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Lo smarrimento della Quercia

Publie le sabato 28 febbraio 2004 par Open-Publishing

Molti deputati della maggioranza scettici sulla linea del non voto. Martedì
assemblea del gruppo

Il 10 marzo la camera vota sulle missione militari all’estero. I Ds sono in
agonia, ma la Margherita li tiene al guinzaglio con il ricatto sul triciclo

ROMA
«Non è un non voto, è una non linea», osserva un deputato diessino solcando
sconsolato il transatlantico di Montecitorio. Perché sul decreto che
rifinanzia la missione militare in Iraq (e tutti gli altri interventi
all’estero) la Quercia è spersa come nel settecentesco labirinto di un
giardino all’italiano. Ma intanto la clessidra si consuma inesorabile:
mercoledì prossimo, 3 marzo, l’aula di Montecitorio voterà le pregiudiziali
di costituzionalità sulla conversione del decreto e il successivo 10 marzo è
previsto il voto finale. Una riunione fiume dei deputati della maggioranza,
l’altra notte, non è riuscita a imboccare una via di uscita dal dedalo in
cui si è inoltrata la Quercia. Anzi. Ben trenta i parlamentari che sono
intervenuti sulla relazione svolta dal coordinatore Michele Ventura:
dalemiano alquanto irritato dal fatto che il più dalemiano Peppino Caldarola
avesse anticipato un esito conforme al non voto deciso in senato. La
soluzione scelta a palazzo Madama, infatti, si sta ripercuotendo con forza
su tutto il partito. E anche i deputati della maggioranza, soprattutto
quelli eletti nei collegi rossi, sono assai dubbiosi della possibilità di
poterla riproporre immutata. A favore del no al decreto si sono perciò
espressi anche parlamentari insospettabili, come il faentino Gabriele
Albonetti o il salernitano di rito dalemiano Vincenzo De Luca; analogamente
all’emiliano Mauro Zani e a tutta la componente cristiano sociale. Al punto
che c’è chi ha osservato che se si fosse votato la leadership Ds sarebbe
andata in minoranza. Conti fatti senza la cultura dell’obbedienza della
maggioranza Ds. Anche se lo stesso Massimo D’Alema si sarebbe cosparso il
capo di cenere per le «difficoltà» prodotte dall’intervista al Corriere in
cui aveva anticipato l’ipotesi del non voto: rilevando che, alla fine dei
conti, con la maggioranza berlusconiana non è possibile far leva sul senso
di responsabilità e del dialogo. Ma il triciclo viene prima di tutto. Questa
è la verità. Questo è il prezzo che i Ds stanno pagando al ricatto dei
post-democrstiani della Margherita. Ed è facendo leva su questo che Piero
Fassino riconfermato il non voto.

La presa di posizione ufficiale è rimandata all’assemblea del gruppo della
Quercia in programma per martedì 2 marzo. Un altra seduta di passione, visto
che ci sarà anche l’agguerrita minoranza del correntone, che intanto
continua a tempestare uno a uno i colleghi della maggioranza con i proprio
argomenti a favore del no. Ed è probabile che anche in quella sede i Ds
rimandino ancora, per spingersi sempre più a ridosso del voto finale del 10
marzo.

Tempo utile per continuare la battaglia ostruzionistica, che ancora i Ds
fanno un po’ a singhiozzo (Marco Minniti, ad esempio, non la definisce tale)
e alla quale vengono invece invitati dal verde Paolo Cento. Visto l’agonia,
c’è addirittura chi nel correntone sussurra che sarebbe meglio farla finita
subito. Ma lo smarrimento è tale che l’unico ossigeno è quello fornito dal
tempo. Perciò ieri il capogruppo Luciano Violante non ha potuto far altro
che confermare il pestarsi i piedi della Quercia e del triciclo. «Tutta
l’opposizione è unita nel chiedere che il governo divida nel decreto legge
sulle missioni militari quella relativa all’Iraq da tutte le altre, come già
si è fatto alla camera nel luglio scorso», dice senza dire che se lo
volevano bastava vergare a novembre l’apposita mozione (che governo e
triciclo però hanno evitato volentieri).

«I Ds insisteranno ancora su questa richiesta perché sono nettamente
contrari alla missione in Iraq e sono invece favorevoli a tutte le altre»,
continua il capogruppo. E perciò è già noto che (insieme a tutta
l’opposizione) voteranno a favore dell’emendamento soppressivo dell’articolo
2 del decreto. Quello che stabilisce: «E’ differito al 30 giugno 2004 il
termine previsto dall’articolo 6, comma 1, del decreto-legge 10 luglio 2003,
n. 165, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 219,
relativo alla partecipazione di personale militare all’operazione
internazionale in Iraq. Per la finalità prevista dal presente articolo è
autorizzata la spesa di euro 209.017.084». Quello che se venisse bocciato
riporterebbe a casa i militari dello scorso primo gennaio. Quel «ritiro» che
è la parola d’ordine della manifestazione del prossimo 20 marzo. Tuttavia i
Ds fingono di non saperlo per il bene del triciclo. Perché la Margherita non
vuole che se sappia, altrimenti voterà per conto suo.

(Tra parentesi, per l’intervento umanitario in Iraq «è autorizzata la spesa
di euro 11.627.450». Fatte le debite proporzioni...)

dal Manifesto