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OLOCAUSTO

Publie le sabato 24 gennaio 2004 par Open-Publishing

Sterminio significa distruggere per sempre qualcosa o qualcuno, eliminarlo
dalla faccia della Terra, senza curarsi delle conseguenze: l’importante è
sterminarlo. Uno sterminio comporta la morte, che è il solo mezzo che
garantisce la completa scomparsa di chi si vuole eliminare . La morte è
unica e nella sua specificità cambiano solo i modi con cui viene data, che
sono tanti e diversi. Il migliore (se si può dire cosi per la morte) modo è
di morire nel sonno e il peggiore è quello quando ci si arriva alla fine di
torture o esperimenti scientifici, perché si soffre atrocemente e in quel
caso non c’è solo la sofferenza fisica, ma soprattutto la sofferenza dell’
animo per le umiliazioni cui si è sottoposti :"io so che dopo che mi hanno
iniettato un’ iniezione morirò ma non so quando, con quale dolore, ma in
ogni modo morirò".

La parola "sterminio" ha in sé il concetto di "tanti", di "massa", siano
cose, animali, e spesso persone. Non si stermina una sola persona, in questo
caso esistono le parole "omicidio" o "assassinio". Lo sterminio è strage, è
terra bruciata dove non dovrebbe più crescere niente, è annientamento totale
di un insieme. In ogni caso, sempre e comunque, è un delitto contro l’
umanità: quando si stermina una foresta, ne risente il clima; quando si
stermina una razza di animali, questa si estingue e nessuno la vedrà mai
più; quando si stermina un popolo, è il suo genocidio.

Quale odio così terribile può indurre un essere umano a volere lo sterminio
dei suoi simili? Quali motivazioni lo spingono a compiere atti volti alla
distruzione di un pezzo del genere umano? Semplicemente quest’uomo, e chi
condivide i suoi pensieri, è convinto che al mondo esistono persone che non
sono come lui: le considera diverse e inferiori, oppure le ritiene una
minaccia per il suo potere. Il modo migliore di renderle inoffensive è
quindi quello di eliminarle definitivamente, ed è subito strage.

Lo sterminio dei "diversi" nella II guerra mondiale operato da Hitler è il
più atroce nella pur violenta storia dell’umanità. Non voglio ripercorrere
le motivazioni che portarono Hitler ad ordinare il genocidio degli Ebrei,
degli zingari, degli omosessuali, dei Testimoni di Geova, degli oppositori
politici: tanti storici lo hanno fatto in modo più o meno brillante ed
obbiettivo, ed io non voglio aggiungere altro. Vorrei dire però che le
conseguenze dei crimini nazisti non si sono esaurite nel tempo e non sono
finite con la disfatta del III Reich e del fascismo. Rimane tra di noi, a
volte strisciante, a volte evidente, il sentimento di fastidio e molto
spesso di odio nei confronti dei figli e dei nipoti delle vittime dell’
Olocausto. Ne sono eloquente testimonianza gli episodi di anti-semitismo, la
xenofobia di molte persone (compresi esponenti del Governo e del
Parlamento.), l’ironia crudele verso gli omosessuali, l’incomprensione verso
i Testimoni di Geova che rifiutano alcuni tipi di cure mediche, l’
insofferenza verso lo

zingaro sporco e ladro. Tutto questo mi preoccupa: se in tanti anni dall’
Olocausto l’uomo non è riuscito a liberarsi da questi pesanti pregiudizi,
vuol dire che può nascere e farsi grande un altro Hitler, o un altro Saddam
Hussein, o un altro Bokassa, o un altro Stalin. Del resto, nel mondo
crescono le vittime innocenti degli stermini provocati dalle guerre: siano
guerre locali o planetarie, la razza umana è comunque sempre vittima dei
"signori della guerra", che in nome del potere condannano a morte centinaia
di migliaia di esseri umani. Per il potere, per il denaro, milioni di
innocenti muoiono ogni giorno di fame, di sete, di malattie che pure
sarebbero facilmente curabili.

Esiste poi un altro tipo di sterminio, che non comporta spargimento di
sangue, violenza fisica, morte: è l’isolamento fisico e politico in cui
vengono costrette alcune minoranze. Lentamente, ma inevitabilmente, l’
emarginazione cui sono sottoposte dalla società cosiddetta "civile" le porta
all’annientamento intellettuale, all’apatia mentale, alla disperata
rassegnazione di non poter mai entrare a far parte del mondo evoluto e alla
negazione del futuro per i loro figli. Credo che tra questi emarginati un
posto a parte spetti ai Rom, che, se vogliamo fare una classifica della
disperazione, sono sicuramente all’ultimo. I Rom sono tradizionalmente un
popolo pacifico, che non ha niente che in apparenza possa essergli portato
via: terra, ricchezza, armi, potere.Perché allora tanto accanimento nel
volerli escludere dalla società?

E’ vero, il loro modo di vivere è di per sé
limitato, la loro vita collettiva si svolge essenzialmente nell’ambito delle
grandi famiglie patriarcali, non sono molti quelli che tentano di varcare i
confini dei "campi" in cui sono relegati per cercare un’opportunità di vita
sociale in comunione con il resto della gente "normale". Ma la gente
"normale" quasi sempre li respinge, li mette all’angolo, li esclude senza
scrupoli e loro si rifugiano ancora di più nel loro piccolo mondo, in cui
hanno facile presa il disagio giovanile, la droga, l’alcolismo, la
criminalità, tutti elementi che finiscono per distruggere qualsiasi capacità
di inserimento e qualsiasi tipo di intelligenza. E’ il futuro negato ai
bambini, è la strage silenziosa e senza sangue di un popolo diverso, che
come tale deve essere eliminato se non fisicamente, almeno
intellettualmente. I Rom sono cittadini senza città, stranieri senza patria,
soggetti senza diritti, uomini fuori dall’umanità. Ancora adesso, come nel
Medio Evo, come nell’Europa delle guerre mondiali di ieri e nell’Europa
unita e grande di oggi. Ancora per quanto, prima che diventino il niente?