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MARTIRIO E FINE DI GIOVANNO D’ARCORE
par Lucio Galluzzi
Publie le domenica 18 agosto 2013 par Lucio Galluzzi - Open-Publishing
E’ da più di trent’anni che studia con dedizione maniacale la parte.
Era cosciente che sarebbe giunto questo periodo suo.
Ha cominciato poco più che ’giovinotto’ ad essere angosciato dall’alopecia devastante e, quando ancora sconosciuto all’esercito dei votanti con il culo, mandò i suoi scagnozzi per archivi iconografici nei quotidiani, soprattutto Corriere della Sera, e fece sparire quegli scatti che tanto lo facevano vergognare.
Quelle immagini non dovevano più essere pubblicate.

Dagli di pece in testa, stracci, bitume, colle e fissanti bicomponenti, ecco che l’attor nascente permette nuovamente d’essere fotografato, ora si che è bono: tutto una distesa di capello nero, assolutamente immobili, tacchi per sembrar meno Mussy, ma tanto ci somiglia sputato in tutto, e doppiopetto tela vaticana: divisa che non toglierà più.
Si mette a studiare giorno e notte le biografie [non autorizzate] delle martiri vergini, sante pulzelle finite al rogo, beate perseguitate dai turchi infedeli.
Così, andando avanti, si cala talmente nella maschera, da dimenticare che sta recitando.
Come in una commedia borghese di Giacosa si identifica talmente nel personaggio sul palco da credersi quello; non si accorge neppure che sta rappresentando il Mein Kampf, non può, è ignorante come tutti narcisisti orridi, non studia, legge solo quello che non gli crea conflitto.
E quelli sono ignoranti come lui, che non studiano, orridi in egual misura ne fanno il loro specchio; ma non per ammirazione autentica; vogliono semplicemente emergere dalla polvere dei fallimenti delle loro mediocri vite, sanno che il poveretto alla pari del Fuehrer li prenderà tutti alla sua corte, perché lui ama, come l’Adolfo, chi non lo contraddice mai.
Il "no" lo ha sempre terrorizzato.
Se li fa tutti suoi: finti maschi che picchiavano le mogli, squadristi neri, traditori e infami, politicanti cacciati a pedate anche dalle più sparute amministrazioni comunali per incapacità, falsi laureati e diplomati, vecchie troie neppure più buone la la gelatina della carne in scatola dei discount, "premi Nobel" mancati, massoni e mafiosi, truffatori e papponi, private tenutarie, spacciatori, ladri...
Agli italiani sempre in cerca del manganello la cosa piace, la maggior parte che non capisce neppure la differenza tra Sorrisi e Canzoni TV e il Vangelo, lo vota, lo rivota e il poveretto si convince sempre di più d’essere l’unico attore degli ultimi secoli.

Non si ferma più, è una fucina inarrestabile di pellicole per le masse: "La Nipote della Sfinge", "Bandano il pirata", "Il parente di Gheddafi"; "Putin: sono la tua bambina".
Giunge poi alla trilogia che più gli ha dato notorietà: "Profonde Rosse Procure 1: processo breve", "Profonde Rosse Procure 2: processo lungo", "Profonde Rosse Procure 3-Atto Finale, I nodi al pettine".
I grandi critici teatrali e cinematografici lo hanno sempre bistrattato, non ne hanno capito il vero genio, se la sono presa per i cinepanettoni girati per addolcire le feste sacre nazionali: "Pasqua a Bunga Bunga", "Abbronzami come quel presidente", "Miracolo del duomo a Milano", "Evasione per Antigua".
Ma sono tutti titoli datati questi, con la sua ultima interpretazione, uscita da poco in tutte le sale europee, "Martirio di Giovanno d’Arcore: il pulzello Brianzol", quasi nessuno si ricorderà dei suoi vecchi film.
Quest’ultimo film lo progettava fin dal 1995 quando in tutti gli oratori italiani fu proiettato, a scopi catechistici, "Unto e bisunto".
E’ questo il vero professionismo dell’attor tragicomico in questione: ogni sua nuova interpretazione fa dimenticare quella precedente [si vocifera che il suo Ufficio Propaganda e Immagine distrugga addirittura i vecchi ’girati’], il talento suo sta nel credere, sempre, di non averci già fatto ridere abbastanza.
La sua fine non è quella profetizzata da Moretti, ma da Brecht: "una risata vi seppellirà".
Lucio Galluzzi
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