Home > Intervista a Giulietto Chiesa
Dal quindicinale di economia
La trinità dell’impero U.S.A. Mercato, propaganda e guerra
Intervista a Giulietto Chiesa, una vita tra informazione e controinformazione
di Patrizio Paolinelli
La globalizzazione neoliberista è stata narrata come una tappa evolutiva per l’intera umanità. A
una quindicina d’anni dall’introduzione di questo concetto la realtà appare assai meno rosea di
quella prospettata. Per molti la globalizzazione è un sistema di potere che non ha interesse a uno
sviluppo economico equilibrato né a una democrazia sostanziale. Un critico impietoso nei confronti
di questo corso storico è Giulietto Chiesa (nella foto), noto giornalista, corrispondente per molti
anni da Mosca e fondatore di Megachip, associazione che ha lo scopo di creare una mobilitazione
permanente sul tema della comunicazione. Lo abbiamo interpellato sugli effetti determinati
dall’intreccio tra potere mediatico e globalizzazione.
Chiesa, tutti le riconoscono una schiettezza fuori dal comune. In due parole, come si caratterizza
oggi il rapporto tra informazione ed economia?
decide i contenuti dell'informazione. Credo che ormai siano in pochi a negare quest'evidenza. Non
solo la pubblicità decide la sopravvivenza di un giornale o di una televisione ma decide anche i
contenuti che l'informazione deve fornire. Siamo di fronte a una radicale inversione dei valori
determinata dal fatto che non esiste più il quarto potere ormai ridotto a funzione della pubblicità e
al servizio di chi governa>.
Quanto lei afferma è percepibile soprattutto osservando il rapporto tra pubblicità e
intrattenimento. Ma l’informazione vera e propria cosa c’entra? Un TG manda in onda degli spot mentre trasmette
le immagini di un bombardamento in qualche angolo del mondo.
<Detto così sembra un paradosso ma in realtà siamo abbastanza vicini ad un modo di concepire
l'informazione soggetta alle presunte leggi del mercato. Nel momento in cui l'informazione è una merce,
il problema è venderla e non decidere della sua qualità. Se l'informazione è cattiva, ma si vende,
va benissimo così. Se è buona, ma non si vende, semplicemente non si produce, viene cancellata
dall'agenda del giorno. Accade allora che è commercializzato il peggio: sensazionalismo, passioni
esasperate, fatti secondari, pettegolezzi, scemenze, volgarità. Tutto questo non ha nulla a che
vedere con l'informazione ma con la merce>.
Come si esce dalla logica mercantile?
per uscire dalla logica mercantile è ristabilire principi di democrazia della comunicazione che
sono superiori ai criteri della pura compravendita. Riconosco che l'informazione è anche una merce.
Ma oggi è soltanto una merce in senso molto più lato della pubblicità perché in quanto tale un TG è
uno splendido prodotto che si piazza sul mercato politico. Un cattivissimo telegiornale può essere
tranquillamente venduto a chi governa. Ed è quello che vediamo tutti i giorni sui sei canali
principali della Tv italiana>.
Oggi l’Occidente combatte guerre che diversi osservatori ritengono finalizzate ad assicurarsi
materie prime. In proposito l’informazione fa la sua parte?
decisiva per costruire le ultime tre guerre: Kosovo, Afghanistan, Iraq. E' stata l'informazione che le
ha rese possibili. Coloro che hanno progettato quelle guerre hanno lavorato accuratamente perché il
sistema mediatico le rendesse spiegabili, accettabili, appetibili. Questo tipo di informazione ha
funzionato abbastanza bene. Salvo la tendenza ad esagerare come nel caso delle armi di distruzione
di massa irakene finché una parte del pubblico si è accorta delle bugie. Limitandomi Italia mi
domando: come è possibile che centinaia di giornalisti di provata esperienza, decine di editorialisti
di prestigio non si siano accorti che Bush e Blair stavano clamorosamente mentendo? Come mai i
giornali hanno titolato per settimane sulle armi di distruzione di massa? E' questa la vigilanza di
cui sono capaci? E' questo il livello critico che distribuiscono tra la popolazione? Stiamo
assistendo ad una degenerazione mostruosa del sistema della comunicazione e alla presa per i fondelli di
milioni di persone>.
Come lei sa su questi temi ci sono opinioni molto diverse dalla sua.
<Ovviamente.> .
Tuttavia lei come altri avete la possibilità di denunciare questi squilibri.
<Fino> .
