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La «città probita» di Baghdad

Publie le mercoledì 25 febbraio 2004 par Open-Publishing

Reportage dalla «green zone», la città imperiale degli occupanti, dove risiede Paul Bremer con la
sua corte di ministeri, business center, centri stampa, caserme di soldati, residenze di dirigenti
e dipendenti delle multinazionali che hanno in appalto tutto, residenze dei 500 agenti della Cia e
dei 10.000 mercenari

STEFANO CHIARINI

INVIATO A BAGHDAD

«Hotel Rashid, more than a hotel» recita, inconsapevole della sorte toccata al più noto albergo
della capitale irachena, una vecchia scritta pubblicitaria gettata nella polvere tra immensi rotoli
di filo spinato, sacchetti di sabbia e terrapieni. Quella che una volta era una superstrada urbana
a sei corsie che univa la zona amministrativa presidenziale sulla riva destra del Tigri con i
nuovi quartieri della media borghesia di al Mansur, sviluppatisi con il boom petrolifero degli anni
Settanta, passato un ultimo grande incrocio, quando già si intravedono le sagome del Rashid a destra
e del palazzo dei congressi a sinistra, finisce oggi, improvvisamente, nel nulla contro una serie
di sbarramenti e fortificazioni militari. Siamo sul bordo esterno della cosiddetta «green zone»,
di quella che potremo chiamare la «città proibita» dove risiede il «marja bianco» Paul Bremer con
tutta la sua corte, e dove si trovano ministeri, centri stampa, business center, acquartieramenti
dei soldati, residenze di dirigenti e dipendenti delle multinazionali, residenze di oltre 500
agenti della Cia (qui circola insistente la notizia della destituzione per «incapacità» del capo della
Cia a Baghdad), e quelle dei mercenari che ormai, con oltre 10.000 uomini, costituiscono il
secondo più consistente contingente di truppe d’occupazione.

Ai civili Usa salari da 8.000 dollari

Una vera città imperiale superprotetta che si collega con l’altro fortino costruito attorno allo
Sheraton e al Palestine hotel dall’altra parte del fiume Tigri. E come in tutte le città proibite,
nella superprotetta green zone, lavorano molti civili americani con salari da oltre 8.000 dollari
al mese, affiancati, solo nella parte più esterna del complesso, quella del palazzo dei congressi,
da uno stuolo di interpreti, impiegati e vigilantes locali con salari tra i 100 e i 200 dollari.
Vi sono poi molti immigrati asiatici che lavorano nelle cucine e nelle sale dell’hotel Rashid,
residenza e mensa di lusso gestita oggi dalla Kellogg Brown and Root, la famosa Kbr, sussidiaria del
gigante petrolifero Halliburton di Houston, Texas. E’ la società alla quale sono stati assegnati
contratti per oltre 8 miliardi di dollari per la ricostruzione che vanno dalla fornitura dei pasti a
tutti i soldati e ai dipendenti della Coalition provisional Authority (Cpa, l’amministrazione Usa
guidata da Paul Bremer), alla distribuzione della posta, dalla costruzione di basi e muri di
sbarramento, alle riparazioni delle istallazioni petrolifere.

Il grande incrocio tra le superstrade urbane presso il ministero degli esteri è l’ultimo punto
dove i normali cittadini iracheni possono avvicinarsi impunemente. Barriere, filo spinato, cartelli
di alt, blindati, carri armati e voci rauche dagli altoparlanti, consigliano di togliersi di mezzo
il prima possibile. Chi vuole entrare deve fare la fila fuori degli sbarramenti, esposto agli
attacchi o alle autobombe. Poi ci si inoltra lungo uno stretto passaggio tra due rotoli sovrapposti di
filo spinato taglientissimo e si passano tre check point con altrettante perquisizioni, che si
ripetono poi all’ingresso del palazzo dei congressi. Qui negli immensi spazi del complesso si trovano
gli uffici stampa, le sedi dei vari ministeri e degli organismi creati per gestire il paese.
L’hotel Rashid e, più lontano, il complesso del palazzo presidenziale di Paul Bremer, sono off limits.
Gli abitanti della «citta proibita» e delle altre basi Usa in realtà non hanno alcuna idea di dove
si trovino, non si mischiano mai con la popolazione locale sempre più «infida» e non lasciano mai
la base se non sotto forte scorta - «Com’è Baghdad? E il Tigri? Mi piacerebbe andarci ma ci sono
troppi terroristi in giro», ci dice John pompiere disoccupato del Nebraska che ha colto al volo la
possibilità di farsi quasi 10.000 dollari al mese ma che ora non vede l’ora di potersene andare. A
non poter mai uscire (nessuno darebbe loro alcuna scorta) sono invece gli immigrati asiatici delle
mense, praticamente prigionieri. Gli abitanti della green zone e delle altre basi vivono così in
una spece di «Truman Show», in una fedele replica di una piccola cittadina americana, con tanto di
linee di autobus, dal carattere molto conservatore, fino al punto di negare alle donne il diritto
all’aborto. All’interno delle basi ogni «servizio» (mense, pulizia delle latrine, distribuzione
della posta, attività ricreative, costruzione degli edifici, ma anche arruolamento e addestramento
della polizia e dell’esercito iracheno, difesa degli oleodotti, manutenzione dei sistemi d’arma),
viene appaltato a società multinazionali come la già ricordata Kbr, la Bechtel o la Vinnell
Corporation.

