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New York, con i pacifisti in piazza le madri dei caduti
Publie le domenica 21 marzo 2004 par Open-Publishinghttp://www.unita.it/index.asp?topic_tipo=&topic_id=33911
Il movimento per la pace torna nelle strade a un anno dall’inizio della guerra in Iraq, questa volta al fianco dei veterani e dei familiari del personale militare dispiegato nel Golfo. La protesta contro l’amministrazione Bush si è levata sabato in oltre 250 città da una costa all’altra degli Stati Uniti. La manifestazione più attesa, quella di New York, ha registrato una partecipazione di massa, decine di migliaia di persone secondo la polizia, oltre centomila secondo gli organizzatori, che attorno a mezzogiorno hanno iniziato hanno iniziato a raccogliersi nel centro di Manhattan, a Madison Park, teatro lo scorso anno dei più violenti episodi di repressione da parte delle forze del ordine.
«Basta con gli inganni sull’11 settembre, basta con l’occupazione dell’Iraq», scandiscono gli slogan, mentre il corteo inizia a marciare lungo la Sesta Avenue, per ripiegare quindi sulla 40 Strada, verso il punto di partenza, circondando simbolicamente il cuore della città. «Vogliamo che le nostre truppe tornino a casa. Ora!», si legge sugli striscioni. Tra la folla manifestanti con indosso la maschera del presidente Bush, magliette imbrattate di vernice rossa e nera, i colori del sangue e del petrolio, l’unica verità di un conflitto che la Casa Bianca ha giustificato davanti all’opinione pubblica e al mondo con l’inganno.
Una manifestazione pacifica che ha resistito alle provocazioni di uno schieramento di polizia in assetto di guerra. Per ordine del sindaco repubblicano Michael Bloomberg, tutto il percorso è stato circondato da inviolabili transenne di ferro e il capo della polizia, Ray Kelly, si è ingegnato con divieti bizantini per tentare di scoraggiare la partecipazione. «Il sindaco fa il gioco della Casa Bianca, cerca di tappare la bocca all’opposizione», ha denunciato Sarah Sloan, portavoce di Answer, uno dei gruppi promotori della manifestazione, ma i numeri dimostrano che non c’è riuscito. «Il momento è adesso, una volta per tutte, diciamo basta a questa guerra», si legge nel volantino distribuito da United for Peace and Justice, una delle organizzazioni che sin dall’inizio della campagna in Iraq ha denunciato il carattere coloniale del conflitto. «Servono soldi per l’occupazione, non per andare a fare la guerra», e a gridare nei megafoni non sono solo i giovani, gli studenti, la manifestazione per la pace ha chiamato a raccolta tutte le fasce di età, di tutte le condizioni sociali. Hanno dato la propria adesione e sono scesi a manifestare i rappresentanti dell’Associazione degli studenti musulmani di New York, dell’Alleanza della Palestina Libera, fianco a fianco con i parenti dei soldati che hanno combattuto e continuano a rischiare ogni giorno la vita in Iraq.
Se non fosse chiaro chi sta davvero pagando il prezzo di questa guerra, alcuni di loro hanno portato in manifestazione il ritratto di un figlio, un fratello, un marito, che dal Golfo ha fatto ritorno chiuso in un sacco di plastica. Morti che l’amministrazione Bush continua a ignorare, vietando le riprese dei funerali, tenendosi alla larga dalle bare quando si tratta di pronunciare un discorso ufficiale. Come quello che George W. Bush ha pronunciato ieri alla radio, per spronare gli alleati a non mollare, a non mostrare segni di debolezza nella lotta al terrorismo. «Abbiamo portato il terrorismo dove non c’era. Basta buttare bombe, buttiamo via Bush», è la risposta che arriva dalle piazze, dall’America indignata e tradita, che guarda alle elezioni di novembre per voltare pagina. Dalla base militare di Fort Bragg nella Carolina del Nord alla California, da Seattle a Crawford in Texas, dove Bush ha il suo ranch personale, milioni di persone hanno chiesto conto «a Bush e a tutti quelli che sono stati d’accordo con questo conflitto del disastro in cui hanno cacciato gli Stati Uniti».
Venerdì sera a San Francisco un frate francescano si è fatto arrestare dalla polizia mentre protestava per lo scandalo degli appalti miliardari della ricostruzione irachena. Un affare di miliardi finiti quasi tutti nelle mani della Halliburton, la società guidata sino al 2000 dal vice presidente Dick Cheney, ora sotto inchiesta del Pentagono per aver gonfiato i conti delle forniture.