Home > Nonviolenza a Venezia
Non è privo di interesse, il fatto che, a parlare del convegno organizzato a Venezia lo scorso
week end da Rifondazione sul tema della nonviolenza, siano stati solo due quotidiani: Liberazione,
ovviamente, e il Corriere della Sera. Il primo è il giornale del partito, il secondo quello che
con più insistenza infila coltelli nelle piaghe, diciamo così, delle sinistre.
Il quotidiano
milanese ha inventato il dibattito sulla "solitudine dei riformisti" aggrediti dagli
estremisti-utopisti-pacifisti, e ha da mesi coltivato la divisione, del tutto fuorviante, tra un Bertinotti
"calabrache" (per usare un termine usato da Pietro Ingrao per dire che quando si tratta di
nonviolenza non è quello il caso) e di un "movimento" che rifiuta le tesi del segretario di Rifondazione.
Puro avanspettacolo.
Gli altri giornali, anche quelli di sinistra, hanno invece ignorato l’avvenimento.
Eppure, sull’isola di San Servolo, in laguna, sono avvenute diverse cose molto interessanti. Ne
elenco alcune.
A tenere una delle relazioni di apertura, in un convegno ufficiale del partito, è stato Marco
Revelli, appena definito dal capo della corrente conservatrice di Rifondazione, sul giornale del
partito, "revisionista e anticomunista" (Revelli era accomunato a Carta, nell’invettiva). A tenere
le altre relazioni, femministe e studiosi della nonviolenza.
Il debordante pubblico era in buona parte composto da non iscritti o militanti di Rifondazione,
fatto del tutto inusuale nei convegni di qualunque partito. Erano invece assenti tutti i dirigenti
di Rifondazione delle due correnti conservatrice-postPci e conservatrice-trotskista, e anche
questo è un fatto inedito.
Molti dei partecipanti sono stati impegnati in un laboratorio serale sulle pratiche nonviolente,
cosa tipica casomai della
Rete Lilliput. Per finire, nelle sue conclusioni Bertinotti si è spinto fino a dire che la
nonviolenza è una possibile "terza via" tra la conquista del potere per via insurrezionale e la
conquista del potere per via elettorale, cioè suggerisce una trasformazione del mondo senza conquista
del potere: avete mai sentito il segetario di un partito comunista fare una affermazione del
genere?
Insomma, ad avere una qualche curiosità per il famoso dibattito a sinistra, e perfino a voler
come sempre fare del "gossip" sugli "scontri" interni, il convegno di Venezia era un bel boccone.
Invece niente.
La spiegazione è, come ben sappiamo noi che facciamo notoriamente un giornale "antipolitico",
come ci è stato più volte rimproverato in questi anni, la pura e semplice non comprensione. Questo
genere di ricerca, semplicemente, a un occhio "politico" non esiste, o quando esiste è un nemico
da combattere. Non è per caso che il tema della nonviolenza sia stato, in questi mesi, messo in
caricatura e vilipeso da schiere di combattenti e reduci, in un arco che va dall’estrema sinistra
all’estrema destra della sinistra, tutti nemici tra loro ma tutti uniti contro il "revisionismo
anticomunista" e il presunto abbandono del conflitto.
Fesserie: perché si è argomentato in molti modi, anche a Venezia, che sottrarsi alla presunta
necessità di uno scontro in cui simmetricamente il capitale e i suoi nemici si misurano usando gli
stessi metodi è l’ atteggiamento più radicale, più "altro" che si possa assumere, e che rifiutare
la violenza non comporta quindi rinunciare al conflitto.
E che in ogni caso il tema in discussione non è su quale spessore debba avere il randello o lo
scudo che si adopera in piazza, ma se abbia senso, e futuro, organizzarsi, come nel secolo scorso,
in esercito, per quanto "proletario", allo scopo di conquistare, appunto, il potere (quale? Dove?
Per fare che? Usandone i metodi per fini "buoni"?).
C’è una buona, vecchia (anzi vecchissima) sinistra che è in verità al capolinea, difende i suoi
bunker identitari e smentisce tutto quel che è accaduto in questi anni, compresa Genova. E lo fa
con il linguaggio cupo e rancoroso di sempre.
Che noia.