Home > OSSEZIA: 646 I FERITI OLTRE 150 MORTI E 1.200 GLI OSTAGGI

OSSEZIA: 646 I FERITI OLTRE 150 MORTI E 1.200 GLI OSTAGGI

Publie le venerdì 3 settembre 2004 par Open-Publishing

Dazibao


MOSCA - Inseguiti, come in una orrenda favola terrorizzante, dalle ’streghe’ in
nero che vogliono ucciderli,quasi nudi, assetati, alcuni sanguinanti: le immagini
della fuga degli innocenti dalla scuola maledetta di Beslan colpiscono con la forza
di un maglio, e raccontano di una crudelta’ senza appello e senza remore. Ma ancor
peggiori sono le immagini chegli obiettivi non possono, almeno per ora, raccontare,
quella distesa di grandi e piccoli cadaveri sul pavimento della palestra in rovina.

In mutande - da tre giorni erano chiusi a centinaia in una soffocante palestra,
senza cibo ne’ acqua - bambini di tutte le eta’, di tutte le taglie, corrono verso
il rassicurante cordone di Omon, le forze speciali della polizia russa, che li
caricano a braccia e li portano lontano, il piu’ lontano possibile da quel fumo,
da quegli spari, da quelle esplosioni assordanti. Un soldato stringe in un braccio
un piccolo che si aggrappa come se volesse nascondersi dentro il suo salvatore.
Nell’altra mano tiene un kalashnikov, nelle gambe la fretta di uscire dall’incubo
col suo fardello. Negli occhi di entrambi, un terrore incredulo.

Il forte odore della cordite permea la zona, il suono delle raffiche e’ incessante. Nella zona ’sicura’, la confusione di barelle e ambulanze, la rapida corsa dei soldati che vanno aprendere posizione, il passaggio incessante delle bottiglie d’acqua, prima richiesta degli scampati al massacro. Una bambina magra, la testa coperta da una grossa fasciatura sporca disangue, stringe una bottiglia vuota mentre quello che sembra essere il padre la carica con cautela su una vecchia ’zhiguli’.

Quel gesto racconta tre giorni di sete, fame, terrore. Un Omon appare tra le nuvole di fumo con in braccio, uno per parte, due ragazzi alti quasi quanto lui. Non sembrano feriti: li poggia un attimo a terra, poi, in un ripensamento, li riprende in braccio e continua la sua corsa. Un bimbo di nove anni urla la sua paura all’aria, sotto gli occhi di una coetanea dalla schiena sanguinante.

Oltre la portata delle pallottole, una donna in abito rosso -un vestito da grande occasione, tre giorni fa era andata alla festa di inizio dell’anno scolastico - crolla a faccia in giu’ su una barella e viene portata via. Le barelle sono ovunque, a centinaia. Fra quelle rimaste vuote si aggira con l’aria sperduta una donna robusta, di mezza eta’. Ha un gesto sconsolato: dovra’ cercare ancora, altrove.

Piu’ indietro, una barella con il corpo insanguinato di un bambino sui 12-13 anni, le mutandine rosse come i rivoli che gli corrono sulle gambe. Solleva una mano: e’ vivo. Poco oltre nel tempo e nello spazio, un altro corpicino cosi’ somigliante nella sua ferita nudita’ non potra’ fare altrettanto. Si intravede dietro di lui una lunga fila di portantine coperte da lenzuoli, finche’ una soldatessa, le guance rigate di lacrime proprie e di sangue non suo, allontana con un gesto rabbioso la telecamera.

Sono le immagini del caos dantesco della scuola maledetta, dove madri in lutto si sono trasformate in assassine di altri bimbi: due di queste hanno tentato fino all’ultimo di portare con se’, in un’unica esplosione, i bambini in fuga, inseguendoli fino all’esterno dell’edificio scolastico. Hanno fallito, e si sono spogliate dell’abito nero delle kamikaze per mimetizzarsi in quello bianco delle infermiere, inseguite da un elicottero.

Fra i cittadini di Beslan, facce scure. Spuntano i fucili, qualcuno affianca i soldati. Provocheranno piu’ problemi diquanto non diano aiuto, ma non si puo’ ragionare con la collerasorda che li anima. Altri si affollano ai lati del viale degliscampati, alla ricerca di visi noti. Una madre che tiene fra lebraccia un neonato inerte, forse addormentato, forse svenuto,vaga per qualche tempo senza meta, lo sguardo vuoto. Si accasciasu un prato, dove una mano caritatevole porge l’agognatabottiglia d’acqua. Per lei l’incubo dovrebbe essere al termine:ma l’espressione lo smentisce.

A lato della palestra del massacro, il cui tetto e’ sfondatocome le finestre, sono accovacciati pompieri e soccorritori. Davarie parti dell’edificio si alzano colonne di fumo, iltamburellare incessante degli spari indica che si combatteancora, metro per metro, dentro la scuola.

Passano i minuti, le ore, a tratti sembrano volare fra icolpi, le immagini strazianti, le voci che passano da gruppo agruppo, a tratti si cristallizzano in un attesa eterna. Introppi sono sempre senza risposte: un capannello di uomini siforma accanto ad alcuni ufficiali, prima per chiedere, poi peresigere informazioni. Molti passeranno le prossime ore in giroper gli ospedali, forse dovranno combattere con ottusi silenziburocratici per avere notizie dei congiunti.

Sul prato di fronte alla scuola qualcuno ha steso lenzuolabianche su due forme accasciate. Una e’ davvero piccola, davveroleggera per chi la carica sulla barella. E’ un bambino per ilquale a fiaba nera delle streghe di Beslan non avra’ piu’ fine.

 http://www.ansa.it/fdg02/...