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L’ultimo comunista

Publie le venerdì 13 febbraio 2004 par Open-Publishing

Si spera che qualcuno stia studiando con la dovuta serenità l’attaccamento che Silvio Berlusconi
mostra per la parola «comunista». Ce n’è ragione. Lì per lì, infatti, il fenomeno sembra soltanto
un tassello un po’ rozzo della più ampia politica postmoderna del leader-imprenditore, per il quale
il nuovo è sempre il vecchio galvanizzato dagli impulsi elettronici e il rinnovamento del
linguaggio politico si riduce a svelare con effetti speciali il passato criminale dei dirigenti Ds. Anche
Fini e Casini, del resto, sono scontenti di quell’insistenza del premier, la sottovalutano: va
bene le foibe - dicono, - ma basta con i comunisti, ormai non c’è un solo parlante-elettore in Italia
che faccia uso quotidiano di questa parola. Insomma persino nello schieramento di centrodestra il
fastidio abbonda. Male, non bisogna mai prendere per ovvio ciò che viene da Berlusconi.

Il suo
anticomunismo, tanto per cominciare, prescinde dai pochi comunisti reali tipo Bertinotti o Cossutta.
Nel lessico che usa la parola «comunista», specialmente in prossimità delle scadenze elettorali,
ha un’area semantica molto ampia e viene tornita per bollare potenzialmente chiunque, Prodi come
Carlo Fucci, Fini come la massaia che non sorveglia l’euro. In sintesi, se uno ha da ridire sul suo
operato di statista miliardario o dichiaratamente come una bestemmia in chiesa o in modo occulto
come il sangue nelle feci, è indubitabilmente un comunista. Naturalmente si tratta di un insulto
con una storia pluridecennale.

Naturalmente da quasi quindici anni anche la sinistra ne sente soltanto la connotazione negativa,
e basta fargliela risuonare all’orecchio al momento giusto per confonderla, sbiadirne le parole.
Ma occorre accantonare l’idea che Berlusconi la usi banalmente, come farebbe un vecchio
democristiano un po’ grezzo, per denunciare che l’avversario è stato un lettore del Manifesto del partito
comunista redatto da Marx ed Engels, per rinfacciargli che discende da Lenin e da Stalin, per
sottolineare che è stato un togliattiano, per crocifiggerlo alla responsabilità di portare alle
manifestazioni i bambini. Il leader della Casa delle libertà è oltre: ha disancorato la parola dalla sua
storia densa, ne ha sublimato la negatività, ne ha fatto un marchio televisivo di Caino, un sigillo
da spot, l’applicazione della regola di fondo di ogni telefilm: niente chiaroscuri; i buoni devono
essere assolutamente buoni e i cattivi devono essere assolutamente cattivi. Sulla sua bocca
elettorale, insomma, «comunista» è oggi una formula magica in grado di levare forza a ogni idea anche
meschina di cambiamento che non sia la sua. Ed è buona per tagliare corto. Serve a zittire il
cittadino critico ma timido, a mettere in fuga le parole che lo potrebbero rivelare comunista.

Ma c’è di più. Dietro la semplificazione, a sorpresa, si nasconde la complessità. Il Foglio di
recente si è incaricato di segnalare quanto si muove sotto l’anticomunismo finto-lineare di
Berlusconi. Lo ha fatto con una annotazione interessante quanto sibillina che suona grosso modo così: il
presidente del consiglio ha ragione di denunciare la mentalità bolscevica nelle sue varie subdole
incarnazioni; ma non va dimenticato che essa è stata anche una buona scuola di tenacia e di
realismo; per esempio negli Stati Uniti molti di quelli che oggi fanno la politica di Bush sono cresciuti
da sovversivi; e non a caso «finora alcune cose interessanti ed efficaci fatte dal Cav., sebbene
la sua simpatia e il suo carisma siano tipicamente liberali e schiettamente anticomunisti,
risentono - ma guarda un po’- della sua sapiente contaminazione con il comunismo occulto».

Qui c’è materia
vera di studio, lo diciamo senza ironia. Qui viene svelato al lettore come lezioni di importanza
primaria siano passate per vie ereditarie tortuose dai comunisti a Berlusconi, una vera inclusione
di Hyde in Jekyll: l’Hyde migliore, ovviamente. Il premier, cioè, grazie ai consigli e alla
collaborazione di non pochi bolscevichi ravveduti e vaccinati, ha saputo imparare da un lato a esibire
un simpatico anticomunismo e dall’altro a far fruttare l’eredità comunista redimibile per
realizzare «alcune cose interessanti ed efficaci» del suo governo. Quali siano queste cose non ci viene
detto ma percepiamo che il progetto è ampio, audace, già in atto. Altro che Rosa Luxemburg, altro che
nuovo mondo possibile. Ci hanno bruciato intorno il terreno della ricerca e della speranza. Ciò
che dei comunisti meritava di durare già dura occultamente in Bush, in Berlusconi, in Forza Italia,
nel Foglio.

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