Una guerra privatizzata e appaltata

Ci troviamo nel mezzo di una «guerra privatizzata» dove, ad esempio, degli 87 miliardi di dollari
stanziati per il 2003, un terzo, circa 30 miliardi di dollari, sono andati agli appaltatori
privati, senza contare tutti i successivi contratti per la «ricostruzione» e le spese da capogiro per
gli uomini della sicurezza aumentate in modo esponenziale con l’intensificarsi della resistenza.

Il paese si è così trasformato in un vero Far west di bande e vigilantes nel quale l’esercito
americano si comporta anch’esso al di fuori di ogni regola o legge con una piena immunità estesa
anche, sulla base dell’ordine 17 emanato delle autorità di occupazione, anche a chi lavora con la Cpa.
Quando ci si avvicina all’hotel Palestine, allo Sheraton, o alle altre basi si è affrontati da
figuri con tanto di ray-ban scuri, vestiti di nero come i ninja, e sul volto i passamontagna. La
parte del leone dei contratti per sicurezza e scorte è quella delle società britanniche tra le quali
la Global Risk International di Hampton (Gb) che fornirebbe ex membri delle Sas britanniche ed ex
soldati Gurkha per proteggere il palazzo presidenziale di Bremer. La paga giornaliera per gli ex
membri delle Sas britanniche e per gli ex agenti del Mossad arruolati come guardie del corpo in Iraq
dai boss delle multinazionali può arrivare anche ai 2000 dollari al giorno. Si calcola che ormai
il 10% dei fondi per la ricostruzione venga in realtà speso per la difesa del personale - sino ad
oggi sono 17 i manager e i dipendenti uccisi dalla resistenza.

Cittadelle, colonie modello Palestina

La base attorno ai palazzi presidenziali, e le altre sei ormai quasi ultimate, sono vere e proprie
cittadelle permanenti, colonie modello Palestina. Anche il progetto sembra simile: assicurarsi il
controllo di un territorio senza accollarsi il peso del mantenimento della popolazione locale, che
viene invece affidato alle istituzioni «autonome» e alla generosità internazionale. Il progetto
delle mega-basi permanenti in Iraq ricorda molto quello di una «cavalleria mondiale» proposta
dall’American Enterprise Institute, capace di uscire dai propri fortini, colpire i malvagi e poi
rientrare nelle piazzeforti. Per togliere ogni dubbio sul futuro della «città proibita», Paul Bremer ha
già detto che la green area di Baghdad, con i palazzi presidenziali, quando ci sarà il passaggio di
poteri ad un governo iracheno, passerà sotto il controllo della nuova ambasciata americana. La più
grande del mondo, con 6.000 dipendenti e oltre 100.000 soldati.

Le altre megabasi irachene destinate a rimanere nelle mani di Washington sarebbero: quella
all’aeroporto di Baghdad, dove nelle scorse settimane ha aperto un primo grande «Burger King», la
«Scania» a sud di Baghdad nei pressi della omonima fabbrica di macchine pesanti, quella di Tallil nei
pressi di Nassiriya, quella in costruzione nel deserto occidentale a ridosso del confine con la
Siria, l’aeroporto di Bashur nel nord dell’Iraq, l’immenso «Camp Anaconda» nel triangolo sunnita dove
più forte è la resistenza contro l’occupazione americana. La base si estende per oltre 25
chilometri quadrati e ospita circa 20.000 soldati. Secondo il Washington Post, la vita all’interno della
base si presenterebbe come un film Hollywoodiano con camerieri in guanti bianchi per gli ufficiali
gentiluomini di ritorno dai rastrellamenti a Samarra o Baquba. Guanti bianchi o meno, il cibo nelle
basi in Iraq e nello stesso hotel Rashid, a detta di alcuni soldati, sembra in realtà essere
piuttosto scadente. Soprattutto considerando che la Kellogg, Brown and Root della Halliburton si fa
pagare per ogni pranzo fornito ai soldati la cifra di 28 dollari. Cucinati assai bene sarebbero
invece i conti presentati al Pentagono. Secondo il Wall Street Journal - ci dice un impiegato del
palazzo dei congressi - la cresta sui pasti forniti ai soldati potrebbe essere di circa 16 milioni di
dollari. Nel solo mese di luglio rispetto ai 42.042 pasti dichiarati ne sarebbero stati forniti
solamente 14.053. Non solo - ci dice un altro dipendente della mensa - un’ispezione del Pentagono
avrebbe rilevato che il cibo fornito ai soldati sarebbe «sporco» così come le cucine di quattro mense
della Halliburton dove sarebbero stati trovati anche alimenti avariati. Del resto come disse
Stephen Bechtel, il fondatore della società omonima che dovrebbe ricostruire l’Iraq, «noi non siamo nel
business delle costruzioni ma nel business di fare soldi». Ma non è detto che tutto vada sempre
così per i pescecani della guerra. Forse il genio che Bush ha fatto uscire dalla bottiglia - come ci
ricorda la grande statua di Mohammed Ghani proprio davanti all’hotel Rashid - non è detto sia
disposto a rientrare in silenzio nella sua piccola giara.

Manifesto