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L’Onu in Siria chiamato da Assad

par Massimo Lauria

Publie le lunedì 16 settembre 2013 par Massimo Lauria - Open-Publishing

Dopo il primo presunto attacco con armi chimiche del marzo scorso, il presidente siriano ha sollecitato un’inchiesta. Un’informativa delle Nazioni Unite fa il punto.

Fino a pochi giorni fa gli Stati Uniti erano pronti a condannare Bashar al-Assad come criminale di guerra. E una piccola scarica di bombe dall’alto sarebbe stata il contorno alla giusta punizione per aver usato armi chimiche sui propri concittadini. Oggi le cose sono un po’ cambiate: Russia e Usa hanno trovato un accordo sull’arsenale incriminato e il presidente siriano dovrà consegnare alle Nazioni Unite la mappa dei depositi. Ma Assad ha davvero ha davvero sganciato razzi con gas nervino Sarin il 21 agosto scorso, uccidendo oltre mille civili? L’ha fatto in altre occasioni? E l’Onu ne è convinta o sta ancora indagando sull’accaduto? Secondo l’informativa partita proprio dal Palazzo di vetro, ancora non esiste alcuna certezza in merito.

Forse vale la pena ricordare che cosa disse il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nel marzo scorso, dopo il primo attacco con armi chimiche. Un razzo carico di gas nervino venne sganciato alla periferia di Aleppo il 19 marzo. La Russia accusò i ribelli, mentre gli Usa puntarono il dito sul governo di Assad. Il 22 marzo Ban Ki-moon tornò sulla faccenda, annunciando un’inchiesta: «La missione di indagine dell’Onu esaminerà l’incidente portato alla mia attenzione dal governo siriano sul presunto uso di armi chimiche». E per non fare torto agli amici americani, aggiunse: «Ma prenderà in esame anche le accuse provenienti da altre parti sull’utilizzo di tali materiali.

Fu quindi Assad a richiedere l’intervento dell’Onu, che inviò sul posto una propria missione, guidata dal professore svedese Ǻke Sellström. Il Meccanismo del segretario generale (Msg) si era messo in moto. A confermarlo è la stessa Onu, che in un’informativa - UNRIC/ITA/2170/13 - lanciata il 13 settembre scorso, fa il punto sullo stato delle cose. «La Missione -scrive l’Onu - è stata inviata a investigare su tre degli incidenti portati all’attenzione del Segretario Generale, compreso quello di Khan al-Asal. Gli ispettori sono giunti a Damasco il 18 agosto 2013». Qualche giorno dopo - il 21 agosto - viene lanciato l’altro presunto attacco nell’area di Ghouta a Damasco. È quello più pesante, che scatena la reazione immediata di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna.

Gli ispettori Onu sono ancora sul posto e alcuni stati membri chiedono di occuparsi anche del più recente episodio. La missione viene definita prioritaria. A Damasco arriva anche Angela Kane, Alto rappresentante Onu per gli affari del disarmo. Presi gli accordi col governo siriano, il 26 agosto gli ispettori si mettono al lavoro e lo fanno in condizioni difficili e pericolose: sono continuamente sotto il tiro dei cecchini. Il 31 agosto la missione torna all’Aja e comincia ad analizzare i darti raccolti. Ban Ki-moon, viste le pressioni internazionali, chiede al capo missione Sellström di accelerare le analisi dei campioni raccolti sul posto. Ma in ogni caso esistono tempi tecnici non trascurabili. L’occidente ha fretta, gli americani si stanno preparando all’attacco.

Il resto è storia recente. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e il Segretario di stato americano Jonh Kerry hanno trovato un accordo di comodo sulle armi chimiche. Il governo di Damasco ha accettato le condizioni e per il momento il rischio di un intervento straniero armato è scongiurato. Ma una domanda rimane in sospeso: «Perché Bashar al-Assad avrebbe dovuto sollecitare un’indagine Onu?». Ora, che nella Siria della sporca guerra civile - combattuta sottotraccia da una moltitudine di spioni di tutto il mondo - non ci siano bravi ragazzi è evidente. Non lo è Assad, pronto a sacrificare il suo popolo. Non lo sono i ribelli, diventati avidi banditi - come ci racconta Domenico Quirico - legati agli jihadisti "amici sospetti dell’occidente".

Forse gli ispettori delle Nazioni Unite, che dovranno tornare in Siria per completare la loro indagine, sapranno rispondere a questa domanda. Speriamo nel più breve tempo possibile, e soprattutto nell’auspicio di dare una reale svolta diplomatica ad una crisi che rischia di allargarsi a macchia d’olio, trasformando quell’area in una polveriera incontrollabile.

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