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LA PRECARIETÀ DEL LAVORO È PRECARIETÀ DELLA VITA: NO ALLA LEGGE 30/2003!

Publie le lunedì 1 marzo 2004 par Open-Publishing

UNA RETE REGIONALE CONTRO LA PRECARIETÀ

In questi anni sempre più difficile è diventato l’accesso al lavoro per le giovani generazioni: molte, molti trovano occupazioni precarie e sottopagate, fanno lavori dispersi sul territorio per datori di lavoro evanescenti e poco identificabili o lavorano da casa, molte e molti altri si trovano in grandi imprese o in enti pubblici con contratti e compensi diversi da chi lavora lì da più anni, senza gli stessi diritti pur svolgendo le stesse mansioni.

Il lavoro, perlopiù nero, delle donne migranti nelle famiglie italiane è il salvagente su cui in gran parte si regge l’abbattimento galoppante dei servizi pubblici nel nostro paese. Per chi non può permettersi questo aiuto esterno nella cura a bambini e anziani e della casa, la possibilità di lavorare diventa sempre più aleatoria. Il peso di questi compiti viene scaricato sulle spalle delle sole donne spesso anche dai loro compagni, e le politiche del lavoro premono per flessibilizzare e sottopagare il lavoro delle donne con la scusa di “conciliarlo” con impegni familiari che agli uomini non sono richiesti.

La progressiva riduzione e privatizzazione di risorse e servizi comuni che accompagna queste trasformazioni del mondo del lavoro incide ancora più pesantemente sulle condizioni di vita collettive, e si abbina a un processo di cancellazione dei diritti: i migranti possono ormai subire qualsiasi sopruso, essere sfruttati e sottopagati con il ricatto del permesso di soggiorno e adibiti ai lavori più insalubri e più pesanti; la riforma Moratti sta trasformando la scuola e l’università in un bene di mercato e così tante altre leggi stanno devastando l’insieme dei diritti collettivi,soggettivi e all’autodeterminazione.

In questa situazione, abbiamo tutti e tutte subito una perdita di potere contrattuale e un calo generalizzato del valore reale dei salari, ma anche della qualità della vita e delle speranze.

Sono anni che lente riforme peggiorative del diritto del lavoro si ripercuotono su tutti gli aspetti dell’esistenza, e non solo di quella di chi lavora: il peso si sente sulle pensioni, sul costo della vita, sulla possibilità di sostenere contemporaneamente l’affitto o il mutuo, per esempio, e le spese per gli studi di figlie e figli. O di curarsi adeguatamente e di ricevere una retribuzione se ci si ammala, e che fare poi se le malattie sono complesse, lunghe e costose?

La vita di sempre più gente è così sempre più caratterizzata dalla precarietà: precarietà del reddito, del lavoro, ma anche di qualsiasi progetto di futuro, come decidere di lasciare i genitori, intraprendere una vita adulta, metter su casa, avere dei figli. Ma anche, spesso e più banalmente, di decidere di fare una vacanza, un viaggio. Di iscriversi a un corso sapendo che si potrà pagarlo e frequentarlo fino alla fine…

Anche chi ha un posto fisso non sa più come arrivare a fine mese, e le recenti lotte dei tranvieri hanno dimostrato che la precarietà della vita colpisce anche chi ha un “posto fisso”. Quindi è il salario che diventa precario, determinando la necessità di forme di resistenza come quelle che hanno caratterizzato le vertenze dei meccanici.

È l’intero modello di società che si sta trasformando, proiettandoci in una specie di medioevo moderno in cui non sono più garantiti né beni, né diritti, né un sapere comune; in cui ognuno deve cavarsela come può e in cui la cittadinanza è un concetto astratto, valido solo al momento del voto, mentre l’esercizio reale dei propri diritti è subordinato alle esigenze di chi offre lavoro, vende servizi, o anziché sviluppare la rete di trasporti e pagare chi ci lavora, preferisce investire gli utili dell’ATM in bond e intascarne i profitti.

