Home > «O nessuno o trecentomila»
Rabbia e solidarietà ieri a Genova in occasione dell’apertura del procedimento contro i 26
manifestanti del luglio 2001
Genovanostro inviato«O nessuno o 300mila»: si legge da lontano lo striscione sistemato sul Ponte
monumentale di via XX Settembre, per tutti via Venti, ed è la critica più stringata e incisiva che
si possa fare al processo appena iniziato contro 26 manifestanti del luglio 2001 a pochi metri
dagli archi che celebrano la resa dei nazifascisti al comando partigiano.
E’ lì sotto che passerà il corteo partito poco prima dalla Diaz, la scuola che fu devastata dalla
polizia alla fine delle tre giornate del luglio genovese quando in 93 furono pestati a sangue e
poi arrestati illegalmente. La maggior parte dei partecipanti sono giovanissimi, sanno dei misfatti
nella loro scuola perché il flusso del racconto da allora non si è mai interrotto. «La Diaz non si
dimentica», si legge su un lenzuolo, mentre il corteo scivola per Via Trento guidato da Arnaldo
Cestaro, vicentino di 65 anni che sta per essere operato per la terza volta a un braccio spaccato in
quella notte infame.
E poi c’è il suo compagno di sventura Mark Covell, mediattivista inglese, e
la Rete contro il G8, i fori sociali di queste parti e quello di Bologna, le bandiere di
Rifondazione, Cobas, Verdi, Emergency, Legambiente, Attac, i comitati Verità e giustizia e Piazza Carlo
Giuliani. A Piazza Alimonda - dove fu ammazzato Carlo dalla pistola di un carabiniere dopo ore di
scontri inne
scati dalle cariche a freddo sul corteo autorizzato che scendeva da Via Tolemaide - li aspettano
il furgone della Carova della Pace con la bandiera arcobaleno già scarabocchiata dalle firme
raccolte nelle prime tappe per il nordovest e altre centinaia di persone. Genovesi e liguri (ci sono il
collettivo dei portuali, gli amministratori e i dirigenti locali di Rifondazione da tutte le
province, gente dell’Arci, esponenti del correntone ds, i contadini di Altragricoltura-Foro contadino
che hanno lanciato un appello contro la delibera con cui Tursi si è costituito parte civile contro
i 26, le Rdb, la Cgil che, però, non sfilerà) e "testimoni di Genova" come gli ex portavoce del
Gsf che firmarono un patto con la città e ora si sono autodenunciati per impedire che passi la
versione revisionista che dipinge il luglio 2001 come una sequela di devastazioni e saccheggi.
Con loro
i parlamentari Prc e verdi (tra gli altri Graziella Mascia, Giovanni Russo Spena, Bulgarelli,
Cento, Marto
ne), le delegazioni nazionali della Fiom e, ancora di Rifondazione comunista con Patrizia
Sentinelli della segreteria, Nicola Fratoianni, coordinatore dei giovani comunisti, Alfio Nicotra che fu
portavoce del Gsf). Gli striscioni e gli slogan parlano del «diritto di resistenza», ironizzano su
«Genova capitale europea della repressione», spiegano che ribellarsi - non già sedersi dalla parte
dell’accusa - è «un atto dovuto». Quando arrivano nel punto più vicino al tribunale sono almeno
duemila e si mescolano alle centinaia di persone che, già alle 8, premevano sulle transenne di una
zona rossa guardata da una "moltitudine" di agenti e cc in assetto antisommossa.
Sono soprattutto
disobbedienti di tutta Italia che, per ore, bombarderanno di musica il palazzo di giustizia e
trasmetteranno corrispondenze radiofoniche dall’aula dove si svolge il processo. Intorno non calerà
neppure una saracinesca. La guerra, casomai, è nelle menti di chi ha blindato il tribunale chiamando
check po
int il varco per il pubblico, rigorosamente schedato. Verso le 15 il processo viene aggiornato al
9 marzo, il presidio si scioglie ma «saremo sempre presenti - assicura Anubi D’Avossa - perché
crediamo che la sequenza dei comportamenti tra manifestanti e forze dell’ordine sia stata invertita
per indurre l’idea che la Diaz e Bolzaneto siano stati eccessi determinati dalla guerriglia
urbana».
Circondato dai reporter, Vittorio Agnoletto, che fu portavoce del Gsf, sfida il sindaco Pericu a
un confronto pubblico dopo giorni di dichiarazioni e controdichiarazioni per interposta stampa: «Il
diritto di resistenza - spiega - è fuori discussione quando un corteo viene aggredito per tre
ore». E avverte: «Non chiamatelo processo ai black bloc, qui non ce ne sono, altrimenti sarebbe stato
imbarazzante scoprire che in mezzo a loro ci furono infiltrati di polizia e neofascisti. Genova fu
vittima di una strategia decisa a tavolino da De Gennaro, governo e partner internazionali». Alla
vigilia della giornata mondiale del 20 marzo, il movimento «è ancora una volta unito - ci dice
Patrizia Sentinelli - su una vicenda come quella di Genova che è stata la nostra fase costituente.
Noi, col rigore della posizione contro la costituzione del comune in parte civile, manteniamo la
barra su questo movimento plurale e radicale». Ed è un sentire comune confermato da tante altre voci,
ad esem
pio don Gallo, Luciano Muhlbauer del Sin. Cobas, Piero Bernocchi dei Cobas.
Liberazione