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Le banche, il Parmacrack e i fondi d’investimento

Publie le giovedì 19 febbraio 2004 par Open-Publishing

di Pjotr (pseudonimo di un operatore del settore bancario)

Leggo sempre con molta attenzione e trasporto il Granello spesso forwardando
gli articoli più interessanti agli amici, io faccio l’operatore di borsa e
potrete facilmente immaginare come faccia fatica a far andare d’accordo la
mia persona e le mie idee con il lavoro che faccio. Poiché ci tengo a che il
Granello grondi verità (secondo me la sua inoppugnabile oggettività è la sua
grande forza) devo avvisarvi che la frase che segue non è affatto esatta:
"Le banche sapevano della situazione Parmalat? Chiunque abbia frequentato
anche poco, anche solo di striscio, gli ambienti finanziari sa che a un
certo livello si sa tutto, e lo si dice in giro. Ma, appunto, a un certo
livello: di lì in giù, nulla filtra. Più che di riservatezza, sembra quasi
trattarsi di omertà. Ma se sapevano, perché hanno continuato a finanziare la
Parmalat? Perché tanto i bond emessi mica se li tenevano loro. Li
rifilavano - ovviamente tessendone ampie lodi e, soprattutto, incassando
laute commissioni - ai loro ignari clienti, abbacinati da interessi a due
cifre ma assolutamente ignari di avere in mano poco più che carta straccia."
Io l’ambiente non lo frequento poco e posso dirvi che: gli interessi non
erano a due cifre, ma fino all’inizio di novembre del 2003 i rendimenti
netti e i titoli Parmalat erano aderenti alla loro valutazione (rating
BBB-). Quanto a chi detiene o deteneva i titoli la presenza di Bondi e
l’intervento del governo sono da spiegarsi proprio con il fatto che le
banche e gli "investitori istituzionali" detengono in portafoglio le
obbligazioni del gruppo di Collecchio.

La differenza sostanziale tra il crac Cirio e quello Parmalat sta proprio
nel fatto che i bond Cirio non avevano rating e quindi le banche e gli
investitori istituzionali non detenevano questi titoli. La Parmalat invece
il rating l’aveva e non era neppure pessimo, questo perché avevano
"taroccato" il bilancio. (E ho motivo di credere che se sono riusciti a
tirare avanti con bilanci falsi per 15 anni, se si sono quotati con bilanci
falsi, è perché solo una stretta cerchia di persone SAPEVA, altrimenti il
gioco non si tira tanto in lungo, prima o poi qualcosa fuoriesce.) In
effetti solo così si spiega il fatto che per Cirio tutto aleggia in una
brodaglia misteriosa, mentre su Parmalat si stiano muovendo a spron battuto
(ricordo che parmalat al momento non ha ancora saltato un solo rimborso di
obbligazioni, è stata dichiarata in default ed è stato attivato un
procedimento di intervento prima che materialmente succedesse qualcosa), il
motivo è semplice quanto triste: le vittime di Cirio sono solo piccoli
investitori senza voce, mentre le potenziali vittime del crac Parmalat sono
anche le banche e gli investitori istituzionali, che la voce e le leve di
potere le hanno.

Cosa sono i fondi d’investimento

I fondi di investimento sono un’invenzione relativamente recente, il
concetto risale all’antichità: i mercanti Fenici erano soliti suddividere le
loro merci su più imbarcazioni, perché così un incidente marino non avrebbe
pregiudicato tutto il carico; il concetto rimane più o meno il medesimo: il
piccolo risparmiatore attraverso i fondi può diversificare i propri
risparmi/investimenti su una grande varietà di titoli così da trovarsi
tutelato da rischi di difficoltà o crisi di singole società. E questo è
senz’altro un aspetto positivo, ma purtroppo esistono anche degli aspetti
negativi. Da non trascurare.

