Home > Nel sud si soffre ancora, nonostante la pace
di Daniele Bertulu
Scontri armati, fame e malattie: sembra essere questo il destino del "nuovo Sudan" postbellico, che fatica non poco a trovare la strada verso una parvenza di stabilità. Il recente accordo di pace che ha sancito la fine della guerra civile nel Sud del Paese ha infatti avuto ridotti effetti sul versante umanitario. Dopo 21 anni di conflitto (1983-2004) tra governo centrale di Khartoum e ribelli del Sudan People’s Liberation Army (senza contare le guerre e le tensioni precedenti), quasi tutte le infrastrutture civili e sociali della regione sono state devastate.
Ed il previsto ritorno a casa degli oltre 4.500.000 sfollati dai campi profughi interni e dei Paesi confinanti rischia inoltre di peggiorare un contesto già precario.
Un fattore che mette a repentaglio la pace faticosamente raggiunta dopo quasi 2 anni di colloqui, è costituito dal ripetersi di sporadici combattimenti tra miliziani filogovernativi e ribelli, oltre che tra fazioni interne all’SPLA, e tra le varie tribù locali.
Le ultime notizie diffuse dalla Reuters parlano di scontri e razzie in corso nella regione di Shilluk (Stato dell’Upper Nile), come testimoniano funzionari della ISS (South Africa-based Institute for Security Studies); le violenze avrebbero provocato la fuga di 50.000, o forse 70.000 civili.
Sempre secondo la ISS, i combattimenti opporrebbero gli uomini di un imprecisato ex-comandante della guerriglia, e truppe "ufficiali" dell’SPLA; l’agenzia sudafricana accusa inoltre il governo di avere fornito armi ed imbarcazioni da guerra alle controparti.
"L’obiettivo del regime sudanese è quello di rendere il sud del Paese ingovernabile ai ribelli" che ne hanno assunto il parziale controllo dopo le trattative di pace.
Mohammed Bashir Suleiman, portavoce dell’esercito di Khartoum, ha negato che le sue forze stiano tentando di fomentare una ripresa delle ostilità a sud, ed ha affermato che quanto accade ora sul campo è "esclusivamente frutto di rivalità tribali".
La presenza di una trentina di fazioni ribelli in precedenza escluse dai colloqui in Kenya getta un’ulteriore ombra alla stabilità del Sud Sudan: diverse organizzazioni indipendenti ritengono che il numero di combattenti (molti dei quali poco più che ragazzini) di questi gruppi oscilli da 6.000 ad addirittura 30.000.
Situazione umanitaria grave, ma aumenta l’ottimismo
L’emergenza legata a malnutrizione e malattie resta sempre alta, secondo l’organizzazione Azione Contro la Fame, che ha monitorato lo stato di salute di circa 900 bambini negli Stati dell’Upper Nile, Bahr-el-Ghazal e dell’Equatoria.
La coordinatrice dell’agenzia, Sabrina Silvain, registra un lieve miglioramento delle suddette condizioni rispetto al 2002, che tuttavia restano sempre ai livelli di emergenza.
In ogni caso, la ACF spera che in seguito alla pace la quantità delle scorte di generi alimentari (pericolosamente sotto il livello di guardia) possa tornare alla normalità, così come si possa creare una migliore rete di distribuzione degli aiuti.
E’ stata anche auspicata una "più efficiente capacità d’intervento umanitario" che potrebbe essere guidata dal futuro governo sud-sudanese, e una apertura di corsi di addestramento per permettere ad un nuovo personale locale di far fronte a queste emergenze.
Quattro vittime alle porte di Khartoum
I segni della tensione che attraversa il Sudan si ripercuotono anche nei pressi della capitale, dove negli ultimi giorni miliziani filogovernativi provenienti dal sud hanno aperto il fuoco su un gruppo di persone nella cittadina di Soba (a soli 10 Km da Khartoum), mentre erano in corso dei disordini.
Secondo l’agenzia AFP, almeno quattro civili sono rimasti uccisi, ed altri tre feriti; al momento le autorità hanno annunciato l’apertura di un’inchiesta. Ulteriori particolari non sono stati rilasciati.