1. cosa ti ha spinto a mobilitarti? e come mai hai scelto la militanza
anarchica?

Per i più giovani è forse
difficile capire fino in fondo la cappa che copriva tutti gli aspetti della vita e della società
di quegli anni. Portare i capelli leggermente più lunghi della norma voleva
dire rischiare di essere derisi, insultati e perfino essere picchiati per
strada. Stessa cosa con le camicie a fiori o le collanine colorate. Se non si
andava in chiesa si veniva messi all’indice dalla comunità del proprio
quartiere, a scuola vigeva un ordine quasi militare e non si poteva mettere in
discussione nulla di ciò che veniva detto dai professori. Per non parlare della
rigida separazione dei sessi nelle scuole.
Il mio impatto con la scuola fu subito
– fin dalle scuole elementari - a dir poco catastrofico. Nei miei primissimi anni scolari - pochi lo ricordano – ma era ancora consentito ai maestri di punire corporalmente gli alunni: inginocchiati per ore, staffilate con le bacchette sulle palme e il dorso delle mani, tirate di orecchie e altri mille modi per piegarti o umiliarti. Non è quindi un caso che iniziai intorno ai 13 o 14 anni a ribellarmi contro tutto questo. Dai piccoli sabotaggi (incatenamento dei cancelli, colle nelle toppe delle chiavi...) ai primi scioperi per i cessi puliti (uso la parola che meglio descrive le condizione dei bagni), contro il sequestro del cibo se si parlava durante l’ora della ricreazione (si doveva restare seduti e mangiare in silenzio).
– fin dalle scuole elementari - a dir poco catastrofico. Nei miei primissimi anni scolari - pochi lo ricordano – ma era ancora consentito ai maestri di punire corporalmente gli alunni: inginocchiati per ore, staffilate con le bacchette sulle palme e il dorso delle mani, tirate di orecchie e altri mille modi per piegarti o umiliarti. Non è quindi un caso che iniziai intorno ai 13 o 14 anni a ribellarmi contro tutto questo. Dai piccoli sabotaggi (incatenamento dei cancelli, colle nelle toppe delle chiavi...) ai primi scioperi per i cessi puliti (uso la parola che meglio descrive le condizione dei bagni), contro il sequestro del cibo se si parlava durante l’ora della ricreazione (si doveva restare seduti e mangiare in silenzio).
La mia presa di coscienza politica
inizia nel 66/67 quando il mio miglior amico e compagno di scuola (figlio di un
operaio edile, comunista, e lui stesso simpatizzante ), mi chiede di
accompagnarlo ad una manifestazione per il Vietnam. Sono con lui quasi alla
testa del corteo quando la celere, senza provocazioni o alcun preavviso, carica
il troncone in cui mi trovavo, con una tale violenza cieca che mi lascerà per
sempre segnato. Inizio a leggere libri e giornali per capire.
Poi arriva il vento del ’68 e mi
trovo subito politicamente coinvolto e partecipe di quell’ondata di rivolte e
lotte, di quella rottura delle catene della società capitalista contro cui,
prima, mi ero battuto a livello individuale. E’ così che scopro di non essere solo.
Perchè scelsi subito gli
anarchici? Perchè il ‘68 fu essenzialmente liberatorio e libertario come movimento
e perchè mi era capitato di leggere tra quei miei primi libri politici anche
gli scritti di Bakunin, e per la prima volta avevo trovato qualcuno che
spiegava le stesse cose che io - fino a quel momento - avevo solo rozzamente
pensato.
2. il tuo ingresso e il tuo vissuto nel Circolo 22 marzo
Eravamo un gruppo di compagni di
scuola ed amici ma non eravamo un gruppo organizzato nel senso tradizionale
della parola. Quando aprì le sue porte il “Bakunin” , inevitabilmente fummo
contenti ed attratti dalla prospettiva di incontrare altre realtà anarchiche
della nostra città. Alcuni di questi miei compagni di scuola - che poi
parteciperanno alla nascita del circolo
22 marzo - hanno nomi sicuramente più noti del mio: Roberto Gargamelli,
Emilio Borghese, Angelino Fascetti, Amerigo Mattozzi...solo per citarne alcuni.
