Home > Massacro di Gatumba, il giorno delle accuse
di Matteo Fagotto
Il massacro avvenuto venerdì sera nel campo profughi burundese di Gatumba ha sollevato nuovamente il problema dei ribelli Hutu che operano nella zona dei Grandi Laghi. Il Rwanda, per bocca del suo Ministro degli Esteri Charles Murigande, ha colto infatti la palla al balzo dichiarando che a partecipare al massacro dei Tutsi Banyamulenge sarebbero stati anche i ribelli Hutu Interahamwe e ex-FAR che presero parte al genocidio del 1994 e che ormai da 10 anni vivono nell’est del Congo.
A supportare la tesi del Ministro rwandese, confermata anche dal Presidente burundese Domitien Ndayizeye, ci sarebbero le prime testimonianze raccolte dai sopravvissuti al massacro: gli abitanti del campo infatti hanno dichiarato che gli assalitori parlavano diverse lingue della regione, particolare che farebbe pensare ad una partecipazione dei ribelli Hutu stanziati nell’est del Congo.
L’occasione per ricordare al Congo gli impegni presi nel trattato di pace era ghiotta, e le autorità rwandesi non se la sono fatta scappare: Murigande ha fatto nuovamente appello alle autorità di Kinshasa e alle Nazioni Unite perché disarmino i ribelli Hutu, altrimenti il Rwanda potrebbe decidere di farlo da sé invadendo il Kivu. Dichiarazioni che il Rwanda ripete ogni volta che i ribelli Hutu tornano a far parlare di sé.
Oscurato negli ultimi mesi dalla crisi di Bukavu, il conflitto latente tra esercito congolese e ribelli Hutu non si è mai spento. Nel’ultimo mese si sono registrati numerosi scontri, e la scorsa settimana 25 guerriglieri Hutu sarebbero stati arrestati dall’esercito. Solamente per 24 ore però, perché il giorno seguente i ribelli avrebbero trovato il modo di far perdere le proprie tracce, facendo infuriare ancora una volta la diplomazia rwandese.
Che le autorità di Kigali non abbiano tutti i torti è palese: a quasi due anni dalla firma degli accordi di pace, il Congo non ha ancora rispettato il suo impegno di disarmare e rimpatriare i guerriglieri Hutu. In parte per mancanza di mezzi ( il nuovo esercito congolese è ancora un’accozzaglia di reparti slegati tra loro) ma in parte anche per una scarsa volontà politica, visti i servigi resi dai ribelli Hutu a Kinshasa durante la guerra contro il Rwanda.
La scorsa settimana il Vicepresidente congolese Azarias Ruberwa ha fatto nuovamente appello all’ONU, perché rafforzi il contingente della MONUC (che al momento conta 10.800 uomini) e aiuti concretamente l’esercito nel programma di disarmo. Un appello che potrebbe essere raccolto dalle Nazioni Unite il prossimo 1 ottobre, quando una riunione del Consiglio di Sicurezza dovrebbe riorganizzare la missione dei Caschi Blu in Congo.
Prosegue la conta dei morti
Il bilancio delle vittime dell’attacco a Gatumba è intanto salito a 160, anche se le autorità locali parlano addirittura di 180 morti. Operatori umanitari e responsabili della ONUB, la neonata missione dell’ONU in Burundi, si sono recati sul posto per rendersi conto dell’entità del massacro e delle condizioni dei sopravvissuti.
Molti dei feriti versano in gravi condizioni a causa delle ferite da taglio e da arma da fuoco e i timori che il bilancio dei morti possa salire ancora sono fondati. Nonostante le dichiarazioni delle autorità rwandesi e burundesi è ancora presto per attribuire responsabilità nell’attacco (al momento, solo la partecipazione delle FNL di Agathon Rwasa è certa). Bisognerà quindi attendere i risultati delle indagini condotte da esercito e personale della ONUB per avere un quadro più preciso della situazione.