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La nonviolenza non significa rinuncia al conflitto

Publie le venerdì 30 gennaio 2004 par Open-Publishing

"Il conflitto sociale è il sale della democrazia". "La democrazia è per i
lavoratori come l’acqua per i pesci". Sono affermazioni che spesso in
questi anni sono state fatte (da alcuni, non molti per la verità) in
particolare in relazione al tentativo di stabilire un rapporto di
dipendenza della violenza politica dal conflitto sociale ed in relazione
alla iniziativa dei metalmeccanici con la scelta della Fiom di rivendicare
la titolarità contrattuale dei lavoratori ed il vincolo del loro consenso
da esercitarsi con il voto segreto nel decidere piattaforme e accordi.

Non credo che le si possa assumere come artifizi retorici. Io le prendo
molto sul serio, e a partire da queste vi propongo una riflessione che
vuole essere un contributo alla discussione in corso sulla non violenza,
chiarendo di partenza la mia condivisione della necessità oggi di una
scelta su questo piano di carattere strategico per chiunque si proponga un
processo di trasformazione della realtà (forse) possibile e degno di questo
nome, cioè per affermare principi e condizioni di eguaglianza, solidarietà
e libertà.

Le affermazioni che ho richiamato di partenza a me paiono fondate su alcun
presupposti. Il primo è che i lavoratori e le lavoratrici (e cioè gli
uomini e le donne in quanto indissolubilmente partecipati dalla dimensione
lavoro nelle diverse forme in cui ciò si determina in una società
capitalista) sono potenzialmente portatori di un punto di vista altro
rispetto a quello del capitale, e quindi soggetto sociale in grado di
fondare su base materialistica una capacità autonoma (e non in ultima
istanza necessariamente subalterna), che apra quindi spazio alla rimessa in
discussione del complessivo reticolo di domini oppressivi sugli uomini e le
donne.

In questo senso, l’antagonismo è un dato costitutivo della realtà in cui
viviamo, non è qualcosa che si decide in un qualche organismo dirigente o
in un dibattito politico-culturale. Ciò che noi possiamo fare è scegliere
come rapportarsi con questo dato di realtà, consapevoli che anche noi siamo
interni a questo antagonismo.

L’altro presupposto che voglio richiamare si riferisce al fatto che nessuno
può sostituirsi al soggetto sociale antagonista e potenzialmente
alternativo e nel contempo il soggetto non è semplificabile nelle pur
indispensabili organizzazioni e associazioni che di volta in volta ad esso
si richiamano, e neanche si può pensare che la questione sia risolta con i
movimenti (pur decisivi) o le assemblee che di volta in volta si
determinano. Sono gli uomini e le donne, tutti e tutte, che compongono il
soggetto sociale che debbono poter sempre decidere su ciò che interviene
sulla loro condizione, con una capacità di organizzazioni e associazioni
(avanguardie?) di favorire questa possibilità nel contempo a ciò
attenendosi e vincolandosi.

Pare evidente che tutto ciò richiede decisivamente il conflitto sociale, il
quale a sua volta per esprimersi ha assoluto bisogno della democrazia
(l’acqua per i pesci). Senza questo, c’è la guerra e il conflitto di tutti
contro tutti; c’è la negazione o la rimozione dell’antagonismo sociale, le
illusioni di poter sostituire democrazia e conflitto sociale con l’opera
"lungimirante" di avanguardie o con la pur rispettabilissima predicazione
etica.

Io credo che sia qui oggi un punto fondante decisivo della ipotesi della
non violenza, la novità del percorso con cui arrivarvi rispetto al passato,
il problema del "salto" posto da Ingrao. Solo una dimensione processuale di
partecipazione che chiami in causa attraverso la democrazia (e quindi il
diritto a decidere attraverso il principio maggioritario) il soggetto
sociale (tutti e tutte) può permettere che le dinamiche di trasformazione e
opposizione siano comunque nelle mani del soggetto sociale stesso, e non
decise da altri per conto loro, riproducendo inevitabilmente le
caratteristiche autoritarie ed oppressive del potere che si mette in
discussione.

Un’idea violenta sulle forme della lotta sociale e politica per affermare
opposizioni e alternative riconduce a logiche militari e sospende
inevitabilmente la democrazia e l’esercizio democratico e trasparente del
rapporto con il soggetto sociale. In questo senso oggi non si può che
scommettere sull’ipotesi della non violenza, insieme a quella della
democrazia e del conflitto sociale.

E proprio per questo, eviterei una discussione che porti ad approcci
fondamentalisti o ad ambigue distinzioni ("quando ci vuole, ci vuole",
diceva il genitore o la genitrice quando menava il figlio). Ed è proprio
per questo quindi che il discorso sulla non violenza non può che essere
l’opposto di un discorso che introduca riserve o addirittura rinunce al
conflitto sociale ed al riconoscimento dell’antagonismo come dato vitale
della realtà...

Continua, me lo auguro, la cultura critica che su basi materialiste a
partire dall’800 riconosce antagonismo e soggetto sociale come presupposto
per una trasformazione dell’esistente con il conflitto sociale e politico.

Non ha più prospettive l’ipotesi che ciò possa avvenire con passaggi di
esercizio violento e non democratico del potere.

Su questo punto infatti nel percorso storico del movimento operaio (e anche
di altri movimenti), nelle diverse articolazioni (con pur rilevanti
eccezioni minoritarie e a suo tempo sconfitte), il problema non ha mai
trovato soluzione strutturale e strategica riguardo il riconoscimento e
l’accettazione dell’esercizio della democrazia da parte del soggetto
sociale di riferimento come vincolo da darsi nell’esercitare potere. Si
spiega forse in questo il fraintendimento sui lavoratori assunti
essenzialmente come "forza-lavoro" e quindi indistintamente come merce, e
non come uomini e donne irriducibili a merce, qui ed ora, e quindi unici
possibili protagonisti decisori di una trasformazione.

Sta in questo una subalternità di fondo alla cultura del capitale e ad una
cultura propria delle dinamiche che si sono costruite per l’avvento e il
consolidamento del capitalismo, con la illusione che alcuni, impadronendosi
di questa cultura, gliela potessero giocare contro per dare (naturalmente,
dopo) al soggetto sociale la possibilità di essere soggetto.

Liberazione