Al “Bakunin” poi incontriamo
Valpreda, Roberto Mander (che poi rimase al “Bakunin”), Ivo Della Savia,
Claudio, Bianca, Giovanna, Mino, Gigi, Giovanni Ferraro, Roberto “Cristus”, Umberto
Macoratti e altri ancora che poi ci seguiranno nella costruzione del nuovo
circolo. Ma trovammo anche due personaggi infiltrati tristemente famosi: il
fascista Mario Merlino ed il poliziotto
Andrea Ippolito.
All’inizio di settembre, al
ritorno dalle vacanze estive, inizio a frequentare più assiduamente il Bakunin
dove conosco Valpreda con cui nasce fin da subito una buona intesa a livello
politico ed umano. Il 25 settembre, assieme a Pietro e Leonardo Claps (un
compagno di Milano) decidiamo di fare uno sciopero della fame davanti al Palazzaccio
per chiedere la liberazione dei compagni ingiustamente incarcerati per le bombe
del 25 aprile e quelle sui treni di agosto. Fu durante quegli otto giorni di
sofferenza e vita condivisa che si creò una forte solidarietà ed amicizia con
molti compagni che ci frequentavano e sostenevano in quella nostra protesta. Da
quel momento mi è difficile parlare di me al singolare, perché mi sentivo già
parte di un gruppo e ogni mia azione era basata sulla condivisione.
Partecipiamo assieme a varie
manifestazioni, facciamo quella che noi chiamavamo una “azione esemplare” (e
che secondo i giudici può essere solo un atto di terrorismo) assieme a delle
famiglie di sfrattati costruimmo, di notte, un muretto davanti alla porta
dell’immobiliare che li aveva sfrattati e riempimmo le scale di scritte. Con
Valpreda, Claps e Gargamelli mi recai a Milano (si viaggiava solo in autostop)
per portare la nostra solidarietà al compagno Michele Camiolo che era in
sciopero della fame da quasi un mese, sempre per chiedere la liberazione dei
compagni arrestati. Con Valpreda, Bagnoli e Mucky andammo a Reggio Calabria per
portare la nostra solidarietà ai compagni Angelo Casile e Gianni Aricò che
dovevano essere processati. Di lì ci recammo a Pisa subito dopo assassinio dello
studente Cesare Pardini, e allacciammo
rapporti con un gruppo che si chiamava Il Potere Operaio.
Da Pisa con Valpreda e Bagnoli ci
rechiamo al convegno della FAI-FAGI a Carrara e quindi a quello dei GIA ad
Empoli… Ci incontriamo, fraternizziamo, discutiamo e prendiamo contatti con
centinaia di compagni “di strada” con cui vogliamo portare avanti il nostro
percorso politico e di lotta. In questo periodo intenso finisco anche in galera
per la prima volta: si tratta della famosa rissa a Trastevere, che in realtà
altro non fu che un’aggressione organizzata contro di noi, in cui una ventina
di fascistelli ci assalì di sorpresa davanti
a dei poliziotti in borghese che intervennero solo dopo che gli aggressori si
erano dileguati. Valpreda e Gargamelli stavano cercando di farmi rinvenire con
l’acqua fresca di una fontanella (aggedito da tre-quatto teppistelli fui
colpito da un calcio ai testicoli che mi fece svenire) quando i poliziotti
decisero di intervenire… per arrestarci.
3. come cambiò la tua vita e quella degli altri del 22 marzo dopo la
Strage di Piazza fontana?
