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La decisione del tribunale di Genova di respingere la costituzione di parte civile del Comune...
Publie le mercoledì 10 marzo 2004 par Open-PublishingLa decisione del tribunale di Genova di respingere la costituzione di parte civile del Comune nel
processo contro 26 no global, piomba nella sala rossa di Palazzo Tursi proprio nel giorno del
dibattito sull’argomento, innescato dall’opposizione, con l’effetto di una bomba. Il sindaco Giuseppe
Pericu usa toni ultimativi: ritengo di avere una giunta e una maggioranza in grado di affrontare i
gravi problemi della città (cita il caso Amt, le acciaierie, l’Istituto italiano di tecnologia da
lanciare), se qualcuno pensa di sfiduciarmi lo faccia su questioni serie come queste.
Il caso G8 è «totalmente marginale » e, dice ancora Pericu, «mi sentirei irresponsabile se mi
dimettessi di fronte alle dichiarazioni di qualche consigliere o alle richieste di scuse di altri».
La maggioranza, però, continua a essere in fibrillazione, e non poco. Il correntone ds, per bocca
di Mino Ronzitti, ribadisce fiducia a Pericu ma afferma che «le nostre riserve sulla delibera non
erano infondate né fuori luogo, come pure qualche esponente politico aveva sentenziato». Mentre i
ds tentano di riallacciare i rapporti con Rifondazione comunista (il segretario provinciale Mario
Tullo: «Faremo un percorso comune verso le elezioni regionali, io considero la coalizione di
centrosinistra allargata Di Pietro e a Rifondazione»), gli alleati mostrano crescente insofferenza nei
confronti di Prc, che ora pretende le scuse al movimento e anzi un “rilancio” del programma
accogliendo le istanze che arrivano da quella fetta di società.
Tirreno Bianchi, capogruppo dei Comunisti italiani, è netto: «Se al tavolo della riunione di
maggioranza c’è anche Rifondazione, non ci vado io. L’esito di questa vicenda è la dimostrazione che è
stata fatta una strumentalizzazione di bottega». Rincara Claudio Gustavino della Margherita: «Noi
chiedere scusa? Aspetto ancora quelle di Rifondazione dopo la gazzarra in consiglio comunale che
ci costrinse a sospendere l’attività per due ore. Per me, Rifondazione non è più in maggioranza. Il
gioco del dentro e fuori è finito. Non abbiamo bisogno di “sentinelle” del programma né di corsi
di recupero, modello Cepu, sulla politica».
Gli risponde a distanza Marco Nesci, consigliere regionale di Rifondazione:
«Gustavino dovrebbe ringraziare ogni giorno perché è seduto in consiglio comunale, anche grazie al
fatto che ci siamo noi, che continuiamo a essere determinanti.
Gustavino non ha capito che il rapporto con Rifondazione è assolutamente obbligatorio». Salvatore
Cosma di Italia dei valori è meno duro del capogruppo della Margherita, ma chiede comunque un
chiarimento: «Decidere di volta in volta se dare l’appoggio oppure no non significa stare in
maggioranza: Rifondazione deve uscire dall’ambiguità, anche se io non spingo per metterla nell’angolo».
Per aggiungere benzina sul fuoco, in casa dei Ds è scoppiata ieri anche la bagarre interna.
Luciano Pilu, di radici socialiste, ieri è entrato a far parte del gruppo misto. Nel ribadire fiducia
alla maggioranza, fedeltà a Pericu e impegno nell’Ulivo di Prodi, Pilu ha sferrato
un duro attacco a maggiranza e minoranza del suo partito, accusando quest’ultima di avere «una
forte presenza e visibilità nel potere, ben superiore al consenso che
possiede nel partito e fuori» (snocciolando le cariche negli enti) e di aver nonostante questo
«innescato
una bomba ad orologeria sotto il tavolo della giunta Pericu, in modo strumentale».
Ce n’è anche
per la
maggioranza riformista, che «contratta tutto il contrattabile» con la minoranza, «che ha scelto la
contrattazione con tutto e con tutti come identità politica, un’identità politico-mercantile».
Il correntone è furente e si riserva querele (Massimo Casagrande: «Vista la sua provenienza, Pilu
non è la persona più indicata per fare certe affermazioni»), ma anche la maggioranza ha un diavolo
per capello.
Tullo: «Sapevo del disagio politico di Pilu e mi ero detto disponbile a incontrarlo, ma le sue
dichiarazioni sono assurde, ingenerose nei confronti di tutto il partito e non solo della minoranza,
e non veritiere. Sono offeso per questo metodo».
Andrea Plebe