Home > L’inchiesta G8 resta a Genova
Imminente la richiesta di rinvio a giudizio con l’accusa di aver
commesso violenze e costruito prove contro i no global
Respinta l’istanza dei poliziotti indagati per la Diaz
Genova La decisione è arrivata e ha confermato boatos e sussurri che
ormai si rincorrevano da più di una settimana. Il processo per il blitz
alla scuola Diaz, il processo per la violenta irruzione che segnò l’atto
finale di due giorni di scontri al G8 del 2001, resta a Genova. No allo
spostamento a Torino, ha sentenziato la procura generale della
Cassazione. Innescando un meccanismo a cascata che, nel giro di pochi
giorni, farà partire la richiesta di rinvio a giudizio per dirigenti,
funzionari e agenti che parteciparono al blitz. Indagati per abuso
d’ufficio, lesioni aggravate, calunnia e falsità ideologica per quanto
avvenne nella notte tra il 21 e 22 luglio 2001.
Non ci sono quegli indizi di reità contro il sostituto procuratore
Francesco Pinto, pm della procura di Genova, di turno nei giorni del G8,
che alcuni funzionari e agenti coinvolti avevano indicato per chiedere
il trasferimento dell’inchiesta. La richiesta era stata avanzata da
Francesco Gratteri, capo dello Sco (Servizio centrale operativo) nei
giorni del G8 e attuale numero due dell’antiterrorismo. E poi di
Giovanni Luperi, Gilberto Caldarozzi, Filippo Ferri, Daniele Di Novi e
Renzo Cerchi.
Il provvedimento della Procura generale della Corte di Cassazione, porta
la firma del sostituto procuratore generale Antonio Abbate. Uno dei
magistrati rimasti in corsa per l’incarico di numero uno alla procura
generale di Roma.
Quattro pagine scarse. Abbate scrive che tutte le circostanze elencate
dai poliziotti «non consentono di enucleare ulteriori comportamenti e
concrete attività meritevoli di valutazione ai fini penali e di
individuare, così, a carico del dottor Pinto elementi indizianti di
oggettivo rilievo di un suo coinvolgimento nella formazione degli atti
di investigazione e, dunque, di un suo concorso nelle ipotesi
accusatorie già contestate ai funzionari di polizia».
Ma quali erano, per i difensori dei poliziotti sotto inchiesta, le
"colpe" di Pinto? E’ una storia complessa, che affonda le radici in uno
degli interrogatori più drammatici dell’inchiesta. Davanti al pm Enrico
Zucca c’è l’ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola, oggi al
vertice della polizia postale della Liguria. Si parla della
perquisizione alla scuola Diaz e alla collocazione di due bottiglie
incendiarie. Attenzione: sono le false prove con cui si giustificarono
poi 93 arresti. In realtà i due ordigni furono portati nell’istituto da
due poliziotti.
Rileggiamo il passo più importante di quell’interrogatorio. Mortola
spiega: «Siccome non si sapeva esattamente dove erano state trovate
queste bottiglie... da come mi ha detto il dottor Ferri (dirigente della
squadra mobile della Spezia, ndr), parlandone con il dottor Pinto... si
è detto mettiamole... praticamente vicino all’atrio di ingresso perché
era nella disponibilità di tutti».
Spiega ancora il pg Abbate, nel provvedimento depositato ieri, che «ai
pm che gli chiedevano ulteriori chiarimenti, però, Mortola allegando uno
stato emotivo, di agitazione, ha immediatamente e formalmente
rettificato e ritrattato le precedenti affermazioni, dicendo che non
corrispondono al vero, essendo frutto di uno sbaglio». Abbate rileva
ancora che lo stesso Ferri, nel corso dell’interrogatorio «ha
decisamente escluso la circostanza contestata, sostenendo di non
conoscere nemmeno Pinto e di non aver mai avuto contatti quella notte
con lui».
Tre gli elementi che hanno convinto il pg Abbate. Il primo: «Il
riferimento confuso a presunti contatti telefonici tra Pinto e Ferri
appresi peraltro de relato». Il secondo: «l’immediata rettifica» di
Mortola delle sue affermazioni. Terzo e ultimo: «Le categoriche
smentite» di Ferri. Un quadro impalpabile. Troppo evanescente per poter
solo sospettare di qualche reato commesso dal pm genovese Pinto.
ilsecoloxix