Comunque non mi lamento, anzi mi
sento fortunato perché almeno ho evitato – a differenza dei miei fratelli e
compagni - l’orrore di passare tre anni in galera senza sapere se la nostra
innocenza sarebbe mai stata riconosciuta.. Ho fatto tante cose e ho vissuto
tante esperienze che mi hanno formato. Ma certamente non posso dire che ho
fatto quello che desideravo, quello che sognavo di fare a 18 anni! E così è
stato per tutti gli altri. Tutti abbiamo dovuto imparare a sopravvivere con
quello che eravamo in grado di fare dopo quella lunga parentesi di galera o
esilio forzato. Io ho dovuto aggiungere agli interminabili anni di esilio la
rottura, da un giorno all’altro, di tutti i miei rapporti con la famiglia, con
gli amici, con la ragazza… Per scherzare, ma poi non tanto, del dopo 12 dicembre
io parlo come della mia seconda vita, di un’altra vita.
4. ci sono dei vissuti che andrebbero rivalutati, riscoperti. Penso a
Pietro Valpreda. me lo descriveresti? chi era Pietro?
Per come l’ho conosciuto io, posso dire che Pietro era un compagno con
un’ampia conoscenza delle idee e della storia anarchica oltre che un militante,
un compagno che – sebbene più grande di noi (e a quei tempi la differenza di
età aveva un grosso peso) - “viveva” all’interno dello stesso nostro contesto e
della cultura del ’68. Questo faceva sì che ci si sentisse a proprio agio con
lui, non ci si accorgeva affatto di quella
differenza di età.
Pietro, come noi, credeva fosse importante provare, sul terreno
pratico, assieme alla gente, le nostre teorie, le nostre idee. Uno spirito
libero dunque, ma anche generoso e sempre pieno di idee e di vita. Quello che
apprezzavo di lui, era anche la sua semplicità e capacità di interrogarsi e
mettersi sempre in discussione. Quando una volta un compagno di un altro
circolo lo accusò di voler fare “il leader” del nostro gruppo, lui non si
arrabbiò per quelle dure parole ma piuttosto iniziò ad interrogarsi su quello
che poteva esserci di vero in quelle parole e decise di fare subito due passi
indietro, per lasciarci più liberi. Con Pietro, come del resto con quasi tutti
i compagni a me più vicini nel gruppo, si poteva parlare di tutto: dalle
questioni politiche, ai problemi personali, alle pene d’amore. Dividevamo in
tutto e per tutto idee, sogni, cibo e politica. Il quadro su chi fosse Pietro
fatto dalla stampa, dalla polizia, dalla magistratura è ovviamente di segno
opposto e purtroppo è proprio questo quadro deformato quello che viene sempre
riproposto. Quel senso di unione, fratellanza e solidarietà sono cose che oggi
si vedono poco. Ecco io credo che da questo bisognerebbe ripartire.
5. hai mai conosciuto personalmente Giuseppe Pinelli e che idea ti sei
fatto riguardo al suo assassinio?
Sulla sua morte penso
semplicemente che finchè uno dei vigliacchi in divisa presenti in quella stanza
non parlerà (per quanto prenderei comunque la cosa con le dovute cautele) non
sapremo mai quello che è realmente accaduto. Vorrei ricordare i loro nomi: CALABRESI
Luigi, LOGRANO Savino, PANESSA Vito Donato Antonio, CARACUTA Giuseppe Antonio, MAINARDI
Carlo Mario, MUCILLI Pietro e il responsabile per grado di quella notte nella
Questura di Milano ALLEGRA Antonino.
Comunque, a prescindere dal grado,
per me tutti i presenti nella stanza e tutti i dirigenti responsabili quella
notte in Questura sono parimenti responsabili della sua morte e quindi degli assassini.
Poco importa chi abbia dato l’ordine e chi invece lo abbia eseguito.
Vorrei sottolineare che – lo
andiamo ripetendo da 44 anni assieme a Lello Valitutti, unico testimone
presente in Questura che non fosse un poliziotto o carabiniere – il Commissario
Calabresi era in quella stanza.
