E’ davvero così? Vediamo come sono andate le cose fino ad oggi. Cioè vediamo i fatti. L’Italia ha mostrato sempre grande compattezza per tutte le sue vittime (tranne forse che per il giornalista Enzo Baldoni, che è stato preso in giro e disprezzato da alcuni giornali di destra. Baldoni era di sinistra, era pacifista). Si è unita e commossa nei giorni della strage di Nassirya, lo ha fatto per l’uccisione di Quattrocchi, e c’è stata una grande mobilitazione quando sono stati sequestrati Stefio, Cupertino e Agliana. In quell’occasione i pacifisti hanno organizzato un corteo che si è concluso alla basilica di San Pietro, e c’erano migliaia di persone. E quel corteo ha contribuito a salvare Stefio, Cupertino e Agliana. Eppure né le vittime di Nassirya né i tre sequestrati italiani erano pacifisti o gente di sinistra. I pacifisti non erano d’accordo sulla loro presenza in Iraq ma non si sono tirati indietro nella solidarietà verso di loro e nella lotta per salvarli. Quindi, qual è l’accusa? Dov’è la disparità? Non c’è.
Casomai dovremmo iniziare a fare un altro ragionamento. Difficile. Quello su quanto vale la vita e quanto vale la morte, e la morte di chi. Facciamolo pure a bassa voce questo ragionamento, e senza retorica. Voi lo sapete quante persone sono morte nell’attentato di Taba? Una trentina o forse quaranta, i giornali ve lo hanno detto di sfuggita. Vi hanno parlato solo degli italiani. Lo sapete che poche ore prima c’era stato un attentato in Pakistan e che i morti erano stati 45? Lo sapete quanti sono i palestinesi uccisi negli ultimi dieci giorni dall’esercito israeliano: cento. Perché questi morti valgono così poco? Perché sono poveri, perché sono stranieri, perché sono arabi, perché sono nemici? Bisognerebbe rispondere seriamente a questa domanda. Ma non per far polemica, che non serve a niente, non per avviare una miserabile discussione sui conteggi dei morti di una fazione o dell’altra. Semplicemente perchè solo se riusciamo davvero a capire che un morto è un morto, è un morto e basta, è una persona che non c’è più, è il dolore dei parenti, è un pezzettino di umanità che sparisce, solo se capiamo che i morti sono tutti uguali possiamo pensare di costruire un mondo migliore per i vivi. Non è così? C’entra poco in queste cose essere di destra o di sinistra, c’entrano i principi fondamentali della civiltà umana.
Però, a dire queste cose, oggi, si passa per svampiti. O per biechi opportunisti in cerca di voti. E infatti il pacifismo è sotto tiro e non solo sotto il tiro della destra-destra, ma anche di ambienti progressisti e democratici. Lo temono, ne prendono le distanze, cercano di smontarlo. Perché è così? Perchè ormai in occidente c’è un solo sentimento che domina la politica: la paura, la ricerca del nemico. E’ il sentimento intorno al quale si gioca la ricerca del consenso. E anche gli intellettuali e i partiti politici non si sottraggono a questa ventata irrazionale. La assecondano, credono che possa portare dei vantaggi, o forse che, se non la si contrasta, la si può più facilmente addomesticare. Non è così. Se nessuno ha il coraggio dell’anticonformismo, in questi casi, si va davvero allo scontro di civiltà e ogni possibilità di dialogo muore. Vince la xenofobia, il razzismo. Possibile che non ci si renda conto di quanto sia grande questo pericolo, di come possa appestare il nostro futuro?