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L’incredibile perizia medica per la Ligresti
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Publie le lunedì 4 novembre 2013 par # - Open-Publishing1 commento
La galera non si augura a nessuno, nemmeno ai nemici. Nemmeno ai ricchi, stavo per dire. Poi mi è capitato questo articolo scritto peraltro sul moderatissimo Repubblica, dalla certo non estremista - ma seria - sociologa Chiara Saraceno, e mi sono fermato.
Il problema è in fondo semplice: i ricchi in galera ci vanno poco, e solo in casi estremi, perché hanno loro il pallino del potere in mano. Loro hanno segnalato buona parte dei governanti per la nomina, loro possiedono le conoscenze e i numeri i numeri di telefono giusti, lo possono "sistemare" situazioni che per qualunque comune mortale sono drammatiche.
Loro possono naturalmente anche pagare medici, periti e periti medici. Ma fin qui mai era capitato di sentir teorizzare - da un perito affettuoso, ma evidentemente poco attento alla propria credibilità - che chi è possidente "non può" sopravvivere alla galera perché troppo abituato a diversi e più salubri standard di vita. I poveri. invece, e come si sa, possono tollerare tutto. Anche la galera. Per fortuna che siamo di sana e robusta costituzione, anche se con le tasche vuote...
Vien quasi di rimpiangere i tempi in cui era prevista la galera per debiti... e anche per i fallimenti. Tre quarti della classe dirigente attuale, a partire da quella imprenditorial-finanziaria, sarebbe permanentemente "al gabbio".
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Forse a Giulia Ligresti non occorreva neppure l’interessamento della ministra della Giustizia Cancellieri perché il tribunale valutasse il suo stato di salute come troppo rischioso per la sua incolumità psico-fisica e quindi ne decidesse la scarcerazione. Bastava la sua condizione di persona ricca e privilegiata, non abituata quindi ai disagi. Secondo la perizia medica alla base della decisione del tribunale, infatti, proprio la sua condizione di persona abituata ai privilegi e agli agi l’ha resa particolarmente inadatta a sostenere l’esperienza carceraria. Secondo il perito, Giulia Ligresti soffriva “di un disturbo dell’adattamento, che è un evento stressante in modo più evidente per chi sia alla prima detenzione e in particolar modo per chi sia abituato a una vita particolarmente agiata, nella quale abbia avuto poche possibilità di formarsi in situazioni che possano, anche lontanamente, preparare alla condizione di restrizione della libertà e promiscuità correlate alla carcerazione».
Se ne deduce che invece chi non è abituato a una vita particolarmente agiata ha più facilità ad adattarsi alle condizioni di vita in carcere. Ne deriva, per seguire fino in fondo la logica di questo ragionamento, che l’istituzione carceraria deve essere particolarmente attenta ai bisogni e alle difficoltà di chi arriva in carcere da una vita di privilegi. Una attenzione che invece non è necessaria nei confronti dei poveri cristi che ci arrivano da vite modeste. Le “difficoltà di adattamento” di questi ultimi, e più generalmente il loro malessere, devono essere molto più vistosi per avere una possibilità di essere presi in considerazione. E non sempre ciò basta, proprio perché mancano loro le conoscenze, il know how, per mobilitare perizie e richiamare l’attenzione. Se poi, oltre a non essere agiate, presentano anche qualche tipo di vulnerabilità sociale (piccoli precedenti, tossicodipendenza, segnalazione ai servizi sociali e simili), le loro condizioni di malessere rischiano di essere sistematicamente ignorate o sottovalutate — qualche volta fino alla morte, come è avvenuto per il povero Cucchi: prima picchiato da chi lo aveva arrestato, poi lasciato morire dai medici per carenza di assistenza medica e per mancanza di cibo e di liquidi.
La ministra Cancellieri afferma di essere intervenuta per motivi umanitari e di averlo fatto in un altro centinaio di casi rimasti sconosciuti e riguardanti sconosciuti. Sarà sicuramente vero. Ma proprio per questo preoccupante, soprattutto se messo insieme alle argomentazioni del perito del caso Ligresti. Segnala che, nel girone infernale delle carceri italiane, la possibilità che i detenuti continuino a essere considerati esseri umani con diritto alla dignità e integrità personale e alla cura è affidato — come nell’ancien régime — alla discrezionalità di chi ha il potere di accogliere una supplica o ai privilegi riconosciuti alla ricchezza e allo status sociale — incluso il privilegio di vedersi riconosciuto un plus di vulnerabilità e sofferenza.
Quanti altri detenuti si trovano in condizioni di “disadattamento grave” alle condizioni carcerarie, ma non hanno modo di attirare l’attenzione della ministra, o non viene loro neppure in mente di poterlo fare, e non sono abbastanza agiati da sollecitare la comprensione di un perito? Se non affronta l’ineguale diritto all’umanità dei detenuti nelle carceri italiane, il diritto alla propria umanità rivendicato dalla ministra non è altro che la rivendicazione del diritto alla discrezionalità benevola in assenza di diritti e garanzie per tutti.