Tanto per cominciare si può dire che, gestendo i fondi, le banche esercitano
un potere nel C.d.A. delle aziende senza sborsare nulla: i titoli li
comprano i clienti e le banche, detenendoli, godono del potere che ne
deriva: chi compra quote di fondi compra, appunto, delle quote, non è
azionista di nulla: l’azionista è il fondo. Inoltre la composizione del
fondo è alquanto misteriosa, muta ogni giorno per ovvie esigenze di
gestione, però questo lascia la porta aperta a particolari operazioni; le
banche hanno molti modi di impegnare la liquidità che raccolgono: concedono
mutui e prestiti e comprano titoli. Alcune (come ho scritto ieri) hanno
anche comprato titoli Parmalat, per la loro buona redditività. Al
manifestarsi del crac, però, qualche banca furbescamente potrebbe aver
"venduto" ai fondi da lei gestiti i titoli incriminati, scaricando sui
titolari delle quote (= i risparmiatori) il danno finanziario. Che modi
hanno i risparmiatori di sapere se e a che prezzo è stato fatto? Ahimè
praticamente nessuno.

Capirete bene che a questo punto verrebbe voglia a chiunque di gestire
fondi: si comprano titoli con i soldi di altri (percependo delle commissioni
per la gestione e a volte anche per la sottoscrizione e/o il
disinvestimento), si esercitano comunque i poteri che ne derivano come se li
si fosse comprati con soldi propri e nel caso di crac -ma non solo- il fondo
diventa un enorme (spesso questi fondi hanno capitalizzazioni di miliardi e
miliardi di Euro) calderone dove "annacquare" quei titoli che invece si
erano comprati sborsando del denaro concreto. Ovvio che le possibilità di
"annacquamento" si moltiplicano all’aumentare dei fondi gestiti, su cui
spalmare il discorso: chi gestisce trenta fondi diversi può spezzettare i
titoli incriminati prima di annacquarli.

Vogliamo aggiungere poi la possibilità di sostenere il proprio titolo? La
Banca "Arturo" vuole attivare un meccanismo speculativo sui propri titoli,
visto che il mercato si alimenta di domanda/offerta, quale miglior modo di
sollevare o deprimere il titolo se non quello di farlo con le risorse altrui
usando i fondi per spostare i volumi dalla domanda all’offerta e viceversa?
e ancora: in caso di sospetta Opa (ovvero di possibilità che qualche altra
banca cerchi di comprarsi la banca "Arturo") quale miglior modo di
difendersi facendo comprare ai fondi della banca Arturo i titoli della banca
stessa? si fa crescere il prezzo e si tolgono dal mercato titoli
rastrellabili da altri, si può poi chiedere o dare aiuto ad un altro
istituto formando importanti alleanze trasversali, sempre (ricordiamolo)
senza alcun impiego di risorse proprie.

La ciliegina sulla torta è quella poi di trovare una rete di collocamento
dei fondi a costo zero: come sarà mai possibile farlo? Semplice: una bella
rete di promotori, convinti -stimolando il loro individualismo- che possono
ottenere guadagni maggiori se accettano di essere pagati percentualmente
alle commissioni che raccolgono. Non è necessario formarli in alcun modo
perché si arrangeranno da soli ad informarsi e a vendere: altrimenti non
verranno pagati, inoltre si potrà sempre far leva sul fatto che loro stessi
hanno accettato di essere "imprenditori di sé stessi". Quindi sul mercato
possono scorrazzare liberamente dei promotori di prodotti finanziari che
percepiscono provvigioni solo in ragione di quanto vendono, quindi senza
alcun rischio per l’istituto perché a produzione zero la risorsa costa zero,
e oltretutto si possono dismettere le strutture di formazione, o magari
creare società che facciano formazione cui i promotori saranno "invitati" a
iscriversi.

Per giunta questi "imprenditori di sé stessi" non sono legati ad alcun
contratto nazionale, ma contrattano singolarmente il loro trattamento
economico, non hanno sigle sindacali, ma sono trattati come dipendenti: sono
soggetti a budget e sono legati ad un solo marchio: cioè sono liberi
professionisti quando si tratta di pagarli o formarli e diventano
professionisti non liberi quando devono decidere cosa vendere.

GRANELLO DI SABBIA (n°122)
Bollettino elettronico settimanale di ATTAC