Insomma nella comunicazione vince chi ha più mezzi per convincere. Ma torniamo all’economia di
casa nostra. Anche se molto tardivamente da un po’ di tempo la carta stampata si occupa della
povertà. Un interesse assai meno evidente sul mezzo televisivo dove l’indigenza sembra un tabù. Come
spiega questa differenza?
<Nella carta stampata è ancora viva una dialettica. Sono molti i giornalisti che non si adattano
all'andazzo e reagiscono quantomeno individualmente. Esistono degli anticorpi e alcune notizie
emergono nonostante divieti e pressioni. In televisione invece non c'è più spazio. Dappertutto vige la
censura e l'autocensura con lodevoli e sempre più rare eccezioni. Ma il problema della povertà è
ormai talmente evidente che una parte dell'informazione non può ignorarlo. A questo punto è
necessario introdurre il concetto di manipolazione dell'informazione. E' un vettore che agisce ovunque.
Ma è variamente contrastato nelle diverse realtà dalla presenza della società civile. Quanto più
questa è articolata e matura tanto più la popolazione è in grado di difendersi. Nei Paesi dove la
società civile è debole e poco strutturata la manipolazione dilaga. Se dovessi stendere una
graduatoria da uno a cento, negli USA la manipolazione è a quota 90. In Italia per ora molto meno. Da noi
se non parli dell'impoverimento c'è un sacco di gente incazzata che ti chiede perché. Ma a parte
l'evidenza, che in qualche modo può essere oscurata, c'è un reale impoverimento dei ceti che
contano. Finché ad essere depauperati sono lavoratori dipendenti, di basso e medio livello, il problema
è considerato poco importante e ha poca visibilità. Oggi l'impoverimento inizia a riguardare i
ceti medi che sono l'ossatura di questa società e lo strato dove si forma il consenso. E' chiaro che
se comincia a franare questa barriera la situazione diventa insostenibile ed ecco perché la Tv non
ne parla. I ceti medi italiani e di molti Paesi capitalistici sono stati colpiti da un attacco
violento alle loro condizioni di vita. A questa crisi le classi dirigenti degli USA e dell'Europa
rispondono in maniera autoritaria perché stanno perdendo consenso. Una delle espressioni
dell'autoritarismo è il silenzio televisivo>.
Da quanto dice si può affermare che esiste un kombinat tra economia, informazione e guerra?
sparito dai giornali. Il kombinat è determinato dal fatto che, secondo analisi condotte da
autorevoli economisti su dati elaborati da istituti di ricerca indipendenti, gli USA attraversano una
crisi spaventosa e tutta la costruzione degli anni '80 e '90 a sostegno alla new-economy è saltata.
Oggi gli USA non hanno una soluzione alternativa a quel colossale fallimento e stanno annaspando
nel disastro. La guerra è l'unica risposta che il gruppo dirigente americano è stato capace di
produrre. Per chi ha un punto di vista alternativo non resta che cercare di capire perché la
globalizzazione americana è saltata, perché non funziona la finanziarizzazione del mondo e forse potremo
trovare dei rimedi. Ma i rimedi non rientrano negli interessi dei gruppi dirigenti perché la guerra
permette di prendere due piccioni con una fava: rilanciare l'economia investendo massicciamente in
armamenti, manipolare l'opinione pubblica impedendole di concentrarsi su problemi primari. C'è un
solo modo per consentire alla popolazione americana di accettare un'economia fondata sulla guerra:
terrorizzarla. E chi compie questo lavoro è il sistema dei media>.
In Italia forze della società civile e parte dei giornalisti resistono alla manipolazione
mediatica che giustifica l’economia di guerra. Quali chanches hanno questi due attori?
professione e quasi tutti i giorni ricevo telefonate di colleghi che denunciano episodi di mobbing,
violenze, censure. Tutto sommato è un buon segno perché significa che c'è chi reagisce. Ma i
giornalisti non possono essere lasciati soli a combattere la battaglia per un'informazione democratica.
Questa è una battaglia dell'intera società perché siamo dinanzi a un kombinat, a un fatto complesso
che non può essere caricato sulle sole spalle del giornalista. L'informazione è oggi un problema
sociale centrale per la tenuta della democrazia. E' necessario che partiti politici, sindacati,
società civile la considerino il tema vitale. Ma per alcuni aspetti la situazione va degenerando. Mi
chiedo: quale lezione hanno imparato le nuove leve del giornalismo arrivate negli ultimi anni
nelle redazioni? Come sono formate? Cosa hanno capito della professione? Purtroppo viene insegnato
loro a essere bugiardi, pigri, superficiali. Il problema allora è creare un controllo critico e
democratico dell'informazione e una rete di protezione sociale intorno a coloro che fanno
comunicazione. In questo modo i giornalisti non si sentiranno isolati e diventeranno più attivi. In definitiva,
le chanches contro la manipolazione mediatica ci sono ma non ci saranno regalate>.
