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L’informazione insabbiata da allarmi e virgolette
par Antonio Cipriani
Publie le martedì 22 ottobre 2013 par Antonio Cipriani - Open-PublishingA che gioco giocano i media? Allarmismi e virgolette dei politici. Ma non è questa la narrazione della realtà che i nostri figli meriterebbero.
Che narrazione fa della società in cui viviamo l’informazione? La racconta, la travisa, la piega agli interessi di chissà chi, la ignora, la ricostruisce plastificata dentro un sistema di falsificazione mediatica? Diceva un vecchio capo cronista: mai cominciare o finire un pezzo con le domande. Giusto. Così a forza di non cominciare e non finire, si è passati a non porsele neanche più le domande. A lasciarsi scorrere addosso l’inesistenza di un rimbombare mille notizie, allarmismi e virgolettati. Perdendo di vista il senso del meccanismo informativo e dimenticando il valore della conoscenza legata ai fatti, per costruirsi opinioni, per essere cittadino attivo e partecipare alla democrazia, alla politica alle scelte che ci coinvolgono.
Così accade che la manifestazione di Roma, quella di sabato scorso, venga raccontata in due modi diversi da chi c’era e da chi ha spiegato sui giornali un’altra storia. La solita storia, viene da dire, fatta di veline e allarmi, di paura indotta e un sottile e costante suggerimento a restarsene a casa. A non manifestare. A farsi una bella cultura politica e sociale, seduti comodamente sul divano di casa, davanti ai tanti approfondimenti informativi televisivi. A non partecipare quindi. A Roma (travolta dall’allarmismo) come ad Albano contro Priebke. Tantomeno in Val Susa. Perché lì la militarizzazione della Valle e il pugno di ferro in difesa della Grande Opera Inutile rappresentano la punta più avanzata del problema. Ossia, la politica messa a garantire gli interessi privati. Con i media a fare da cassa di risonanza. Nessuno escluso tra i gruppi di potere principali che possiedono la libertà d’informazione.
Da una parte la realtà in affanno, che meriterebbe una narrazione vera. Dall’altra il giornalismo dei virgolettati politici dettati alle agenzie, del microfono anonimo messo davanti alla bocca del dichiaratore, dei verbali dei magistrati, delle veline dei potenti uffici di Pr, dei vantaggi che discendono dall’essere utili al sistema che strilla, dibatte in tv, ma non incide. Gattopardesco tributo al conformismo degli eroi mediatici. Capaci di infervorarsi per la difesa del bene comune a Gezi Park, contro la violenza della polizia in Turchia, e di volgere lo sguardo altrove quando accadono qui le stesse cose.
Già, quale alternativa che estenda le capacità culturali e partecipative oltre lo spazio fisicamente ristretto del telecomando? Per esempio - per cominciare a parlare di cose buone e a guardare al futuro - a Macao, a Milano, è iniziato un progetto che si chiama: Dialoghi sul giornalismo. Cinque incontri per farsi un’idea, senza twitstar o altri guru dei media tradizionali (come va di moda in festival e rassegne varie), ma con una partecipazione curiosa e aperta. E, soprattutto, non sulla solfa solita alla Nostradamus di come saranno i media tra 10 anni, o come traghettare gli interessi dei grandi gruppi nell’epoca dell’interazione con i lettori e altre amenità: discussione su temi-chiave. Che partono dall’utilità del giornalista, passando al rapporto tra proprietà e controllo dei media (interessante.); poi se è davvero possibile un modello di informazione libero e indipendente; come approfondire i temi nel periodo storico dell’invasione delle breaking news. I ragazzi di Macao sono sempre curiosi. Interessante ascoltarli.
Che poi sarebbe rivoluzionario, per fare conoscenze condivise, la capacità di sguardo e di ascolto. E sarebbe democratico restituire ai ventenni di oggi una speranza che non sia solamente diventare più bestie da soma dei fratelli maggiori: accettare più ricatti, ritenere assolutamente necessaria l’obbedienza e la dimenticanza della propria coscienza critica. Dico dei ventenni perché quando capita di vederli in azione, nel volontariato antimafia come nei laboratori, si coglie una scintilla ancora accesa. Una voglia di cambiare il mondo, che andrebbe salvaguardata e non soffocata. Educata all’ascolto e alla libertà, non veicolata verso il compromesso e la rassegnata accettazione di una società senza merito e senza diritti, scintillante di false rivoluzioni e paradossali eroi di cartapesta. Non è pensabile che non possa esistere una speranza di futuro diverso, a partire da un’informazione con meno scoop, meno strilli e allarmismi, e più storia di ogni giorno. Nel nostro piccolo, nella Globalist Syndication, non ci arrendiamo.
http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=50383&typeb=0