Da molti mesi, fin da prima del
12 dicembre, il commissario Calabresi e gli altri funzionari dell’Ufficio
politico sospettavano Pinelli (grazie
alle confidenze al veleno della spia al soldo dell’Ufficio affari Riservati,
“Anna Bolena” Enrico Rovelli) di essere in un qualche modo compromesso con alcuni
attentati, in particolare le bombe sui treni dell’agosto del ’69 (quelle messe
dai fascisti Freda e Ventura per intenderci) per le quali erano stati
accusati alcuni compagni anarchici. La
polizia gli era sempre dietro, li perseguitava di continuo a Pino e Pietro,
tanto è vero che per questo motivo Valpreda decise di cambiare città. Pinelli,
lavorando alle ferrovie ed avendo una famiglia sulle spalle non aveva altra
opzione che continuare a svolgere il suo lavoro e la sua attività politica in
quella città.
Io penso che Pinelli fosse la
vittima sacrificale prescelta per la strage di Milano, mentre Valpreda doveva
esserlo per le esplosioni avvenute a Roma. Quando Valpreda venne arrestato (su
richiesta della Questura di Roma) e tradotto a Roma la scorta che lo
accompagnava e gli agenti della polizia romana lo trattavano ancora in modo
abbastanza rilassata. Solo dopo la morte di Pino ci fu la svolta e tutto venne
dirottato su di lui. Oggi sappiamo che fu la spia Enrico Rovelli a indirizzare le indagini verso Pinelli e
Valpreda.
La mia impressione è che
l’affondo che lo Stato voleva portare contro di noi avesse in origine altri e
più importanti obiettivi. Che si tentò di distruggere il movimento anarchico
nel suo insieme e non solo noi.
Non mi posso dilungare sul perché
di questa mia ipotesi perché ci ruberebbe troppo tempo, però permettimi di
abbozzare a grandi linee su cosa si basa questa mia teoria. Siccome mi sembra
altamente improbabile che per organizzare e preparare un attentato del genere -5
bombe che esplodono simultaneamente tra Roma e Milano, l’utilizzo di esplosivo e timer che solo mani
esperte potevano confezionare e infine trovare le persone disposte a farlo -
non sia stato necessario lavorare con un congruo anticipo di tempo. Se questo è
vero, allora vuol dire che nessuno poteva prevedere la nostra fuoriuscita dal
circolo Bakunin (quindi dalla FAI-FAGI) che avviene verso la fine di ottobre.
Quello che pochi sanno è che Pinelli aderiva ai GIA cioè l’altra Federazione
anarchica che – assieme alla FAI – rappresentavano l’anarchismo storico
italiano. Senza “scissione” quindi le indagini avrebbero puntato direttamente al
cuore della tradizione anarchica italiana.
6. ormai è chiaro che a commissionare la Strage di Piazza fontana fu lo
stato. Come ci si sentiva ad essere accusati e detenuti ingiustamente anzi
direi illegalmente da innocenti?
In tutti questi anni oltre ad
essere stati “spoliticizzati” siamo anche stati “disumanizzati”.
Quello che abbiamo vissuto
allora, il linciaggio pubblico, l’onta di quella accusa allucinante, le
violenze della polizia e dei magistrati inquirenti (non solo contro noi ma
anche verso i nostri familiari), non sono cose che possono cancellarsi col
tempo. Possono essere tenute sopite dentro noi, ma poi, anno dopo anno ci sono
sempre quegli stessi giorni e numeri sui
calendari - le fatidiche date del 12 dicembre e del 15 e 16 dicembre – che
ritornano. In quelle ricorrenze, non è possibile non ricordare le nostre
sofferenze e tanto meno l’assassinio, il volo dalla finestra della Questura di
Milano di Pino Pinelli.