Lei stabilisce un rapporto così stretto tra democrazia e diffusione dell’informazione da apparire
un automatismo. Non le pare eccessivo per società complesse come le nostre?
<No, perché non conosco società che possono definirsi democratiche e in cui la maggioranza della
popolazione non ha elementi per giudicare ciò che accade. Puoi andare a votare anche una volta al
giorno ma se non sai cosa sta succedendo nel mondo non sei in condizioni di votare decentemente.
Semplicemente stiamo perdendo la democrazia. Quindi: o democrazia della comunicazione o niente
democrazia. Quando il movimento nel suo complesso avrà capito questo avremo fatto passo avanti anche
per il risanamento della deontologia professionale dei giornalisti>.
Capitolo Cina. Soprattutto sulla stampa economica sta montando una campagna contro il pericolo
giallo. Qual è la sua opinione?
battage di odio. Ecco un piccolo esperimento da fare: quanti giornalisti terranno bordone? Su come
i media italiani descrivono la Cina scriverò un libro e se mi riesce metterò in piedi un
osservatorio. La Cina è il vero ostacolo alla dominazione totale e imperiale degli USA. E' l'unica nazione
al mondo che prende decisioni in piena autonomia. Naturalmente si comporta con molto savoir-faire
ma i suoi calcoli sono diversi da quegli degli USA. I cinesi stanno armando fino ai denti, stanno
riempiendo i propri forzieri di buoni del tesoro USA, di dollari e oro. Si stanno preparando
all'attacco americano sul terreno economico-finanziario. E si preparano a loro volta a ripagare pan per
focaccia. Da tempo la Cina è perfettamente al corrente del disegno USA. La stampa di Pechino è
piena di analisi su questo tema ed esistono studi approfonditi pubblici e altri riservati di cui ho
avuto notizia. Il livello dell'analisi è molto alto e i cinesi sanno di entrare in rotta di
collisione con gli americani. Mi domando se noi europei possiamo giocare un ruolo. Certamente se ci
schieriamo passivamente con Washington saremo assorbiti nella logica della guerra>.
E la nostra stampa? Possibile che nulla possa contro la preparazione di questo probabile
conflitto?
<Intanto> .
Messaggi
1. > Intervista a Giulietto Chiesa, 10 marzo 2004, 17:38
GIULIETTO CHIESA è UNO SPORCO COMUNISTA STALINISTA CON LA PANZA PIENA E LE ORECCHIE ASIMMETRICHE A SVENTOLA!!!
MANGIAMERDA A CREPAPELLE FINO AD INGOZZARTI E MORIRE SOFFOCATO!!!
1. > Intervista a Giulietto Chiesa, 13 marzo 2004, 00:43
CREDO DI AVERE PIù PAURA DELL’IGNORANZA CHE DELLE BOMBE!!!! BUONA FORTUNA A TUTTI
2. > Intervista a Giulietto Chiesa, 16 marzo 2004, 10:42
Pezzente.
Pezzente.
2. > Intervista a Giulietto Chiesa, 17 marzo 2004, 13:13
SI CAPISCE PERFETTAMENTE CHE QUELLO CHE DICE DA TEMPO GIULIETTO CHIESA SULLA GUERRA PREVENTIVA AMERICANA POSSA DAR FASTIDIO A QUALCUNO.......
QUELLO CHE NON SI CAPISCE E’ L’IGNORANZA ED IL SERVILISMO DI MOLTI CITTADINI ITALIANI CHE PUR VIVENDO NELLA MISERIA SIA ECONOMICA CHE CULTURALE VEDONO L’AMMINISTRAZIONE BUSH E COMPAGNIA(BERLUSCONES) COME I PORTATORI DI TUTTE LE VERITA’. PURTROPPO PER LORO I RISULTATI E LA LOGICA DELLE COSE DA’ RAGIONE A GIULIETTO CHIESA E LO INVITO A CONTINUARE A SCRIVERE PERCHE’ DI GIORNALISTI NON SERVI CE NE SONO IN GIRO BEN POCHI.