Da anni le leggi subiscono trasformazioni in tutti i campi, erodendo sempre più i diritti delle persone: i servizi, il sistema pensionistico, il diritto allo studio, alla salute, gli stessi diritti civili non sono più gli stessi di dieci o quindici anni fa. Ma le modifiche più rilevanti sono state fatte nel lavoro: diritto di sciopero limitato, precariato, salari al di sotto dell’inflazione “programmata” (cioè del costo reale della vita)… questo ha cambiato in peggio le condizioni di lavoro e di vita di milioni di uomini e di donne: ce ne siamo accorte e accorti tutti quando una categoria un tempo nota per i suoi ottimi contratti e i buoni stipendi come quella dei tranvieri è scesa in lotta al gran completo, rompendo le “regole” antisciopero, perché fa quasi la fame.

Ma non è finita qui. Con la legge 30 del 2003, i cui effetti per il momento non sono ancora visibili, i diritti di lavoratrici e lavoratori vengono ulteriormente devastati, tutti. I diritti di chi aspira a un lavoro con la legalizzazione delle agenzie di intermediazione di manodopera, moderno mercato degli schiavi, e con l’istituzione di nuove e più terribili forme di precariato. I diritti individuali di ogni dipendente, anche a contratto “tipico”; il diritto di contrattare collettivamente le proprie condizioni di lavoro, il diritto di rappresentanza sindacale, il diritto di organizzarsi, di scioperare.

Se oggi stiamo pagando a caro prezzo le trasformazioni avvenute negli anni scorsi, possiamo immaginare quale sarà l’effetto di questa legge sulle vite di tutte e tutti noi tra qualche tempo.

Per questo, per dire basta a una precarietà che non è diritto di scegliere se e quando cambiare vita o lavoro per proprio desiderio, ma è negazione di un reddito minimo, di ogni progetto di vita, di ogni diritto al futuro, ci siamo incontrate e incontrati e abbiamo deciso di costruire una rete contro la legge 30 e contro la precarietà più in generale: una rete che non è fatta solo del mondo del lavoro dipendente, che raggruppa laboratori studenteschi e reti di precari, reti di donne, insegnanti e sindacati, forze dell’opposizione, gruppi e associazioni del movimento “no global” e persone singole.

Crediamo che la precarietà riguardi tutte le sfere della vita e che in tutte le sfere vada combattuta, che sia possibile mettere in comunicazione i diversi ambiti in cui lottiamo per allargare la lotta e ci proponiamo di lavorare su tutti i terreni illustrati come segue ne

LA NOSTRA

P I A T T A F O R M A

· sostenere lotte e azioni di precari e precarie

· sostenere lotte sindacali, generali o di luoghi di lavoro, e studiare le possibilità di boicottare l’applicazione della legge 30, con tutti i mezzi contrattuali, giuridici e di lotta

· sostenere tutte le lotte che possano aiutare le immigrate, soprattutto nell’ambito del lavoro domestico e di cura, e gli immigrati a ottenere diritti civili e sociali e condizioni di lavoro giuste

· aprire tavoli con le istituzioni sul territorio, a livello regionale e locale, per imporre limiti all’applicazione della legge 30 e allo smantellamento dei servizi pubblici

· inventare azioni e iniziative informative sul territorio per far conoscere la legge 30, i danni che produce e per far crescere le lotte dal basso contro la precarietà

Per realizzare tutte queste cose, ci diamo appuntamento a un primo seminario dei diversi soggetti sociali, in cui scambiarci punti di vista sulla precarietà e i suoi effetti, sulle possibili risposte alla nostra portata, sui modi con cui sostenere reciprocamente le diverse iniziative di ciascuno e di costruire iniziative comuni.

Rete regionale contro la precarietà e la legge 30

aderiscono:

ATTAC - Lavoro e società, cambiare rotta (area programmatica CGIL Milano) Confederazione Cobas - C.S. Leoncavallo - Forum delle Donne PRC - Lilliput - Marcia Mondiale delle Donne - Partito della Rifondazione Comunista – Sincobas - Comunisti italiani - Associazione culturale Puntorosso - Forum mondiale alternative

e a titolo individuale:

Pierfranco Arrigoni (FIOM), Paolo Cagna Ninchi (Comitato Libertà), Marco Cipriano (consigliere regionale DS), Carlo Monguzzi (consigliere regionale Verdi).