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LAVORARE TUTTI , LAVORARE MENO

Publie le mercoledì 10 marzo 2004 par Open-Publishing

Di Ruggieri Sergio (S.in.Cobas)

La tendenza del modo di produzione del Capitale è di assestare le retribuzioni al livello più basso nella scala della divisione internazionale del lavoro.Non è una novità in assoluto: si cerca da parte imprenditoriale di ridurre il costo del lavoro e con esso le retribuzioni dei lavoratori/delle lavoratrici. Era così anche agli albori dell’ottocento!

Il Capitale ha bisogno di un esercito industriale di riserva (disoccupati, lavoratori precari ecc.) per condizionare il rapporto di lavoro degli occupati poiché avendo a disposizione i disoccupati essi possono essere chiamati in qualsiasi momento a lavoro, tale sistema consente di ricattare gli occupati se alzano le loro rivendicazioni.

La cosa strana e bizzarra è che questo dibattito che và avanti dagli anni “70 avviene nella fase della terza rivoluzione industriale. La fase della innovazione tecnologica, che dovrebbe aumentare le possibilità di lavori meno pesanti e svolti per gran parte dalle macchine, liberando parte del tempo di lavoro. Il problema quindi è di dimensioni planetarie di parti di mondo contro altre parti di mondo. Nei documenti confindustriali emerge l’ossessione della Cina, che dal mio punto di vista stà perdendo la battaglia dal versante del modello alternativo alla produzione capitalistica, è invece vincente dal punto di vista produttivistico nella creazione del Prodotto Interno Lordo nei confronti dell’Occidente. A quali costi umani e naturali ne parleranno le prossime generazioni!

Per stare al tema: per competere sul piano del mercato gli imprenditori italiani e non solo, hanno bisogno di “togliere lacci e laccioli” alle loro imprese. Era un motto della Confindustria negli anni “70, tradotto in un linguaggio più comprensibile a tutti vuol significare “abolizione di tutte le conquiste” fatte dal movimento operaio e sindacale in Italia dal “45 sino al 1975.

Con la legge 30 e con l’accordo siglato l’11 Febbraio da CGIL CISL UIL per i “contratti d’inserimento” si arriva alla concretizzazione del sogno degli imprenditori italiani di far saltare di fatto la contrattazione nazionale, disegno esposto nel Convegno di Parma di Marzo del 2003 dalla Confindustria. Con la L.30 si ripristina il caporalato cioè il lavoro a chiamata, ma questa volta diventa garantito e gestito dalla legge dello Stato che prevede le agenzie di somministrazione dei lavoratori (sic!) il lavoro ripartito, assimilato al part-time due lavoratori sono titolari dello stesso posto di lavoro. Un periodo lavora uno, altri mesi lavora l’altro, se viene licenziato uno anche l’altro perde il posto.

Con la stipula dell’accordo sui contratti d’inserimento arrivano ad abolire “l’inquadramento unico”che fu una delle prime conquiste del movimento operaio con le lotte del “68. Tale tipologia di contratto prevede l’inquadramento dei lavoratori/lavoratrici di ben due livelli inferiore a quanto previsto dal corrispettivo contratto nazionale, in tutte le branche lavorative e senza esclusione alcuna compresi gli invalidi gravi. In conclusione riteniamo la L.30 lesiva dei diritti umani, non della legislazione vigente che riconosce una dignità al soggetto lavoratore, in quanto sarà “somministrato” alle varie aziende senza nessuna tutela e senza diritti, hanno legiferato la costruzione del SUPERMARKET della precarietà ma dentro ci stanno i nostri figli, i nostri giovani.