Home > Iraq, la doppiezza di Piero Fassino
Se il segretario dei Democratici di sinistra arriva ad accusare il quotidiano il manifesto di usare «un metodo di impronta staliniana» nel criticare la sua linea sulla missione italiana in Iraq, vuol dire che qualcosa non torna. Se davvero si trattasse di una campagna «di impronta staliniana» l’accusa andrebbe estesa a un arco di forze molto più ampio: ai vari movimenti per la pace, da quelli laici a quelli cattolici, da Emergency a Lilliput, dalla Tavola della Pace al mondo dei Social forum; alle divergenze interne alla stessa Quercia: non solo gli Occhetto o i Falomi, che hanno lasciato il partito, ma anche alle opposizioni interne, da Salvi a Mussi, che non fanno mistero di non gradire il comportamento sulla questione irachena e che hanno manifestatamente votato in dissenso con la posizione del proprio partito. A fare parte del "complotto" staliniano dovrebbero inoltre essere chiamati in causa anche tutti quegli intellettuali - Asor Rosa in testa - che hanno contestato la scelta dei Ds e della lista unitaria "conformandosi" a uno spirito pacifista che, con buona pace di Galli della Loggia, riesce ad attrarre ancora la maggioranza degli italiani, intellettuali compresi. A dar retta a Fassino, tutti questi sarebbero protagonisti di una campagna staliniana: un po’ troppi per credergli o per prenderlo sul serio.
E’ chiaro che messa così si tratta di una falsa polemica che punta a nascondere l’alibi delle missioni di pace. La tesi di Fassino - e di lui soltanto, si badi bene, non di Rutelli - è che sulle dieci missioni per le quali si chiede il rifinanziamento, la lista unitaria dell’Ulivo ne sosterrebbe nove. Dunque, per non essere costretta a votare contro "operazioni di pace" legittime, sceglie di non partecipare al voto. Il fatto è che questa filastrocca è smentita dallo stesso Fassino nell’intervista di ieri al il manifesto. Alcune citazioni lo dimostrano senza particolare fatica: alla domanda se «i Ds chiedono o no il ritiro immediato delle truppe italiane dall’Iraq» la risposta è inequivocabile: «La proposta del ritiro immediato - risponde Fassino - mi sembra sbagliata e insufficiente, perché qualunque persona di buon senso si chiede cosa succederebbe in Iraq se tutti decidessero di ritirarsi immediatamente». La strada maestra sarebbe quindi una «svolta» centrata sul ruolo dell’Onu. E gli Usa? «Bisogna parlare un linguaggio di verità - spiega il segretario diessino - e non fare demagogia: non è pensabile escludere gli Stati Uniti, gli unici a possedere una logistica capace di sostenere un impegno così grande in un paese appena uscito da una guerra». Ma almeno si ammette che l’Italia partecipa a una operazione di guerra? Neanche per sogno: «Guardando quello che gli italiani hanno fatto in concreta non mi sembra che si possa dire che stanno facendo la guerra: nessun iracheno è morto per un proiettile italiano».
Come si vede, l’alibi viene meno. Se i Ds sceglieranno di non votare la mozione del governo non sarà perché non vogliono votare contro le nove missioni italiane all’estero - quelle che ha promosso il centrosinistra quando era al governo e ci sarebbe da verificare qual è il bilancio di tali missioni, oltreché il costo - ma perché vogliono evitare di votare contro la presenza italiana in Iraq che, come si vede, è condivisa. Non votare significa continuare a nascondere la verità, evitare di frantumare ulteriormente la lista unitaria, cercare di rinviare il problema a tempi più tranquilli.
Non ci sarebbe niente di male a sostenere una simile posizione e a difenderla pubblicamente, a condizione di avere il coraggio di farlo. E invece, nella medesima intervista, Piero Fassino non esita a ribadire che sarà presente in piazza il 20 marzo, ignorando, o facendo finta di ignorare, che l’unica parola d’ordine che mette tutti d’accordo su quella manifestazione è l’immediato ritiro delle truppe italiane dall’Iraq.
Come è evidente, lo stalinismo non c’entra nulla. In realtà quella cui siamo di fronte è una versione moderna, e molto più avvilente, della "doppiezza". Una doppiezza priva di ogni rigore e talmente esibita da attirarsi contro una quantità di critiche cui i Ds non erano abituati da tempo. Ha ragione l’associazione Aprile quando sostiene che, per coerenza, i Ds dovrebbero votare a favore della mozione del governo. Forse perderebbero troppi voti ma allora vorrebbe dire che dovrebbero cambiare politica e votare chiaramente no come chiede loro gran parte del proprio mondo. Se non si è capaci di tanto, molto più serio sarebbe riconoscere le proprie contraddizioni e non offrire questa sgradita prova di cinismo politico.