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L’addio di Tranfaglia ai DS

Publie le mercoledì 4 febbraio 2004 par Open-Publishing

«I Ds? Un partito fuori dal mondo»

Lo storico Nicola Tranfaglia spiega le ragioni del suo addio alla
Quercia: «Non potevo più condividere un’idea della politica basata
solo sui sondaggi e sul fastidio per i movimenti. Sbaglia anche chi
dice no ma resta dentro. E’ necessario il ritorno a una stagione di
ideali e di impegno».

«No, non ce la facevo proprio più. Grazie, grazie a tutti...». Nicola
Tranfaglia non riesce ad aver tregua dal telefono. A casa dello
storico torinese e al suo portatile è un continuo squillare di
chiamate di solidarietà dopo la decisione di lasciare i Ds.

Lei abbandona la Quercia in polemica su tutti i fronti. Ma è stata il
triciclo la goccia che ha fatto traboccare il vaso?

Non ho maturato questa decisione negli ultimi giorni, ma negli ultimi
due anni e mezzo, perché non sono stato d’accordo su una serie di
punti abbastanza importanti, quali il tipo di opposizione condotta dal
partito al governo Berlusconi, un’opposizione che in varie occasioni
ha cercato forme di dialogo e addirittura di accordo con la
maggioranza. Non sono stato d’accordo con la politica economica e
sociale dei Ds, perché a mio avviso ha ceduto troppo a impostazioni
liberiste e non coerenti con una tradizione di sinistra. Non sono
stato d’accordo con la posizione assunta sulla guerra preventiva e
sull’invio dei militari prima in Afghanistan e poi in Iraq. Aggiungo
una cosa, per me molto importante: non sono stato d’accordo sulla
concezione della politica che indirizza la leadership di Fassino e
D’Alema.

Cosa intende per concezione politica?

Recentemente ho scritto un libro che si chiama «La transizione
italiana»: ha venduto 10 mila copie in 45 giorni e sta per essere
tradotto in diverse lingue. Questo mio invito alla discussione sugli
errori del centrosinistra nel periodo di governo, non solo è stato
ignorato, ma addirittura boicottato. La volontà di non discutere, di
lasciare tutto com’è, di percorrere stessa via che ci ha portato alla
sconfitta del 2001 è la cosa che mi ha convinto. Siamo alla vigilia di
un triennio decisivo, in cui si decideranno da un lato le sorti
dell’Italia e dall’altro quelle della sinistra. Si tratta di due cose
che mi stanno molto a cuore, quindi non posso assolutamente rimanere
nei Ds. Di fronte a questo, sentire dire al segretario che le mie
dimissioni sono curiose, mi fa pensare che viva in altro mondo.

Si potrebbe obiettare che si sapeva: che la strada di Fassino e
D’Alema era chiara e che forse lei, come altri, è stato illuso da
Cofferati...

Diciamo le cose come stanno: sicuramente mi sono trovato d’accordo con
Cofferati e, come milioni di persone, sono stato deluso dalla sua
scelta di andare a Bologna. Ma ammetto che sono un tardigrado: ci ho
messo due anni e mezzo a capire perché volevo fosse una posizione
ponderata. Ma sono contento, perché almeno non ho scrupoli. Ho buttato
via dieci anni di lavoro politico all’interno del partito sperando che
certe cose si realizzassero, poi ho dovuto prendere atto che non si è
verificato.

Ammetterà che anche nella polemica sulle liste per le europee c’è poco
di nobile: nessuno hai mai creduto all’intesa triciclo-movimenti...

Questi sono i vizi della politica italiana: la spinta ideale purtroppo
è ancora debole, ma devo ricordare che nel `95-’96, lavorando dal
basso, si raggiunsero risultati notevoli.

Ma oggi anche la base, i girotondi, i movimenti, le associazioni, si
sono in qualche modo partitizzati: mercanteggiano...

Per l’esperienza che ho io, molto di meno; forse non hanno avuto il
tempo. Eppoi bisogna pensare agli elettori. A me fanno ridere gli
esponenti delle correnti interne che dicono «no, ma restiamo nei Ds».
Loro non determinano mica l’elettorato: quello è composto da una base
che non ha la forza di creare alternative, ma basta sondarla alle
feste dell’Unità per capire quanto sia vogliosa di cambiamenti. Non mi
pare che ciò che dicono i partiti sia la traduzione di quello che
dicono le persone. Mi sembra anzi che ci siano dei margini per mettere
insieme le culture fondamentali della repubblica e creare qualcosa di
nuovo.

L’ennesimo partito o lista elettorale?

Non sono un politico di professione, posso permettermi il lusso di una
politica ideale. A me la politica spartitoria non interessa, ho fatto
la mia carriera in un altro campo.

Le avranno comunque già offerto una candidatura dopo il suo strappo...

Già in due. Ma io non ho intenzione di candidarmi e non ho intenzione
di aderire ad altre formazioni politiche: voglio lavorare nell’Ulivo,
nell’associazione Altera che ho costituito a Torni, nei movimenti. Mi
pare che politici di professione siano chiusi nella loro carriera
personale o di gruppo. Invece è necessario che torni un’idea politica
fatta di ideali, impegno e - adopero perfino un termine democristiano
 di servizio. Anche la politica intesa come servizio è meglio di
quella come carriera. Posso aggiungere che sono convinto che la
sinistra stia attraversando un crisi molto grave; e che quindi non
sarà facile. Bisogna ricominciare a progettare, mentre i massimi
dirigenti non vogliono riflettere. Il problema è la loro concezione
della politica: puramente berlusconiana in quanto legata ai sondaggi e
cinica per quanto quello che conta sono, appunto, i sondaggi da una
parte e i media dall’altra. E sono tanto più preoccupato perché non mi
pare che ci saranno grandi intervalli tra le europee e le prossime
politiche: mi sembra che la battaglia cominci fin da ora.

E la lista Di-Pietro-Occhetto a suo avviso può aiutare a vincere
questa sfida?

Se Occhetto e Di Pietro e se anche il Pdci fanno una lista aperta come
dichiarano, tutto questo può in qualche modo rafforzare la sinistra.
Non è solo il problema della lista, è molto di più: è questa
accettazione della flessibilità, l’atteggiamento verso i giovani, la
concezione del mondo e della vita da parte della sinistra. Penso che
la sinistra si debba evolvere: una cosa è non essere comunisti, altra
è una concezione della democrazia che non ha nulla a che fare con la
sinistra, per cui movimenti dal basso sono sempre pericolosi e fastidiosi.

Questo forse è il tratto di maggiore continuità con la trazione dei
partiti comunisti...

Infatti, è un soviet di nuovo tipo: realizzare il partito dopo aver
buttato via i contenuti. In questo senso l’uomo esemplare è Massimo
D’Alema: ha un modo di trattare le persone del partito come fossero
puri numeri, poi lui dice la sua. L’ultimi mi ha veramente colpito:
come si fa a dire, prima della riunione dei gruppi, che bisogna
astenersi sulla missione in Iraq?

il manifesto