Home > Najaf, scontri casa per casa. A fuoco i pozzi
Migliaia di «scudi umani» davanti alla moschea dell’imam Ali. I carri armati Usa avanzano nel centro e nella «città dei morti» incontrando una durissima resistenza. Cacciata dalla città la stampa internazionale. Si combatte a Baghdad, nel centro e nel sud del paese
di STEFANO CHIARINI
Violenti combattimenti sono scoppiati domenica e di nuovo ieri pomeriggio nel grande cimitero di Najaf confinante con il mausoleo di Ali, dove migliaia di sostenitori dell’esponente radicale Moqtada al Sadr si sono asserragliati come «scudi umani» per difendere la grande moschea con i resti del capostipite di questa corrente minoritaria dell’Islam maggioritaria in Iraq. Tra la folla, giunta con ogni mezzo a Najaf, anche numerosi leader tribali del medio Eufrate, del sud ed esponenti delle città sunnite in rivolta contro l’occupazione. I carri armati americani, ieri pomeriggio, sono avanzati nella città vecchia verso la moschea dell’imam Ali e si sono ulteriormente addentrati nella «città dei morti» il grande cimitero dove i miliziani utilizzano per i loro attacchi cunicoli, trincee e passaggi sotterranei, alcuni dei quali antichi come la città. Najaf sarebbe stata fondata dal califfo Harun al Rashid su un rialzo roccioso ai confini del deserto sul luogo dove, dice la leggenda, all’indomani della sua uccisione (661) si sarebbe fermata la cammella bianca con il corpo di Ali, genero di Maometto, «quarto califfo ben guidato» al quale, secondo gli sciiti, sarebbe dovuta andare la successione dirottata con la forza dai califfi di Damasco (sunniti).
La resistenza, nonostante la sproprorzione delle forze, è stata durissima e durante i combattimenti sono stati uccisi tre marines e altri cinque sono stati feriti. Altri quattro sono stati ricoverati per disidratazione a causa delle temperature torride, oltre i 50 gradi, nelle quali si svolgono i combattimenti. Si ignora il numero delle vittime tra i difensori della città dove ieri sono giunti, con ogni mezzo, altri sostenitori di Moqtada al Sadr, nonché viveri e autobotti di acqua. Il loro arrivo ha reso ancor più complicato per gli Usa e il governo collaborazionista Allawi il via libera ad un attacco finale contro la città che non potrebbe non prevedere anche un assalto alla stessa moschea dell’imam Ali.
Complicazioni di natura essenzialmente politica dal momento che la disperata resistenza dei difensori potrebbe aprire ulteriori contraddizioni tra le fila degli sciiti che sostengono direttamente o indirettamente l’occupazione americana. Dopo la presa di distanza del capo del partito al «Dawa», presente nel governo collaborazionista di Iyad Allawi, Ibrahim al Jafaari, dopo le dimissioni del vice governatore di Najaf, Jawdat al Kurashi, la minaccia di secessione di cinque governatori di altrettante città del sud e la dura condanna del governo Allawi da parte di uno strenuo sostenitore degli Usa ed ex presidente del consiglio di governo provvisorio, Muhammad Bahr al-Ulum, l’attacco a Najaf ha dominato anche i lavori dell’assemblea di un migliaio di delegati dei partiti pro-governativi riunita da domenica a Baghdad, nella «zona verde» della capitale, tra coprifuoco e tiri di mortaio, per designare una sorta di consiglio nazionale, di parlamentino, asservito agli occupanti. Eppure anche tra i delegati presenti, in particolare tra quegli sciiti, l’assedio a Najaf ha provocato un vera rivolta: un gruppo non si è neppure presentato mentre un centinaio di delegati ha minacciato di boicottare i lavori dell’assemblea a meno che l’assise non si fosse pronunciata contro l’attacco a Najaf. I partiti sciiti presenti nel governo collaborazionista, «al Dawa» e il «Consiglio supremo della rivoluzione islamica in Iraq», hanno tentato una mediazione per far rientrare la protesta.