Chiara Saraceno
Da La Repubblica 3 Novembre 2013
Messaggi
1. L’incredibile perizia medica per la Ligresti, 5 novembre 2013, 16:25
La vicenda Cancellieri tra ovvietà e emergenza
di Marco Rigamo
4 / 11 / 2013
Nella Casa circondariale di Ferrara una settimana fa è morto Egidio, 81 anni (non è un refuso: ottantuno anni), in sciopero della fame da 10 giorni per protestare contro il giudice che gli aveva rigettato l’istanza di detenzione domiciliare. A Secondigliano due settimane fa Antonino, 61 anni, è morto per un tumore al cervello. Pochi giorni prima a Rebibbia era morto Sergio, 82 anni, che pur essendo stato già colpito da un ictus era ancora in galera. Tempo prima a Opera Walter, paraplegico di 58 anni, era morto carbonizzato nell’incendio della sua cella. A Sassari Jaques, 66 anni, prima di morire ha combattuto per cinque anni contro un cancro al pancreas, chiedendo inutilmente di curarsi all’esterno e di poter morire accanto ai propri cari, in Belgio. Nessuno dei familiari di questi detenuti aveva il numero di cellulare del ministro di Giustizia.
Ora gode della sua massima amplificazione mediatica lo “scandalo” attorno all’intervento della ministra Cancellieri, avvenuto immediatamente dopo l’esecuzione degli ordini di arresto per Ligresti e figli, affinché i magistrati inquirenti e i vertici dell’amministrazione penitenziaria valutassero lo stato di salute dell’imputata Giulia come troppo rischioso per la sua incolumità psicofisica. Che infatti dopo 40 giorni di custodia cautelare è stata assegnata agli arresti domiciliari.
"Qualunque cosa io possa fare, qualsiasi cosa serva, non fate complimenti…"
Ma lo scandalo dove sta? Qui siamo al vecchio “a Frà, che te serve?”, regola d’oro della politica nostrana dal dopoguerra in avanti, siamo davanti alla più banale delle collusioni tra ceto politico di potere e affari (sporchi), non c’ è proprio niente di nuovo. Intervento tanto più ovvio in quanto effettuato all’indomani dell’avvio di un’inchiesta giudiziaria su un colosso come Fondiaria Sai al vertice del quale nella primavera del 2011 arrivò Piergiorgio Peluso, che della ministra è figlio, salvo andarsene un anno dopo, prima che scoppiasse la tempesta, con una buonuscita di tre milioni di euro (cifra – questa sì – scandalosa).
Nessuno scandalo può d’altra parte destare il contenuto della perizia medico legale alla base della quale i giudici hanno disposto la scarcerazione: la condizione di persona abituata agli agi e ai privilegi propria di Giulia Ligresti l’ha resa particolarmente inadatta a sostenere l’esperienza della detenzione. Certo. Infatti in carcere di ricchi non ce ne sono.
I poveri cristi, magari forestieri che fuggono da miseria e guerre o tossicodipendenti costretti al piccolo spaccio, le difficoltà di adattamento le superano alla svelta. Se no pazienza. Stefano Cucchi chiedeva solo di essere assistito: in realtà, parafrasando l’on. Giovanardi, era solo un piccolo delinquente che ha avuto quello che si meritava. E tutti gli altri che ritengono di trovarsi in condizioni di disadattamento grave rispetto alle coordinate di vita dello stato di detenzione adesso sanno di potersi rivolgere ad un ministro particolarmente incline all’interessamento umanitario e solidale.
In attesa che la ministra si occupi quindi personalmente dell’interezza della popolazione reclusa che a lei di certo si rivolgerà non appena il suo numero privato verrà reso pubblico, è possibile suggerirle l’istituzione del Garante nazionale per la tutela dei diritti dei detenuti, una politica diversa da parte dell’amministrazione penitenziaria in ordine a trasferimenti, salute, condizioni di detenzione e di relazione con i familiari.
Potrebbe attivarsi affinché le Camere aboliscano di corsa leggi in tutta evidenza carcerogene come la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi per affrontare in termini radicalmente attualizzati le contraddizioni espresse dai flussi migratori e dalla circolazione delle sostanze stupefacenti.
Potrebbe intervenire sulla recidiva e sulle misure alternative. Potrebbe indicare al legislatore qualche percorso possibile di umanizzazione dell’intero pianeta carcere, prima che la Corte di Giustizia europea non ci inchiodi alle nostre responsabilità dando corso agli oltre 500 ricorsi, e relativa richiesta di risarcimento, pendenti in ragione delle condizioni inumane e degradanti in cui versa, con conseguente grave danno economico per le già malandate casse dello Stato.
Potrebbe infine rivolgersi al suo amico Napolitano per affrontare assieme l’unico vero scandalo, la vera emergenza di una popolazione detenuta in esubero di circa 25.000 unità: quelli della mancata approvazione di un provvedimento immediato di amnistia e indulto, riportando la maggioranza necessaria per l’approvazione a quota ordinaria invece che qualificata a due terzi delle Camere.
E chissenefrega se Berlu ne gode o meno ! ( peraltro un’amnistia non inciderebbe sulla sospensione dai pubblici uffici di Berlu e quindi sulla sua incandidabilità per un incarico parlamentare, NdR).
Come dice quel vecchio detto carcerario: sempre meglio un detenuto in meno, quand’anche fosse un pezzo di merda.
Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: smettetela di prenderci per il culo.
http://www.globalproject.info/it/in_movimento/difficolta-di-adattamento/15628