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La guerra buona

Publie le venerdì 19 marzo 2004 par Open-Publishing

Precipita la crisi in Kosovo. Da cinque anni precipita, ma tutti hanno
preferito tacere su una ferita che i bombardamenti della Nato hanno
mantenuta aperta. Riesplode ora, quando la guerra all’Iraq vede
sfaldarsi il fronte dei belligeranti occidentali. Rimaneva il Kosovo,
la guerra buona e «di sinistra» - era D’Alema il presidente del
consiglio che la gestì e poi se ne vantò - e se ne vanta ancora - in
un libro di memorie presentato a Roma con l’ancora comandante Nato
Wesley Clark. Ieri Kosovska Mitrovica ha visto scene «normali» di
guerra etnica nei Balcani. Ma non era avviata ormai la pacificazione?
No, e appare forte la responsabilità di chi ha usato la guerra come
arma di risoluzione dei conflitti. Quella guerra occidentale -
cominciò 5 anni fa, il 24 marzo del 1999 - fu il risultato di una
serie di stravolgimenti del diritto internazionale.

Oggi chi la
rivendica parla del ruolo dell’Onu, mentendo. Perché esisteva solo un
dispositivo del 1998 che aveva avviato sul campo una missione di
monitoraggio dell’Osce proprio per impedire violenze da tutte le
parti. Rapporti Onu ancora nel gennaio `99 e quelli dell’Osce non
parlavano di pulizia etnica ma di «sfollati da una parte e
dall’altra». Fu la Nato, invece, la protagonista, per la prima volta
ben oltre il suo mandato istituzionale. La svolta avvenne con il
legame perverso tra Richard Holbrooke, l’inviato Usa, e le milizie
dell’Uck, indicate come «terroristi» solo pochi mesi prima dall’altro
inviato Usa nei Balcani, John Gelbart. Poi la pantomima della
conferenza di Rambouillet. La strage di Racak fece il resto: peccato
che l’anatomopatologa finlandese Helena Ranta, impegnata nelle
indagini indipendenti, ha ribadito anche in questi giorni che quella
strage era inventata. Bastò perché l’americano William Walker
ritirasse la missione Osce.

Il 24 marzo del 1999 la Nato, senza alcun voto dell’Onu, avviava la
più grande campagna di bombardamenti sulla Jugoslavia dalla Seconda
guerra mondiale. Vennero rase al suolo tutte le infrastrutture del
paese, fabbriche, ponti, comunicazioni, ospedali, tornarono i rifugi a
Belgrado, vennero uccisi 1.500 civili - con l’«innocente» uso delle
cluster bomb sui centri abitati, gli effetti collaterali si
moltiplicarano con l’uccisione sotto i raid dell’Alleanza di centinaia
di profughi albanesi-kosovari in fuga dalla vendetta di Milosevic -
che reagì con furia etnica all’attacco Nato - ma anche in fuga dai
bombardamenti. Dopo 78 giorni di inarrestabili raid e bugie - fu il
battesimo delle menzogne di adesso - dei governi occidentali, si
arrivò alla pace di Kumanovo nel giugno 1999, le truppe serbe si
ritirarono lasciando il campo all’Alleanza atlantica. Allora cominciò
quella che l’Onu a fine dicembre 1999 chiamò «contropulizia etnica»
dei civili serbi, rom e goranci, accompagnata dalla mattanza degli
albanesi moderati. Proprio sotto gli occhi della Kfor che ha assistito
senza muovere un dito alla demolizione di più di 100 monasteri
ortodossi. Nulla era cambiato, le parti si erano invertite: 200mila
serbi fuggirono, i pochi rimasti vennero terrorizzati: dalla fine
della guerra sono 1.300 i serbi uccisi, 1.200 i desaparecidos.

Non solo. L’Amministrazione Onu a guida di Bernard Kouchner ha di
fatto avviato il Kosovo all’indipendenza, in aperto contrasto con gli
accordi di pace. Fino alla precipitazione di ieri. E adesso è premier
a Belgrado quel Vojslav Kostunica che da presidente jugoslavo tuonò
contro la guerra «umanitaria» e che ancora chiede all’Aja di
processare per le uccisioni di civili sotto i raid, i leader della
Nato.

Ormai è chiaro: dietro il caos dei Ds sulla guerra all’Iraq e sulla
missione italiana a Baghdad - voto d’incostituzionalità e poi non voto
sul finanziamento - c’è proprio il mancato chiarimento sulla guerra
«umanitaria» del centrosinistra, diventata bipartisan con i voti della
destra. La guerra «buona», quella del moderno uranio impoverito, delle
cluster bomb progressiste.

Il Manifesto