Home > «La democrazia dei movimenti»

«La democrazia dei movimenti»

Publie le mercoledì 18 febbraio 2004 par Open-Publishing

Una rete per catturare il consenso

«La democrazia dei movimenti», un volume collettivo curato da Paolo Ceri sulle
forme decisionali dell’arcipelago «no global»

Da quando si è affacciato sulla scena mondiale, il movimento dei movimenti è
stato oggetto di analisi di numerosi studi, volti ad indagarne la natura o a
metterne in luce aspetti particolari. La democrazia dei movimenti. Come decidono
i noglobal, curato da Paolo Ceri e recentemente pubblicato da Rubbettino
(Soveria Mannelli, 2003, pp. 216, euro 10), si concentra sugli aspetti
organizzativi e decisionali di alcune reti ed associazioni che fanno parte del
movimento antiglobalizzazione. Il curatore, Paolo Ceri, già in precedenza si era
occupato della rete di oppositori al neoliberismo nel suo Movimenti globali. La
protesta nel XXI secolo (Laterza, Il manifesto del 16 maggio 2002). Questa volta
si è limitato a scrivere il saggio finale in cui trae le conclusioni delle
analisi condotte su sei associazioni italiane ed una francese. In particolare,
le ricerche si concentrano sulla Rete Lilliput (Francesca Veltri), su Attac
Italia (Pietro Finelli), AC!-Agir ensemble contre le chômage (Daniel Mouchard),
Disobbedienti (Stefano Becucci), la rete del Commercio Equo Solidale (Marco
Rosi), Anarchici e Black Bloc (Patricia Chiantera-Stutte) e Social Forum (Gian
Luca Fruci).

Questi diversi studi presentano tutti una struttura simile. Si parte raccontando
in breve la storia dell’associazione o del gruppo, poi se ne descrive la
struttura, si analizzano le forme organizzative adottate, i metodi e gli
strumenti utilizzati per prendere decisioni, infine si cerca di mettere in
evidenza gli elementi innovativi e funzionanti nei processi deliberativi oltre
che segnalarne eventuali limiti e contraddizioni.

Quello che emerge subito è che, molto spesso, queste realtà non sono semplici
associazioni ma si caratterizzano, piuttosto, come reti di reti, ovvero
strutture che collegano e coordinano a livello nazionale reti più piccole
fortementi presenti nel territorio. Inoltre, tutte fanno largo uso di Internet,
non solo per diffondere documenti o segnalare iniziative, ma anche e soprattutto
come luogo di dibattito, di scambio di opinioni tra gli attivisti. La rete,
così, diviene uno dei luoghi in cui si esercitano forme nuove di democrazia. E a
tale proposito si può citare l’esempio della Rete Lilliput e del suo progetto di
democrazia a bolle che dovrebbe permettere ai lillipuziani «di esprimere lungo
tutto l’anno le loro opinioni su varie proposte i cui testi si trovano sul sito
del movimento, sottolinenando le parti accettate e barrando quelle rifiutate, in
modo da far emergere attraverso l’accumularsi dei segni le idee cosiddette "più
forti", o meglio, più condivise, e quelle più criticate. Si tratta di un
processo a lungo termine, che necessita di un’operazione periodica di sintesi e
di bilancio realizzata in gruppi più piccoli, da sottoporre al giudizio delle
grandi assemblee».

Altro punto in comune è il rifiuto condiviso per la struttura piramidale,
gerarchica, propria delle organizzazioni sindacali e dei partiti politici, in
favore di forme organizzative orizzontali, di tipo reticolare, incentrate in
genere sulle assemblee che riuniscono tutti i militanti, affiancate da altre
strutture quali consulte, tavoli, consigli nazionali, gruppi di lavoro tematici.

Inoltre, piuttosto che utilizzare i meccanismi classici della democrazia
rappresentativa come il voto a maggioranza o l’elezione di organi decisionali,
si preferisce guardare a formule innovative di democrazia diretta, spesso basate
sull’esperienza dello zapatismo o sul metodo del consenso. Questo metodo nella
sua forma più pura è ascrivibile alla Rete Lilliput, ma in forme anche
lievemente differenti è adottato da molte organizzazioni ed ha ricevuto una
sorta di investitura ufficiale al terzo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre.

In sostanza si tratta di un meccanismo «che spinge chi non è d’accordo con la
maggioranza a cercare una mediazione e poi eventualmente a mantenere il
dissenso, ma senza opporsi alla decisione sulla quale dissente. Se invece il
dissenziente insiste, allora bisogna rinunciare alla decisione».

Naturalmente, i punti in comune fin qui messi in evidenza vengono declinati in
forme differenti all’interno dei diversi gruppi. Così, ad esempio, nelle
associazioni legate al commercio equo e solidale sono in vigore forme più
tradizionali e rigide di democrazia rappresentativa, che si esprimono
principalmente nel consiglio di amministrazione e nel coordinamento nazionale,
dovute alla necessità di agire in maniera operativa sul mercato. Oppure,
all’opposto, i cosiddetti «black bloc» si cartterizzano per una struttura
estremamente fluida, che si concretizza nelle azioni che si intende intraprendere.

Quasi tutte le associazioni prese in esame, poi, sembrano aver ben chiaro il
fatto che il movimento non può essere definito come la semplice somma delle
strutture organizzate che ne fanno parte, ma gran parte della sua forza è dovuta
alla capacità di attrarre persone estranee ai diversi gruppi e associazioni.
Spesso, come nel caso di Disobbedienti o dei Social Forum, le assemblee sono
aperte a tutti coloro che vogliano partecipare.

Libro chiaro, ben scritto La democrazia dei movimenti rappresenta uno spaccato
utile a capire come all’interno del movimento si cerchi non soltanto di
realizzare un altro mondo possibile, ma ci si interroghi e si sperimentino nuove
forme di partecipazione e di mobilitazione, di convivenza e di democrazia.
Rigoroso nell’uso delle fonti, che non consistono soltanto in documenti e
pubblicazioni cartacee o pubblicate su Internet ma anche in una serie di
interviste a militanti dei diversi gruppi, il volume curato da Ceri presenta
solo un fastidioso errore nell’impaginazione: le testatine nelle pagine destre
che invece di indicare l’argomento del saggio ne riprendono il titolo
«spezzandolo» irrazionalmente con i puntini di sospensione, per cui si hanno
veri e propri obbrobri come «Decidere tra politica ed economia: il...» o
«Disobbedienti e centri sociali: fra...».

Manifesto