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La Cassazione conferma l’assoluzione di Andreotti

Publie le venerdì 15 ottobre 2004 par Open-Publishing
1 commento

Dazibao


di Red

Restano molti misteri, ma la Cassazione assolve Giulio Andreotti dall’accusa
di aver intrattenuto, nel corso della sua longeva attività politica, rapporti
stretti con la mafia. Il verdetto della Corte conferma la sentenza emessa dalla
Corte di Appello di Palermo il 2 maggio dello scorso anno contro il senatore
a vita per reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.

Contro il verdetto di secondo grado avevano proposto ricorso in Cassazione, con opposte motivazioni, sia la Procura generale di Palermo, sia la difesa di Andreotti, ma i giudici della Suprema Corte hanno rigettato entrambe le impugnazioni, confermando la sentenza della Corte di Appello, che diventa così definitiva.

In particolare, la difesa aveva fatto ricorso contro l’assoluzione in base all’artico 530 del codice di procedura penale, chiedendo la piena assoluzione. Il rigetto anche di questa impugnazione, lascia quindi su Andreotti, la “macchia” che la difesa puntava a cancellare.

Un’indagine lunga undici anni -era iniziata nel marzo ’93- supportata dalle dichiarazioni di molti pentiti di Cosa Nostra, si chiude così per insussistenza delle prove. I fatti riportati dagli ex-affiliati mafiosi, secondo le parole dei giudici, si rifanno più a stati d’animo, a “sentito dire” che testimoniano sì «un’amichevole disponibilità nei confronti della mafia fino al 1980» ma non danno concreti riscontri di favori elargiti dall’esponente democristiano in cambio di voti.

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=38493

Messaggi

  • Ma quale assolto

    da La Repubblica di Marco Travaglio

    Ecco alcuni stralci della sentenza della Corte d’appello di Palermo del 2 maggio 2003 su Giulio Andreotti, imputato di associazione mafiosa, confermata oggi dalla Corte di Cassazione: Giulio Andreotti ha "commesso" il "reato di partecipazione all’associazione per delinquere" (Cosa Nostra), "concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980", che però è "estinto per prescrizione". Nel 1979 Andreotti scende a Catania per incontrare il boss Stefano Bontade che minaccia la vita di Piersanti Mattarella: "Frena l’impeto dei mafiosi, prende tempo, li rassicura additando una soluzione "politica’". Poi torna a Roma e non fa assolutamente nulla. Non avverte nemmeno Mattarella della minaccia incombente. Bontate fa trucidare Mattarella nel gennaio ’80. Nella primavera ’80 Andreotti torna in Sicilia (stavolta a Palermo) da Bontade, dopo il delitto Mattarella per "chiedere chiarimenti". Bontade risponde "con arroganza". Andreotti capisce che "era stato un grave errore immaginare di poter agevolmente disporre dei mafiosi e di guidarne le scelte imponendo, con la propria autorevolezza e il proprio prestigio, soluzioni incruente e "politiche" ai problemi insorti, era stato un abbaglio assegnare alla mafia il riduttivo ruolo di strumento di ordine e di controllo della criminalità... era stato, in definitiva, un grave errore intrattenere buone relazioni con i mafiosi, chiedere loro qualche favore, indurre in essi il convincimento di poter contare sulla sua amicizia". Andreotti, per anni, "ha indotto i mafiosi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come l’assassinio di Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati, ha omesso di denunciare le loro responsabilità, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza". Andreotti aveva una "propensione a intrattenere personali, amichevoli relazioni con esponenti di vertice di Cosa Nostra", per garantirsi "la possibilità di utilizzare la struttura mafiosa per interventi extra ordinem... forme di intervento para-legale che conferisce, a chi sia in possesso dei canali che gli consentano di sperimentarle, un surplus di potere rispetto a chi si attenga ai mezzi legali". Nel caso Mattarella Andreotti "non si è mosso secondo logiche istituzionali, che potevano suggerirgli di respingere la minaccia all’incolumità del presidente della Regione facendo in modo che intervenissero per tutelarlo gli organi preposti e allontanandosi definitivamente dai mafiosi, denunciando a chi di dovere le loro identità e i loro disegni". Ma ha "dialogato con i mafiosi e palesato la volontà di conservare le amichevoli, pregresse fruttuose relazioni con essi". Andreotti "indica ai mafiosi le strade da seguire e discute con loro di fatti criminali gravissimi da loro perpetrati... senza destare in essi la preoccupazione di venire denunciati", poi "omette di denunciare elementi utili a far luce su fatti di particolarissima gravità, di cui è venuto a conoscenza in di-pendenza di diretti contatti con i mafiosi". Così la mafia si rafforza e i boss si sentono, "anche per la sua autorevolezza politica, protetti al più alto livello del potere legale". "E’ condivisibile che i mafiosi si siano determinati ad alzare il tiro su un così eminente esponente del partito di maggioranza relativa (Mattarella, ndr) anche perché supponevano di non incorrere in conseguenze pregiudizievoli in quanto contavano sull’appoggio di ancora più importanti personaggi politi-ci (Andreotti e Lima, ndr)".

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    Fonte:www.articolo21.com