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LA MADDALENA E la base Usa fa il bis

Publie le martedì 27 gennaio 2004 par Open-Publishing

Oggi il raddoppio approda alla regione. A Cagliari sit in del social forum

LA MADDALENA (Sassari)

Senza pudore, gli americani insistono ancora, in queste ore, perché venga loro concesso di
moltiplicare le volumetrie di un insediamento Usa nell’isola di Santo Stefano. Senza pudore, perché
l’allarme è massimo da quando sono in Sardegna, dal 1972, insediati alla Maddalena attorno alla nave
appoggio per sommergibili a propulsione nucleare. Un sommergibile partito da Santo Stefano per una
esercitazione nel Mediterraneo è andato a cozzare contro una roccia affiorante nelle acque davanti
a Porto Cervo, a sud dell’arcipelago maddalenino, alla fine dell’ottobre scorso: questo incidente
(tenuto segreto sino a quando non lo ha rivelato un giornale del Connecticut) ha cambiato le cose
nell’opinione pubblica sarda, anche nella piccola città della Maddalena (10.000 abitanti) e nella
Gallura che si affaccia su questo mare bello (da qualche anno parco nazionale) e minaccioso.

Le
autorità militari americane cercano di gettare acqua sul fuoco, come sempre. Stavolta gli viene più
difficile, dopo che qualche giorno fa un istituto francese ha annunciato di avere scoperto dati
preoccupanti su un inquinamento radioattivo nelle acque che dividono la Sardegna dalla Corsica,
proprio dopo l’incidente del sottomarino Hartford. Danno una mano agli americani il presidente della
regione, Italo Masala, il sindaco della Maddalena Giovanna Giudice, e il presidente del parco
nazionale, Cualbu. Per una coincidenza, tutti e tre di An. Rassicurano sul nucleare, la radioattività,
senza conforto di dati, si rimandano l’un l’altro, con un certo effetto ridicolo. E prendono per
buona la versione degli americani sul raddoppio della base di Santo Stefano. Oggi il consiglio
regionale della Sardegna discute dell’argomento, insieme la radioattività e il raddoppio della base. E
in contemporanea il Cagliari social forum ha indetto un sit-in di protesta davanti alla sede della
Regione, e alle porte c’è anche una manifestazione alla Maddalena, forse il 21 febbraio.

Intanto, il comando americano l’altro giorno ha fatto salire un paio di cronisti su una
imbarcazione, li ha condotti a Santo Stefano per mostrare lo stato di degrado delle casematte dove i
militari Usa lavorano, con la nave appoggio nella rada davanti. Dicono che sostituiranno semplicemente il
vecchio con il nuovo. «Ma barano, raccontano bugie», dice Salvatore Sanna, membro per anni del
Comitato regionale paritetico per le servitù militari, che ha bocciato il progetto della marina
americana, approvato poi dal ministro Martino.

Costruiscono 50.000 metri cubi di volumetrie, palazzine alte anche 11 metri in riva al mare, in
una zona di rispetto assoluto, territorio protetto, area franca per gli Usa. Per dire che non
aggiungono volumi a quelli esistenti, il trucco consiste nel calcolare fra gli esistenti i volumi di due
bettoline, una piattaforma in mare, un edificio della marina italiana. Che Santo Stefano diventi
una base, anche nei documenti ufficiali, mentre era sino ad ora considerato un punto di approdo,
che dava il senso di una certa provvisorietà dell’insediamento, non sembra importare agli
amministratori della Sardegna.

Solo Renato Soru solleva la questione, con sempre più consensi, nelle assemblee. Il candidato che
vorrebbe guidare lo schieramento di centrosinistra, che gode del consenso di 47 elettori su 100
anche nell’ipotesi che sia costretto a fare una lista propria, secondo i sondaggi usciti sulla Nuova
Sardegna di domenica, dice cose molte nette, un no secco alla trasformazione del punto di approdo.
Gli stessi sondaggi danno alla giunta regionale di destra un consenso intorno al 16 per cento. Ma
Masala, l’avvocato sassarese che governa anche grazie ai voti dei sardisti, ha ancora la facoltà
di imporre ai sardi di subire gli americani, il rischio nucleare, l’arroganza da padroni.

Il Manifesto