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L’angoscia unisce Parigi e oscura l’odio razziale

Publie le giovedì 2 settembre 2004 par Open-Publishing

di Massimo Nava

PARIGI - Nell’angosciante attesa della sorte degli ostaggi, la Francia offre al mondo una formidabile immagine di abilità diplomatica, coesione politica e unità nazionale, stemperando nella solidarietà ai giornalisti rapiti e nella condanna del terrorismo fenomeni endemici di frattura sociale, odio razziale e scontro religioso esaltati recentemente dal dibattito attorno alla legge sul velo islamico nelle scuole pubbliche. Il ricatto e l’emozione collettiva hanno paradossalmente unito ciò che appariva diviso e sul punto di esplodere: in ambito scolastico, in circoli culturali e politici e nei meandri di periferie invivibili.

Il dramma non ha scatenato nevrosi e speculazioni: al contrario ha tenuto insieme maggioranza e opposizione e confermato - come ha ribadito nelle capitali arabe il ministro degli Esteri, Michel Barnier - il rifiuto dello scontro di civiltà fra occidente e mondo islamico. In una partita delicatissima, Parigi ha messo sul piatto i profondi legami con il mondo arabo (con Stati e rispettivi governi, in parte anche con i popoli) senza rinnegare l’opposizione alla guerra irachena e i valori repubblicani che hanno ispirato l’oggetto del ricatto, la legge sulla laicità.

L’impegno e la mobilitazione delle rappresentanze musulmane fanno oggi prevalere identità e integrazione nella società francese sull’appartenenza religiosa. L’inizio dell’anno scolastico, che si prevedeva incandescente, si annuncia tranquillo, senza provocazioni, nello spirito «pedagogico» della legge stessa, anche perché nemmeno le frange più estreme vogliono correre il rischio di essere amalgamate ai sequestratori. Tutti, in qualche modo, si sentono obbligati a dissociarsi.

Proprio ieri, il ministro dell’Educazione nazionale, François Fillon, visitando un liceo della periferia parigina, ha ricordato che la legge «risponde ad una certa idea dell’uomo, della Francia e del vivere insieme» e che si torna fra i banchi all’insegna della fratellanza. Con sottile abilità, il messaggio indiretto - anche ai rapitori - è che la legge verrà applicata, ma con prudenza e dialogo, senza intendimenti repressivi e ottusità burocratiche.

E’ evidente che una conclusione positiva della vicenda non potrà che confermare ed esaltare quelli che per ora sono un insieme straordinario e non sempre decifrabile di intenti, propositi, segnali mediatici e prese di posizione coraggiose. Per inciso, come avvenne per una vicenda di tutt’altro spessore (la battaglia elettorale contro il Fronte nazionale di Le Pen), il rilascio dei giornalisti rappresenterà un indubbio successo - d’immagine e di statura internazionale - per il presidente Jacques Chirac, soprattutto sul terreno a lui più congeniale dell’attaccamento ai valori e al ruolo della Francia sulla scena mondiale.

Ma è altrettanto evidente che l’esecuzione degli ostaggi potrebbe rovesciare in negativo lo stato d’animo di un Paese che, se non fossero in gioco la vita e la morte, potrebbe essere definito in queste ore persino esaltante. Nel labirinto iracheno, dove il sequestro è divenuto una tragica «routine» questo dei due giornalisti francesi è diventato evento eccezionale, collocando una vicenda umana nello scenario più vasto delle ragioni della guerra e dei valori della società francese. Il non piegarsi della Francia al ricatto significa anche non rinnegare la razionale convinzione che il terrorismo si possa sconfiggere senza le bombe.

Anche i musulmani di Francia, oltre cinque milioni, hanno capito di essere in queste ore sotto ricatto, un «ostaggio di massa» che il terrorismo vorrebbe manovrare, spingere verso derive senza ritorno. Se però da Bagdad arrivassero le immagini di una barbara esecuzione, il malessere della società francese, oggi in qualche modo anestetizzato, potrebbe aggravarsi, aggiungendo capitoli al copione largamente documentato dalle cronache quotidiane: tensioni etniche, antisemitismo, emarginazione delle periferie, ostilità razziale verso immigrati e comunità musulmane, con ovvii riflessi su comportamenti collettivi e scelte politiche.

Senza escludere che la morte dei due giornalisti possa obbligare la Francia ferita e aggredita a ripensare la propria politica, ad interrogarsi sul proprio disimpegno nella vicenda irachena, a rinunciare allo sforzo del dialogo, sia interno che internazionale, di questi mesi. Il sequestro - ecco un altro paradosso - ha rafforzato questa politica.

La lucida follia omicida dei terroristi potrebbe renderla vana e illusoria.

http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=ESTERI&doc=T30T2