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L’appello di Abbado per ARTE

Publie le lunedì 16 febbraio 2004 par Open-Publishing

lettori di "Repubblica" con Abbado. Ora Parla Clément. Articolo 21 lancia l’appello
Postato il Monday, 16 February @ 14:22:41 CET di articolo21

Il direttore d’orchestra aveva denunciato il monopolio dell’informazione tv

LEONETTA BENTIVOGLIO

ROMA - La protesta di Claudio Abbado contro l’assenza di Arte dalla tivù italiana ha colto nel segno. Una messe di lettere, telefonate e messaggi e-mail alla nostra redazione è giunta a sottoscrivere entusiasticamente l’intervista che il grande direttore d’orchestra ha rilasciato lunedì scorso a la Repubblica, segnalando l’esclusione dai nostri teleschermi del canale europeo dedicato alla cultura e privo di pubblicità, e attaccando senza mezzi termini «il monopolio dell’informazione televisiva in Italia». Ora si sta ipotizzando, a partire dalla prossima settimana, l’apertura di un Forum d’interventi e iniziative in favore dell’introduzione di Arte in Italia (sul sito www.articolo21.com, che s’occupa di temi legati alla libertà d’espressione).

Sottoscrivere l’appello a
www.articolo21liberidi.org

sottoscritti cittadini sottoscrivono l’appello di Claudio Abbado a difesa di Arte. Non è possibile escludere dai nostri teleschermi il canale europeo dedicato alla cultura e privo di pubblicità. Si tratta di un ulteriore segnale del monopolio televisivo cui è soggetta l’Italia.

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Nel frattempo Jérôme Clément, presidente di Arte, dichiaratosi «felice della presa di posizione netta e forte di Claudio Abbado», ha accettato di rispondere ad alcune domande.
Perché l’Italia è il solo paese dov’è impossibile ricevere Arte?
«La nostra rete non è diffusa da Sky Italia. Tempo fa concludemmo una serie di accordi con la Rai, ma vennero applicati solo per pochi mesi, tra il 1996 e il 1997. Siamo venuti spesso in Italia, paese che amiamo molto, e nel ?98 abbiamo organizzato un convegno sulla cultura italiana a Parigi e sulla cultura francese a Roma. Resta comunque desolante il fatto di non poter essere visti nel vostro paese, e di non poter lavorare con talenti italiani, a parte eccezioni come Nanni Moretti o Mimmo Calopresti, dei quali abbiamo coprodotto i film».
La rete ha una diffusione compatta in Europa?
«È un canale di specifica identità europea, nel senso che s’interessa a tutto ciò che esiste e si fa in Europa. Un giornale della cultura rende conto tutti i giorni, alle 20, degli avvenimenti culturali europei. Eravamo presenti all’apertura della Fenice, come lo siamo ai Festival di Salisburgo, Aix en Provence, Avignone e Berlino. Ma seguiamo anche quel che accade in Russia, in Asia e nelle Americhe, per quanto riguarda il cinema e i documentari. Trasmettiamo in tutta Europa, e anche al di là, nel bacino mediterraneo e nel Caucaso. Ogni settimana siamo seguiti da dodici milioni di telespettatori in Francia e in Germania, a cui vanno aggiunti il Belgio, l’Austria, la Svizzera e ancora Israele, con 80.000 persone. Senza contare il Marocco, l’Algeria e la Tunisia. Si va in onda dalle 14 alle 3 del mattino, e produciamo il 70% dei nostri programmi».
Che tipo di accordi avete coi vari paesi europei, a parte, ovviamente, l’Italia?
«Il Belgio, l’Austria e la Polonia sono nostri membri associati, e in Svizzera, in Spagna, nei Paesi Bassi e in Filnandia le varie televisioni pubbliche hanno favorito la diffusione dei nostri programmi. Abbiamo una relazione molto fruttuosa anche con la BBC».
È possibile riavviare una trattativa con la Rai?
«Stiamo riprendendo i contatti per cercare di essere trasmessi in digitale. Abbiamo fatto di recente un’offerta concreta alla Rai, e non sappiamo ancora se le sarà dato un seguito. Perché un canale della tivù digitale terrestre non potrebbe essere dedicato a Arte? Perché i telespettatori italiani dovrebbero essere i soli in Europa a esserne privati? Dopo la creazione di Arte, nel 1992, non ho mai smesso di lavorare per trovare un accordo con l’Italia, anche se l’instabilità dei dirigenti e l’assenza di una chiara volontà politica finora lo hanno impedito».