Home > «Niente armi, la Cia spieghi»
Parla David Kay, ex capo del team a caccia dell’arsenale di Saddam. Human
rights watch: «Guerra ingiustificata»
di STEFANO CHIARINI
David Kay, l’ex capo della speciale commissione della Cia incaricata lo
scorso giugno di trovare eventuali armi irachene di distruzione di massa, ha
sostenuto ieri che i servizi segreti americani dovrebbero «dare spiegazioni»
al presidente per aver sostenuto, alla vigilia della guerra, l’esistenza di
una immediata minaccia irachena. Immediata minaccia che costituì la
principale giustificazione della guerra all’Iraq. David Kay, in una vera e
propria requisitoria nei confronti dell’intelligence americana (della quale
in realtà è da tempo parte) ha sostenuto che la Cia e gli altri servizi
americani non avrebbero colto il fatto che i programmi iracheni non
convenzionali erano da tempo allo sbando e che nella seconda metà degli anni
novanta in realtà non c’era altro che fantasiosi programmi preparati dagli
scienziati iracheni con il solo scopo di spillare soldi al regime.
Al di là
di qualche isolato e scoordinato tentativo a livello di ricerca, in realtà
l’Iraq non solo non avrebbe prodotto armi proribite ma al contrario,
autonomamente e con l’aiuto degli ispettori dell’Onu, si sarebbe liberato
delle armi chimiche, biologiche e balistiche prodotte prima del 1990. In
altri termini alla vigilia della guerra non aveva affatto tutti quegli
arsenali non convenzionali che avrebbero costituito un pericolo immediato
per gli Stati uniti. In particolare, secondo l’esperto Usa, dal 1997 in poi
il paese mediorientale era caduto in un «vortice di corruzione» dal momento
che il presidente Saddam Hussein, sempre più isolato dalla realtà, avrebbe
cominciato ad autorizzare singoli progetti di governo in tutti i settori
senza più consigliarsi con i relativi ministeri o esperti. Da quel punto in
poi gli scienziati avrebbero cominciato a rivolgersi direttamente a Saddam
Hussein presentandogli «fantasiosi» programmi per la produzione di armi di
distruzione di massa destinati a rimanere sulla carta, per ricevere in
cambio ingentissime somme di denaro. Secondo David Kay, qualunque eventuale
capacità produttiva non convenzionale fosse rimasta all’Iraq, nella seconda
metà degli anni novanta, questa sarebbe divenuta esclusivamente parte di un
sistema per spillare soldi al governo creato da scienziati e da tecnici
esperti nell’arte di mentire e di sopravvivere nelle pieghe del regime.
Un
«regime che non aveva più il controllo...in una sorta di spirale verso il
nulla... - ha dichiarato David Kay- gli scienziati militari non producevano
altro che falsi programmi». Saddam Hussein, avrebbe confidato a Kay lo
stesso Tareq Aziz in realtà negli ultimi due anni al potere si sarebbe
occupato soprattutto di scrivere romanzi e novelle che poi inviava al suo
vice-primo ministro alle prese con la gestione quotidiana del paese.
Com’è mai possibile che tutto ciò fosse sfuggito ai servizi di intelligence
americani? Su quali basi si poggiava la descrizione di un Iraq minaccia per
la sicurezza degli Usa e della Gran Bretagna? Secondo Kay -il quale
ovviamente scarta la possibilità che i servizi abbiano semplicemente detto
all’amministrazione Bush e agli influenti neoconservatori Likudniks tutti
protesi alla guerra, quello che sapevano avrebbe fatto loro piacere
aspettandosi nuovi aumenti di bilancio- gli «errori» sarebbero stati così
madornali da richiedere ora una severa analisi a posteriori dei meccanismi
cha hanno portato a quelle conclusioni così prive di fondamento. Una
richiesta che, in parte, la Casa Bianca si appresterebbe a soddisfare - ha
sostenuto il portavoce di Bush, Scott McClellan, ma senza rinunciare a
continuare nella ricerca dei programmi per la armi proibite.
Non più armi ma
solamente programmi. Sulla vicenda è intervenuto il ministro degli esteri
britannico Jack Straw il quale, dopo essersi detto «contrariato» per il
fatto che non sono state armi di distruzione di massa in Iraq, ha sostenuto
alla Bbc che la guerra era comunque giustificata dall necessità di rimuovere
dal potere «un terribile tiranno». Più sfumato il ministro degli esteri
italiano Franco Frattini per il quale nessuno avrebbe ingannato nessuno, si
sarebbe trattato semplicemente di errori di valutazione di intelligence.
Sarebbe a questo punto interessante chiedere al presidente del Consiglio
Berlusconi a cosa si riferisse quando parlò di aver visto con i suoi occhi
le prove della pericolosità dell’Iraq e del non rispetto da parte di Baghdad
delle risoluzioni dell’Onu.
Più tempo passa in realtà e più emerge che le uniche dichiarazioni veritiere
in questa bolgia di menzogne furono proprio quelle rilasciate da Tareq Aziz
e dai rappresentanti iracheni alle Nazioni unite. Sulla seconda linea
difensiva approntata dai governi occidentali di fronte alla caporetto sul
fronte delle armi di distruzione di massa, quella della necessità di
«abbattere il tiranno», della guerra umanitaria, è intervenuto ieri con un
lungo rapporto presentato ieri a Londra dal prestigioso organismo americano
«Human Rights Watch». Il direttore dell’associazione umanitaria, Kenneth
Roth, prsentando il rapporto, ha sostenuto che «L’amministrazione bush non
può giustificare la guerra in Iraq come un intervento umanitario e non può
farlo neppure Tony Blair».
«Un intervento umanitario non può essere invocato
a posteriori per reagire a delle passate atrocità che sono state
ignorate» -ha sostenuto il direttore esecutivo di Human Rights Watch - e al
momento dello scoppio della guerra non c’era alcun massacro in corso o in
preparazione. «Per il momento la situazione in Iraq è migliorata - ha
continuato Kenneth Roth- ma questo non giustifica un intervento umanitario»
e inoltre vi sono forti preoccupazioni che la situazione potrebbe
precipitare sfociando nel caos e nalla guerra civile e in tal caso gli
iracheni si troverebbero in una situazione persino peggiore di quella del
passato. Inoltre secondo Roth, l’Iraq «continua ad essere assillato
dall’eredità delle violazioni dei diritti umani del passato governo e da
quelle nuove emerse durante l’occupazione».
E tra queste c’è sicuramente
l’uccisione nel giugno scorso, durante un interrogatorio nel centro di
detenzione di Nasseriya (chissà se i comandi italiani sono a conoscenza di
tali eventi), di un prigioniero iracheno al quale quattro soldati Usa, ora
sotto processo, hanno spezzato il collo. Intanto continuano nella zona di
Mossul le ricerche dei corpi dei due piloti Usa precipitati domenica con il
loro elicottero durante un attacco della resistenza ad un barcone di
pattuglia sul Tigri nel cui naufragio era morto un altro soldato americano.