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di Enrico Piovesana
16/09 storie e reportage, RUSSIA: Dopo la strage di Beslan, in Ossezia esplode l’odio verso ingusceti e ceceni, che invece a Grozny stanno donando sangue, giocattoli e libri ai piccoli sopravvissuti della scuola. Mentre vacilla la pista cecena per gli attentati ai due aerei russi e in Cecenia scatta la prevedibile rappresaglia del Cremlino
16 settembre 2004 - “Sono loro i terroristi della scuola di Beslan: ingusceti e ceceni! Noi siamo amici dei russi, non possiamo sopravvivere senza la Russia, e se loro ci abbandonano adesso, quelli là ci stermineranno”. A parlare è un anziano osseto, Artur Dzgoyev, 77 anni. Sono in molti in Ossezia del Nord a pensarla come lui dopo il massacro dei bambini della scuola. In questa repubblica russa soffia da giorni un preoccupante vento di odio nazionalista che sta facendo riaffiorare vecchi rancori mai sopiti tra la maggioranza osseta, cristiana ortodossa e filo-russa, e la minoranza caucasica degli ingusceti e dei ceceni, entrambi di stirpe veinakh e entrambi di religione islamica.
Il risentimento degli osseti verso i membri della comunità ingusceta e cecena esistente in Ossezia del Nord ha assunto toni feroci. La popolazione civile ha organizzato dei veri e propri pogrom contro i villaggi ingusceti del distretto di Prigorodny, dove dodici anni fa i combattimenti tra osseti e ingusceti causarono oltre ottocento morti. Nei giorni scorsi centinaia di giovani osseti armati di spranghe e bastoni hanno tentato di assaltare e dare alle fiamme le abitazioni inguscete. Solo l’intervento della polizia ha evitato il peggio. Incidenti ci sono stati lungo tutto il confine con l’Inguscezia e pure alla periferia della capitale Vladikavkaz, dove vivono molti ingusceti.
Ma ancor più preoccupante di queste violente reazioni popolari sono alcune decisioni prese dai locali amministratori pubblici. Gli studenti universitari di origine ingusceta e cecena che frequentano l’Università di Stato di Vladikavkaz, il giorno dopo la sanguinosa conclusione del sequestro di Beslan si sono visti impedire l’accesso alle aule universitarie da parte del preside, che ha chiesto loro di non frequentare più le lezioni. Un provvedimento, ha spiegato, preso per “tutelare la loro stessa incolumità”. Stessa spiegazione ufficiale dietro alla decisione delle autorità sanitarie ossete, che ieri hanno forzatamente dimesso dagli ospedali di tutto il te
rritorio la totalità dei pazienti ingusceti e ceceni. “Per garantire la loro stessa sicurezza”, hanno detto.
Chissà se in Ossezia del Nord è circolata la notizia delle manifestazioni di solidarietà alle vittime di Beslan fatte negli ultimi giorni dalla popolazione di Grozny, in Cecenia. L’8 settembre centinaia di persone hanno manifestato in Piazza Neftyanika scandendo slogan e mostrando cartelli di condanna al terrorismo e di solidarietà ai parenti delle vittime all’intera popolazione osseta. Fin dal giorno del massacro, centinaia di residenti della capitale cecena, soprattutto giovani, hanno fatto la fila alla clinica universitaria di Grozny per donare il proprio sangue a favore dei bambini feriti di Beslan. E gli alunni delle scuole della città stanno raccogliendo giocattoli e libri da mandare ai loro coetanei osseti sopravvissuti al massacro.
No, queste cose non verranno mai dette dai giornali e dalle televisioni ossete, tutte controllate dal Cremlino, che sull’odio anti-ceceno basa il suo consenso popolare e che ora sull’odio anti-inguisceto fa leva per distrarre l’attenzione della furiosa popolazione locale dalle responsabilità russe nella tragedia della scuola.
Come non verrà mai detto ai russi che molto probabilmente non sono state due terroriste suicide cecene a far esplodere i due aerei di linea lo scorso 24 agosto sui cieli di Mosca. Una, Amanat Nagayeva, di cui era stato trovato il passaporto tra i rottami degli aerei, è in realtà viva e vegeta e vende giocattoli a Rostov, sul Don. Il passaporto rinvenuto era un falso. Fatto e messo lì da chi? L’altra, Satsita Dzhebirkhanova, sembra non sia mai salita su quel Tupolev perché era stata arrestata pochi giorni prima a un chek-point russo al confine tra la Cecenia e l’Azerbaijan e da allora non se ne è saputo più nulla. Sorgono a questo punto legittimi dubbi anche sull’autenticità del passaporto di una presunta kamikaze cecena, rinvenuto sul luogo dell’attentato a una stazione della metropolitana di Mosca una settimana dopo.
Proprio in questi giorni ricorre il quinto anniversario della serie di tragici attentati agli appartamenti di Buinaksk, Mosca e Volgodonsk che, tra il 4 e il 16 settembre 1999 causarono la morte di oltre trecento persone. Dalle successive indagini emerse il pesante coinvolgimento dei servizi segreti russi (Fsb) , che quantomeno fornirono l’esplos
ivo, l’hexogen: lo stesso utilizzato per far saltare in aria i due Tupolev il mese scorso.
Intanto in Cecenia, come prevedibile, è scattata la rappresaglia militare russa: una serie di massicce ‘operazioni speciali’ di rastrellamento condotte a tappeto in tutti i villaggi, distretto per distretto. Il primo preso di mira è quello di Shali, una ventina di chilometri a sud-est di Grozny, alle pendici del Caucaso. In questa zona, considerata una roccaforte della guerriglia indipendentista, da quattro giorni l’esercito russo e le milizie cecene ‘unioniste’, con la copertura aerea dei caccia e degli elicotteri russi, stanno passando al setaccio tutti i villaggi, con il solito seguito di violenze e terrore contro la popolazione civile. Sembra che l’obiettivo sia addirittura la cattura dei due leader indipendentisti, l’ex presidente Aslan Maskhadov e l’integralista Shamil Basayev.