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Lavori a termine? C’è un santo per te

Publie le giovedì 7 ottobre 2004 par Open-Publishing

Dazibao


3 mila «fedeli» di San Precario si incontrano a Roma. In piazza il 6 novembre

di ROBERTO CICCARELLI

Nella sua tuta da operaio il clown Chaplin avvitava la sua vita alla catena di
montaggio. Mangiava, dormiva e amava allo stesso ritmo di un bullone al secondo.
Oggi quel clown ha smesso la tuta e indossa la divisa di una catena commerciale,
ha il volto glabro, il folto ciuffo nero e l’estasi di San Precario che rivolge
la sua preghiera al dio nascosto del plusvalore assoluto del capitale. In uno
dei suoi templi preferiti, il «laboratorio metropolitano del precariato» Acrobax
a Roma, l’ex cinodromo, tremila fedeli di questo nuovo santo hanno onorato una
delle sue numerose festività, quella della seconda edizione di «Incontrotempo»,
quattro giorni dedicati al tema del lavoro precario.

I seguaci del culto sono per la maggior parte lavoratori interinali e cognitivi. Nella domenica dedicata alla festività di Nostro Signore Precario, questi dipendenti delle catene commerciali, angeli dei call center, bounty-killers delle partite Iva, volontari legati alla catena produttiva del lavoro umanitario, precari della ricerca scientifica senza protettori in paradiso, hanno convocato per il prossimo 6 novembre a Roma una manifestazione-street parade aperta a tutte le componenti del movimento italiano per riaprire la battaglia sul reddito di cittadinanza in Italia (e in Europa) per quel soggetto molteplice, trasversale e ormai maggioritario che è diventato il precariato. Per chi è abituato a pensare che il lavoro dei fedeli del santo sia solo quello che si svolge ordinatamente in fabbrica, o negli uffici pubblici, consigliamo di leggere meglio la preghiera stampata sul retro del santino: l’aureola del santo protegge tutti quelli che si aggirano senza più welfare negli antri delle nostre città. La vera alternativa politica oggi è di individuare le nuove forme di conflitto all’altezza della composizione materiale del lavoro precario.

L’idea è quella di progettare uno «sciopero metropolitano» che permetta di coniugare la formula del corteo con strumenti che aiutino la disseminazione del conflitto all’interno degli snodi produttivi della metropoli: «Lo sciopero tradizionale - sostiene Andrea Fumagalli, docente di Economia politica all’Università di Pavia - aveva come obiettivo quello di provocare un danno per le imprese attraverso il blocco della loro attività produttiva. In una realtà produttiva postfordista diffusa a rete sul territorio come la nostra questo sciopero non ha alcun impatto politico». Non si tratta dunque di immaginare i classici picchetti davanti alla fabbriche, ma è necessario invece «chiudere ad esempio i caselli delle autostrade, bombardare elettronicamente i call center e i server degli uffici», bloccando temporaneamente la produzione immateriale senza far pagare le conseguenze dello sciopero alla busta paga dei lavoratori.

Uno scenario da fantascienza politica? «Non credo - risponde la mediattivista Francesca Bria, una delle autrici di Precarity, un dvd che raccoglie una serie di docu-video sulle lotte antiprecarietà da Barcellona a Seul - quando gli autoferrotranvieri di Dublino hanno dichiarato autonomamente una giornata di trasporto gratuito, oppure quando i giornalisti di Rainews24 hanno autogestito il palinsesto per protestare contro dieci licenziamenti, non hanno fatto altro che socializzare la propria precarietà attraverso una nuova forma di lotta». Il movimento si pone anche il problema della comunicazione delle lotte: «Attiveremo un bollettino su mailing list - dice Rafael di Acrobax, una tesi in filosofia politica in corso e lavori part-time nella distribuzione di volantini - per mettere in contatto quelle lotte che partiranno con l’apertura degli "sportelli" contro il lavoro precario il prossimo 26 ottobre». Dopo l’Euromayday che ha mobilitato lo scorso primo maggio 100 mila persone a Milano, il movimento sembra essersi allargato: «Dall’operaio della Siemens ai precari del Piccolo, sono stati in molti a creare dei legami con noi», dice Frank di Chainworkers. Quello utilizzato è un linguaggio allo stesso tempo generico e universale, capace di includere le lotte dei disoccupati di Acerra con quelle dei precari di Padova, Bologna, Bari e Palermo. E già si annuncia un lungo congresso di neo-santi: da San Gennaro a San Pietrino, il precario non sarà mai solo, anche se rimarrà ancora a lungo senza dignità, reddito e pensione.

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/06-Ottobre-2004/art57.html