Home > LAICISMO E RELIGIONE : i veli dell’Occidente
di LEA MELANDRI
Diversamente da quanto si è portati a pensare, la difesa di una propria identità non
muove dallo «scontro» col diverso ma lo crea nel momento stesso in cui si fa
più forte la spinta ad assimilarsi. Non si spiegherebbe altrimenti il radicalismo
di alcuni gruppi islamici confrontato con la posizione religiosamente indifferente
della maggioranza dei musulmani presenti in Europa. L’opposizione frontale, laicismo-religione,
che è emersa in Francia sulla questione del «velo», e in Italia quando si è prospettata
la creazione di «classi islamiche» nella scuola pubblica, circoscrive mondi astratti,
incapaci di vedere i tratti che li accomunano.
A contatto con un Islam che esaspera il legame tra teologia e legge, le appartenenze legate all’ineguaglianza sociale si affievoliscono, la diversità e il conflitto non sembrano più nascere da ragioni economiche e politiche, ma da «differenze» più radicali che coinvolgono gli ambiti storici del «privato»: il corpo, la nascita, la morte, la felicità, il rapporto tra i sessi. L’Occidente è costretto a strappare alcuni dei suoi «veli», a interrogare rimozioni antiche e attuali: le interferenze perduranti tra Stato e Chiesa, laici e cattolici, ma anche la crisi della politica e delle sue istituzioni. A incrinare la separatezza della sfera pubblica contribuiscono oggi mutamenti che non possono essere regolati soltanto dalle leggi, perché investono la «persona» nella sua interezza. La politica, se non vuole scomparire, è costretta a confrontarsi con problemi lasciati finora all’etica, alla religione, alla responsabilità del singolo.
Rientrano in questo quadro: la nuova consapevolezza con cui si guarda ai ruoli del maschile e del femminile, l’uscita delle donne da una condizione storica di sottomissione, fosse anche solo per rivendicare la «libertà di alienarsi», velando o denunando quel corpo dentro cui sono state così a lungo confinate; il rapporto con la corporeità, che si tratti della guerra, della malattia, della fame o delle manipolazioni genetiche; la caduta dei confini tra il vicino e il lontano, tra il qui e l’altrove, che sposta la solidarietà e la difesa fuori dagli ambiti rassicuranti della geografia politica. E infine: l’ingresso in un tempo che viene definito in termini di «rischio» e «precarietà», comune denominatore che attraversa la vita dei singoli, delle società, del mondo privilegiato e dei diseredati.
Ridurre gli interrogativi che pone una società multiculturale ai poli opposti, Stato e religione, vuol dire non vedere i luoghi reali dentro i quali avvengono i cambiamenti: case, famiglie, scuole, lavoro, intrattenimenti. Se, come scrive Amoz Oz, non siamo «isole» ma «penisole», per metà radicati dentro contesti storici particolari e per l’altra aperti verso l’oceano, si può anche aggiungere che questo grande mare aperto che si profila davanti a noi non è l’imprevedibile, il totalmente «altro», ma quell’appartenenza all’«umano» che ancora esitiamo a integrare, al di là della differenza di sesso, religione, nazionalità e lingua.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/06-Ottobre-2004/art73.html