In quelle occasioni subiamo una
sorta di metamorfosi: noi siamo, o meglio torniamo ad essere, gli stessi ragazzi
di allora. Riviviamo con la stessa intensità il dolore di quei momenti,
piangiamo i nostri morti e ricordiamo l’ingiustizia e la pavidità di questo
stato che non ha avuto il coraggio di fare giustizia vera (ma d’altronde può lo
stato condannare se stesso?) sia nel condannare i fascisti che i servizi (non
deviati, sia ben chiaro, ma che obbedivano a ben precisi ordini), ma ancor più
per non aver avuto il coraggio di riconoscere la nostra totale estraneità a
quei fatti tanto abominevoli quanto lontani dalla nostra ideologia, e darci una
assoluzione piena, che ci togliesse di dosso ogni ombra di dubbio. Questo
semplice dato di fatto brucia dentro di noi, ci ricorda chi siamo e cosa è
stato fatto contro di noi. E’ inutile girarci attorno: le nostre vite sono
state spezzate, interrotte violentemente e nulla può cambiare questo fatto,
questa realtà.
7. cosa significava e cosa significa ancora oggi per te essere
anarchico?
Essere anarchico vuol dire cercare
di costruire nella quotidianità spazi
per quanto possibile autonomi, liberati. Un tentativo di immaginare e applicare
le idee anarchiche nella vita quotidiana. Quello che è interessante - per noi
anarchici e libertari - è l’adozione di metodi di consenso orizzontale,
autogestito, senza delega. Basta vedere quel che accade in Val di Susa, con il
movimento NoTav per capire il nostro modello.
Sono ancora insofferente ad ogni
forma di potere e di gerarchia, odio ogni forma di burocrazia, mi disgusta ogni
forma e idea di sottomissione di ogni essere umano, sia esso persona o animale,
sogno la distruzione di ogni carcere, di ogni CIE o luogo di costrizione fisica
e psichica. L’anarchia è l’ordine senza
il potere, è la realizzazione di una società autoregolata dove bisogni e diritti di tutti sono rispettati.
E’, usando un vecchio slogan un “assalto al cielo” continuo, senza interruzioni
e senza costrizioni.
8. che messaggio lasceresti ai giovani che non sanno nulla del periodo
che hai vissuto?
Ad oggi ancora non è stato
scritto un libro con il ricordo e la testimonianza degli ex del circolo 22
marzo.
Se si sceglie di leggere l’enorme
mole di atti processuali (qualcosa come 800mila pagine) bisogna ricordarsi che
sono stati scritti da magistrati, da poliziotti, da vari servizi segreti, per
cui sono solo materiali manipolati “geneticamente”.
E’ fondamentale imparare a leggere in maniera critica prima di iniziare a …leggere.
Nonostante queste difficoltà è un bene, anzi è dovere di ogni compagn hir , conoscere a fondo
quel periodo storico e quegli anni meravigliosi (pur se violenti). Stanno
cercando di riscrivere la storia per cui solo conoscendola sarà possibile
vedere, scegliere con coscienza e maturità, il proprio percorso politico e
umano.
Quello che è successo a noi, non
è un fatto isolato e lontano come sembra, ma è la strada che ha permesso che
ancora oggi innocenti possano finire in galera per le loro idee, che le
manifestazioni si incontrino di fronte a muri di celerini che fanno uso di violenza
indiscriminata, che ancora oggi sia possibile a delle persone di entrare vive
in un Commissariato ed uscirne morte…
Senza giustizia (non quella dei
tribunali ovviamente) non vi è verità, e senza verità non si raggiunge la
libertà (liberazione). Io credo che molti giovani lo sappiano già questo, e che
non abbiano bisogno di “messaggi” in bottiglia di persone come me.
9. secondo me un ruolo preponderante deve essere assunto dalla memoria.
bisogna ricordare sempre. far emergere l’esistenza di una storia altra che è il
risultato della fusione di tanti microcosmi che in quel periodo decisero di
fondersi in una unica galassia di solidarietà, di lotte e giuste
rivendicazioni. bisogna andare oltre la storia ufficale, che di ufficiale ha
solo il sangue delle vittime innocenti, dei morti ammazzati dalle forze
dell’ordine e dai neofascisti, dalle bombe dello stato stragista. bisogna
smontare i luoghi comuni che il potere uscito vincitore dallo scontro ha
condensato nella definizione "anni di piombo" affinché di quegli anni
passasse un determinato messaggio. è in atto da tempo un processo di
cancellazione della memoria privata ma soprattutto collettiva. cosa pensi del
ruolo della memoria?
