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Ma è in corso una guerra civile? Siamo arrivati ai ferri corti?
Publie le venerdì 30 gennaio 2004 par Open-PublishingCaro direttore, non vorrei essere presuntuoso ma ho l’impressione che il
dibattito sulla violenza non sia altro che un diversivo.
E’ un dato di fatto che il tema sia stato proposto (imposto?)
dall’amministrazione Usa e che la spirale guerra-terrorismo sia una vera
ideologia così come ci viene appunto presentata. Perché viene fatta propria
come interpretazione della realtà?
Non parliamo della prepotenza, del dominio, dello arbitrio, della
sopraffazione ma parliamo delle "reazioni violente" dei deboli, dei
dominati, dei sottoposti, dei sopraffatti. Perché confondiamo resistenza
armata e terrorismo, gesti disperati e kamikaze, reazioni di autodifesa e
azioni programmate e finalizzate?
E’ in corso una guerra civile (ossimoro eloquente) in Europa? Siamo
arrivati ai ferri corti? (bei tempi allora quando, appunto per la misura
dei "ferri", si poteva guardare in faccia il nemico!). La presa del palazzo
incalza?
Se questo non è, perché parlare del sesso degli angeli? E per rifondare il
comunismo abbiamo veramente bisogno di partire da questo problema?
Non credo, certo è meno impegnativo parlare se sia giusto o no usare la
violenza piuttosto che affrontare il nodo vero e duro della produzione e
del consumo alla "luce della conoscenza scientifica" che già da tempo ha
modificato completamente i riferimenti dell’antropocentrismo universale.
Se è vero come è vero che il nostro mondo è un sistema chiuso che vive
soltanto in quanto riceve energia dal sole, perché non viene messo questo
fatto al centro dell’analisi politica?
Continuiamo a pensare che la terra sia infinita; benché quotidianamente
tanti uomini le girano comodamente intorno il loro punto di vista non
cambia. Possiamo espanderci senza limite?
Secondo me è proprio qui che sta il problema, interiore prima che
esteriore, nel riconoscimento che il meccanismo del potere che genera la
guerra (in tutte le sue forme) deriva dalla incapacità culturale di
accettare la propria limitatezza, il proprio appartenere intrinsecamente ad
un unicum che comprende tutto ciò che chiamiamo vita.
Se noi siamo parte, autodefinita intelligente, di questa stupefacente vita
che noi stessi siamo riusciti a conoscere e che dura su questo ciottolo di
universo da quattro miliardi e mezzo di anni e che così tanto tempo ha
impiegato per raggiungere le forme e la complessità che conosciamo, perché
continuiamo a far finta di non sapere quello che sappiamo? Perché
continuiamo a operare contro le leggi fondamentali della fisica e della
biologia?
La favola della Genesi sul paradiso terrestre è molto istruttiva a
riguardo: Adamo ed Eva avevano a disposizione tutto per soddisfare i loro
bisogni, il loro "peccato" è stato di orgoglio, voler essere come Dio! (che
cosa altro è quello che sta facendo oggi la tecnologia?).
Ma per tornare al nodo duro della produzione e del consumo, come si
affronta? Soltanto con la "lotta di classe"? Veramente crediamo che gli
artefici della storia siano i "Potenti" di turno? Veramente pensiamo che
solo dopo aver "preso il potere" si possano cambiare le linee di fondo
della nostra vita quotidiana?
Intanto continuiamo a produrre (sempre di più altrimenti il Pil si
ammoscia!) montagne di oggetti ecologicamente assurdi e a consumarli con
una voracità crescente e mai sazia. Chi deve cambiare il modo di produrre
le cose?
Chi può cambiare il modo di consumare?
Ogni uomo ha il suo percorso di conoscenza e di azione ed è responsabile di
questo.
Vale per la questione della violenza, vale per la vita materiale di tutti i
giorni.
Per far traboccare il vaso ci vuole l’ultima goccia ma cosa è l’ultima
goccia senza ciascuna di tutte le altre?
Tutti i "grandi" accadimenti, anche quelli socio-politici funzionano così.
Non c’è nulla di più avvilente, negli ultimi tempi, della lotta politica
attorno alla "merce-potere" mentre si continua a perpetrare con sempre
maggior accanimento questa specie di stupro incestuoso produttivo che noi
chiamiamo sviluppo.
Continuiamo a pensare noi stessi fuori da quell’Unicum che ci fa vivere.
Forse abbiamo qualche problema, forse non siamo stati amati da piccoli?
Liberazione