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L’invasione dei Liberali Giganti

Publie le martedì 28 settembre 2004 par Open-Publishing

Dazibao


di ALESSANDRO ROBECCHI

Le idee liberali andrebbero vendute in farmacia. Con l’attuale mercato selvaggio,
chi si nutre di idee liberali ne vuole di più, poi ancora di più, vuole aumentare
le dosi, non gli basta mai, finisce col fregarti la pensione per comprarsi il
liberismo. Seguo quindi con una certa ansia l’invasione dei Liberali Giganti,
la cui missione è ovviamente conquistare il mondo, abbattere a testate il welfare
e sostituirlo al più presto con le mirabilie del mercato.

La storia è vecchia e gira sempre intorno alle stesse parole: (sociale, libertà,
eccetera) e in certe analisi il liberissimo mercato pare proprio un paradiso
con i fiumi di latte e miele. Tanto bello e mirabolante che una domanda viene
spontanea: dov’è la sòla?

Come spiega Giuseppe De Rita (sul Corriere), due concezioni del «sociale» si
danno battaglia in campo aperto. Una, vecchia, barbogia e polverosa (lui dice «declinante»)
sarebbe quella che vuole il sociale come «impegno alla copertura pubblica dei
bisogni collettivi».

Cioè lo stato sociale: tu paghi (in proporzione) e lo stato ti assicura scuole, sanità, pensioni e altri servizietti dannatamente illiberali (mi consenta). L’altra concezione del sociale è invece più moderna e luccicante: «l’accesso popolare a beni e servizi resi sempre meno costosi dal mercato e dalla concorrenza».

Insomma si dibatte su cos’è veramente sociale: avere un ospedale a portata di mano oppure comprarsi il letto svedese in truciolato per cento euro? Prendere una pensione dopo quarant’anni di lavoro oppure volare a Londra con cinquanta euro?

Tutti aspettiamo il momento del Grande Baratto, quando ci verrà detto chiaro e tondo: ehi, amico, vorresti anche la scuola pubblica? Non essere avido, ti abbiamo già dato la tendina della doccia a soli 9 euro e 90! Lascerò perdere qui, per carità di patria, la boutade del professor Padoa-Schioppa (sempre sul Corriere) che i Liberali Giganti prendono tanto sul serio.

Papale-papale: «Oggi la giovane coppia che vive con mille euro al mese può arredare casa, ascoltare ottima musica o andare con facilità a Londra grazie ai prezzi di Ikea, Naxos e Ryan Air... Dove sta il sociale?».

Capito che culo, gente? Vivete in due con mille euro, magari con contrattini chewingum, precari, a termine o a progetto, però dovete ammettere che vi vendiamo i dischi con lo sconto.

Ganzi, eh! Cominciavo a preoccuparmi. Com’è - mi dicevo - che queste lungimiranti teorie non vengono al più presto riprese e rilanciate? Detto, fatto. Ecco Piero Ostellino che (sempre sul Corriere, è un’epidemia!) ci invita a «pensare liberale» e rilancia alla grande, passando dal supermarket alla filosofia. Cosa ci impedisce di essere liberali?

Il nostro ottuso identificare l’idea di benessere con l’idea di libertà, mentre è chiaro ai Liberali Giganti che benessere e libertà sono due cose completamente diverse e slegate tra loro. Testuali parole: «In realtà più benessere non genera più libertà. Chi dorme al Grand Hotel non è più libero di chi dorme sotto i ponti». Visto? Non è una questione di libertà, semmai di artrite!

Non è che ti costringiamo a vivere sotto i ponti, amico, cerca di capire, sei tu che sei povero. E invece i cattivi che non vogliono abbassare le tasse e si oppongono a un «ridimensionamento del welfare» minano sì la libertà, eccome. Quale libertà viene violata?

Dice Ostellino: «la libertà del cittadino di disporre a proprio piacimento di una maggiore porzione del proprio reddito». Traduco in italiano: perché dovrei privarmi di una fettina del mio reddito per farti un ospedale? Sei malato? Sei povero? Cazzi tuoi, che mi sembra una buona sintesi del «pensare liberale».

Ora non voglio essere barbogio e polveroso (e nemmeno «declinante» se De Rita permette), e voglio anzi mostrarmi aperto e disponibile agli esperimenti sul corpaccione sociale del Paese. Sono dunque pronto ad accettare una sperimentazione dei metodi teorizzati. Propongo che De Rita, Padoa-Schioppa e Ostellino vivano insieme con mille euro al mese.

Potrebbero arredare la loro casetta, sentire ottima musica e ogni tanto volare a Londra a prezzi bassi. In cambio, dovrebbero soltanto rinunciare alla pensione, alla sanità e alla scuola pubblica. Siccome secondo loro questo è un buono scambio, direi di provare ad applicarlo, almeno in via sperimentale, e cominciare proprio da loro.

Credo che basterebbero pochi mesi di battaglie con le bollette, l’affitto, l’inflazione, i ticket e il generale incarognimento dei prezzi e l’inarrestabile precarizzazione del lavoro per riparlare poi, un po’ più sensatamente, del significato della parola «sociale».

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/26-Settembre-2004/art10.html