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Intervista a Gino Strada

Publie le mercoledì 18 febbraio 2004 par Open-Publishing

Emergency è presente in Iraq dal 1995, con due ospedali e numerosi posti
di pronto soccorso. Il fondatore dell’organizzazione per la cura e la
riabilitazione delle vittime civili di guerra è tornato in quel Paese e
ci racconta la situazione. E chiede un’assunzione di responsabilità al
mondo della politica.

Dottor Strada, viste da lì, come appaiono la discussione e la votazione
che oggi ci saranno al Senato?

Credo sia ora che la politica e i politici smettano di nascondersi con
alchimie che hanno senso solo per chi le fa, ma ignorano il contenuto
dei problemi. Chi vota a favore o si astiene, o anche esce dall’aula, in
realtà cerca espedienti per non dire no e si assume la responsabilità di
essere per la guerra. E’ importante che gli italiani sappiano che anche
costoro saranno responsabili se altri italiani moriranno, se ci
troveremo con il terrorismo in casa. Dovremmo fare una cartolina, nomi e
cognomi di chi è per la guerra, sia che lo dica apertamente, sia che si
nasconda dietro orpelli che risultano insulsi. Una lista di nomi e di
forze politiche di appartenenza, da tenere nel portafoglio in vista
della prossime elezioni, una specie di breviario. La pace e la guerra
sono temi fondamentali, sufficienti da soli per decidere chi non votare
in nessun caso.

Vede il rischio che la partecipazione dell’Italia possa importare la
guerra gli attentati e il terrorismo in Italia?

Esattamente. Tenere fuori l’Italia dalla guerra è l’unico modo possibile
per tenere fuori la guerra dall’Italia.

Non si fanno distinzioni tra chi è lì per aiutare e chi per occupare
militarmente il Paese?

Purtroppo "siamo tutti americani" per davvero, nel senso che siamo tutti
a rischio.
Nel nord c’è stato il terribile attentato a Erbil, e oggi la gente ha
paura, esce di casa solo quando necessario.
Si ha paura di attentati, perché la partecipazione dei peshmerga curdi
alle operazioni militari dal marzo scorso ha avuto l’effetto di
importare la guerra, gli attentati, il terrorismo anche nel Kurdistan.
Non a caso l’attacco di Erbil è stato alle sedi di entrambe i partiti curdi.

Dottor Strada, come ha trovato la situazione dell’Iraq? Lei, se non
sbaglio era stato lì anche pochi mesi fa, dopo l’intervento della
coalizione. Cos’è cambiato?

E’ un disastro, molto molto più pericolosa che l’anno scorso.
A Kerbala, solo per fare un esempio, dove stiamo costruendo un ospedale,
gli ingegneri iracheni che stanno lavorando non sono disposti a
continuare il lavoro se non possono dormire nei reparti dell’ospedale.
Perché è l’unico posto relativamente sicuro, e loro sono iracheni.

Nel nord che situazione ha trovato?

Qui nel nord se ne sono andate sia le agenzie dell’Onu sia le Ong. Non
ho ancora visto uno straniero, a parte il team di Emergency.
Del resto, i nostri amici curdi sconsigliano fortemente, persino a noi
che siamo qui dal 1995, di viaggiare con macchine ufficiali e con le
nostre bandiere. Perché è troppo pericoloso, ormai c’è la caccia
indiscriminata allo straniero.

Ma la missione italiana, dicono, è una missione umanitaria
Lo dice anche Colin Powell, che sono lì per ragioni umanitarie. E’ una
infamia, un crimine.
Missione umanitaria?

Se sono qui, ad esempio, per dare elettricità a un
villaggio o per curare un ferito, a che servono i militari?

Se io mi slogo una caviglia, vado al pronto soccorso, non alla caserma
dei Carabinieri.
Emergency ha due ospedali in Iraq da otto anni, non abbiamo mai avuto
bisogno dei Carabinieri. E’ una logica perversa.
Quando lanciammo, nel settembre 2002, la campagna "Fuori l’Italia dalla
guerra" qualche opinionista tuttologo polemizzò con noi, spiegandoci che
la guerra non è sempre un orrore... che a volte è "una dolorosa
necessità" , ad esempio quando si viene invasi, attaccati. Così
giustificavano la guerra. Dopo, a guerra in corso, quando qualcuno ha
evidentemente sposato la loro teoria - difendersi quando attaccati - li
hanno chiamati terroristi...
Io sono contro la guerra e contro la violenza e il terrorismo, perché la
guerra è terrorismo e il terrorismo è guerra.
Nell’Iraq del dittatore Saddam (e noi, che siamo nella regione del
Kurdistan dal 1995 sappiamo bene quanto fosse dura la situazione) non
c’era bisogno di gente armata a proteggere gli ospedali. E in effetti
non ce n’era.

Di che cosa concretamente c’è bisogno?

C’è bisogno di pace innanzitutto.

Di pace, dottor Strada, c’è sempre bisogno, lo sappiamo tutti.
Concretamente, che si può fare?

Pace vuol dire innanzitutto ritiro immediato di tutte le forze di
occupazione: come si fa a non capire che fino a quando ci saranno
stranieri armati e illegali in quel Paese non ci potrà essere pace?

Tollererebbero gli italiani militari uzbechi per le vie di Roma?

Tollererebbe il governo Usa qualche migliaio di mujaheddin afgani a
pattugliare le strade di Washington?

Per quanto può fare l’Italia, una cosa è certa: aiuteremmo molto gli
iracheni ritirando le nostre truppe subito e condannando l’aggressione
all’Iraq.

Il nostro lavoro qui, adesso, è molto più difficile, molto più
rischioso. Eppure siamo qui dal 1995.

Chi dobbiamo ringraziare?

http://www.peacereporter.net/it/canali/voci/interviste/040217strada