Al termine di defatiganti discussioni l’assemblea ha approvato per acclamazione due documenti, l’uno il contrario dell’altro: il primo chiede al governo Allawi di far cessare l’attacco Usa su Najaf, il secondo assolve il governo e chiede ad al Sadr di lasciare la moschea dell’imam Ali. Una delegazione dell’assemblea dovrebbe partire alla volta di Najaf nelle prossime ore. Moqtada al Sadr si è detto disposto a trattare ma non a «subire ultimatum». Nel rinvio dell’offensiva finale probabilmente hanno pesato le divisioni emerse tra le fila sciite pro-Usa e la diserzione di un numero imprecisato di membri della Guardia nazionale irachena e dei reparti iracheni presenti a Najaf accanto agli Usa. Gli unici rimasti sarebbero i miliziani curdi e i membri di alcuni reparti speciali già «sperimentati» nell’attacco a Falluja. Finita la conferenza, tra oggi e domani, i carri americani potrebbero lanciare l’offensiva finale a Najaf e in previsione di un nuovo bagno di sangue i comandi Usa hanno mandato ieri la polizia locale a cacciare in modo brutale dalla città tutta la stampa internazionale. Un reporter della televisione iraniana è stato arrestato in diretta Tv e un altro della rete Tv di Abu Dhabi, «al Arabiya», Ahmed al Saleh, è stato portato nel locale commissariato dove ha trascorso alcune ore. Gli altri giornalisti sono stati minacciati di morte: «metteremo dei cecchini sui tetti vicini e quando uscirete vi spareremo addosso» avrebbe detto davanti al «Sea Hotel», l’albergo dove risiede la stampa internazionale, un capitano della polizia locale. Molti reporter si sono rifiutati di andarsene e si sono asserragliati nell’albergo.
La rivolta contro l’occupazione, riesplosa agli inizi di agosto di fronte al tentativo degli Usa di colpire tutti i movimenti che resistono all’occupazione, continua ad infuriare in tutto il paese: ad Amara, nel sud, per la prima volta, i miliziani di Moqtada al Sadr hanno incendiato, come avevano promesso, un pozzo di petrolio che ormai brucia da 48 ore. Le esportazioni di petrolio iracheno sono praticamente bloccate. L’oleodotto del sud che porta il greggio verso i terminali di Basra è stato chiuso e le petroliere alla fonda vengono rifornite a ritmo ridotto utilizzando le riserve contenute nei depositi. Praticamente bloccato anche il flusso del petrolio verso la raffineria di Dora (Baghdad) , a causa di un attentato che ha provocato un grande incendio in una zona dove le truppe Usa non sono ancora riuscite ad arrivare. Violentissimi combattimenti si sono avuti ieri anche nella città di Amara, nel sud, e nella stessa Basra. L’esercito americano, da parte sua, si appresta anche ad attaccare massicciamente il ghetto sciita di a Thaura, alla periferia di Baghdad, dove vivono oltre due milioni di persone originarie proprio del medio-Eufrate. Qui però i difensori del quartiere sono riusciti ieri a distruggere con una potente carica di esplosivo nascosta nel terreno un carro armato Usa dato poi alle fiamme. L’equipaggio, ferito, è stato messo in salvo da altri commando appoggiati da elicotteri. In un agguato a nord di Baghdad è stato ucciso un soldato americano e un altro nella zona di Falluja. Nel sud-est della capitale è caduto sotto il fuoco della resistenza un soldato ucraino. Sempre a Baghdad alcuni carri armati Usa hanno minacciosamente circondato ieri la moschea di Um al Qora, sede dell’Associazione degli Ulema musulmani scesa da tempo in campo contro l’occupazione. A Samarra, città sunnita, con una importante presenza sciita, praticamente off limits per le truppe di occupazione, il comandante americano , generale John Batiste, dopo il bombardamento di due giorni fa con oltre 70 vittime, ha annunciato un nuovo imminente assalto per «liquidare» definitivamente qualsiasi forma di resistenza. Poche ore dopo in un raid venivano uccisi il comandante locale della «Guardia nazionale irachena», composta da miliziani curdi e sciiti pro-Usa, e quattro sue guardie del corpo. Bombardate ieri di nuovo anche la città di Falluja e Baquba. Le vittime civili ieri sarebbero state almeno una sessantina.