Non so se puoi immaginare cosa
significhi, a livello emotivo, a 44 anni dai fatti, essere nuovamente posti
all’indice come i colpevoli di quella orribile, vigliacca e ignobile strage
Io non credo ci sia nulla di casuale,
e che non sia un caso che si sia atteso vigliaccamente la morte di Pietro
Valpreda, che quindi non può più difendersi, per gettargli/gettarci nuovamente
addosso tutto questo fango. Come non credo sia casuale che si sia fatto un film
per cercare di perpetuare l’immagine falsa e deformata che lo stato stragista
ci ha confezionato addosso.
Questo tentativo di riscrittura
revisionistica della storia non poteva che riaprire quelle vecchie ferite
obbligandoci a ricordare tutti i giorni. Per poterci difendere, per far
conoscere la verità, da quattro anni a questa parte non ricordiamo più quello
che avvenne il 12 dicembre solo in quella ricorrenza, ma lo dobbiamo fare tutti
i giorni dell’anno. Siamo costretti a leggere atti, documenti, le manipolazioni,
invenzioni e illazioni dei giornali e dei nuovi “testimoni” per poter trovare
quello che serve a dimostrare la falsità di queste vecchie e nuove infamanti
menzogne. Leggere quelle bassezze, vedere riflessa negli atti giudiziari la
crassa ignoranza degli investigatori sulla cultura di quel tempo e sulle idee
anarchiche ha fatto si che il dolore, la sofferenza ora sono nuovamente un
fattore quotidiano con cui dobbiamo convivere. E’ come se le lancette
dell’orologio fossero tornate indietro nel tempo!
Il paradosso di questa situazione
è che dobbiamo perfino difenderci da accuse e reati che la stessa magistratura
– una magistratura ed una giustizia in cui noi non crediamo - ha ritenuto in
maniera chiara e definitiva che non abbiamo commesso!
Oltre il dolore, oggi si aggiunge
anche la rabbia verso delle persone che sulla base di quanto raccontano
fascisti e agenti segreti che depistarono fin da subito le indagini verso di
noi, senza neppure aver letto tutti gli atti (le circa 800mila pagine di atti
sono state recuperate e rese pubbliche solo un anno fa), ci vorrebbero
nuovamente colpevoli. Persone che con estrema leggerezza si fanno giudici e carnefici
e giocano con la vita degli altri, le nostre vite. L’incubo si ripresenta
seppur sotto forma di tragica farsa. Ma questa volta noi non taceremo, non
permetteremo a nessuno di infangare nuovamente le nostre storie e le nostre
vite.
Finché uno di noi resterà in vita
la nostra lotta per la Verità e la Giustizia continuerà senza soste.
La Memoria è un bene prezioso che
deve essere non solo difesa ma anche vissuta nelle lotte di oggi, per impedire
che certe schifezze si ripetano e che altri giovani soffrano le nostre stesse
pene, ed evitino i nostri errori. Sono ben cosciente e molto preoccupato di
quello che sta avvenendo in particolare in questi ultimi anni. Il tentativo di
riscrittura storica, di manomissione e cancellazione storica – come tu correttamente
l’hai definito – non riguarda ovviamente solo noi: vogliono cancellare e
riscrivere un intero periodo storico che parte grosso modo dalla fine degli
anni sessanta ad oggi. Nessuno di noi può vincere isolato o difendendo la sua
particolare “memoria”, la Memoria è un fatto collettivo ed appartiene a tutti
noi. Se solo uno dei pezzi di questo mosaico subisce variazioni e viene
riscritto, tutto il mosaico cambia. Questa lotta deve essere combattuta da
tutti, sia da coloro che quella stagione di lotte e sconfitte hanno vissuto e
sopportato sulle proprie spalle, che dalle giovani generazioni le quali, senza
il supporto di quella memoria, si troverebbero disarmate ad affrontare il
futuro.