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Negli Usa decine di attivisti politici e pacifisti interrogati dall’anti-terrorismo
Intimidazione Il New York Times riferisce che decine di persone sono nel mirino del Fbi, in vista della Convention repubblicana. La American Civil Liberties Union: «Cancellano il diritto di parola»
di MA. FO.
Un giorno sei uomini si presentano a casa di Sarah Bardwell, 21 anni, a Denver in Colorado. Prima dicono che stanno facendo «lavoro sociale di comunità». Poi dicono che si tratta di «misure di prevenzione e indagine», e cominciano a fare domande a lei e alle persone che abitano con lei. Sarah Bardwell fa parte di un gruppo quacchero per la non violenza e ha partecipato a manifestazioni contro la guerra, mentre i signori che l’hanno tempestata di domande sono agenti del Fbi, per la precisione della «Task Force anti-terrorismo» (Jttf). E l’episodio di Denver è solo uno di decine di casi analoghi, scriveva ieri il New York Times: il Fbi ha cominciato a interrogare attivisti di gruppi politici, o contro la guerra. In alcuni casi gli interrogatori sono stati accompagnati da ingiunzioni legali a comparire davanti a un giurì.
L’articolo del quotidiano newyorkese ha suscitato un commento molto allarmato della American Civil Liberties Union: «L’intimidazione e gli interrogatori di pacifici dimostranti da parte del Fbi richiama lugubri memorie dei tempi di Edgar Hoover», ha detto ieri Anthony D. Romero, direttore esecutivo della Aclu. Secondo la più antica organizzazione americana per i diritti civili è inaccettabile che la «Task force antiterrorismo» sia usata per intimidire oppositori politici.
Eppure è proprio questo che emerge. Il giro di interrogatori è cominciato nelle settimane precedenti la Convention democratica a Boston; finora sono stati condotti in almeno sei stati e secondo la Aclu almeno una cinquantina di persone è stata visitata dagli agenti antiterrorismo del Fbi. Tutte avevano partecipato a manifestazioni e/o sono attive in gruppi politici o contro la guerra. La Aclu fa notare che è la tattica sanzionata dal Fbi in un memorandum dello scorso novembre, dove chiedeva ai dipartimenti di polizia locali di riferire «attività sospette» di attivisti politici e dimostranti contro la guerra. La Aclu aveva denunciato il memorandum, ma la cosa non ebbe seguito. Più tardi però un funzionario del Fbi aveva sollevato un’obiezione interna, dicendo che così si «annulla la differenza tra diritto di parola e attività illegali». A quell’obiezione aveva risposto il Dipartimento alla Giustizia, in un parere legale di 5 pagine destinato a restare interno e ripreso ieri sia dal New York Times che dalla Aclu: dice che il monitoraggio stabilito dal Fbi non viola il Primo emendamento (la libertà di parola), perlomeno lo minaccia in maniera irrilevante, mentre è assai più rilevante «il pubblico interesse di mantenere sicurezza e ordine durante manifestazioni su larga scala». L’obiettivo è evitare azioni violente durante la prossima convention repubblicana a New York, e poi durante i meeting della campagna elettorale e le stesse elezioni di novembre, dice un portavoce del Fbi a Washington al quotidiano newyorkese: «Il Fbi non vuole togliere a nessuno la libertà di parola, ma le attività criminali non sono coperte dal Primo emendamento».
Gli interrogatori sono girati sempre intorno alle stesse tre domande, riferisce la Aclu: hai in progetto di partecipare a qualche atto criminale durante le convention nazionali democratica o repubblicano, conosci qualcuno che sta progettando qualcosa, e sei consapevole che se sai qualcosa e non lo riferisci alle autorità commetti un reato? Spesso sono stati interrogati anche i genitori o conoscenti di attivisti presi di mira: come nel caso di tre ragazzi di St Louis, Missouri, a cui è stata notificata un’ingiunzione a presentarsi per un interrogatorio proprio il giorno in cui stavano andando a Boston per manifestare alla Convention democratica (trasferta annullata). I ragazzi si sono resi conto che l’Fbi li stava puntando quando, giorni prima, gli agenti aveva fatto domande pressanti ai rispettivi genitori sulle attività dei figli, poi avevano cominciato a seguirli. Ora i ragazzi sono terrorizzati, dice Denise Lieberman, direttrice legale della Aclu nel Missouri orientale: «Gli interrogatori del Fbi hanno avuto un effetto raggelante sulla libertà di parola».
La Aclu mette insieme altri fatti. Ricorda il caso di Denver, dove l’anno scorso la polizia ha dovuto accettare di smettere la pratica di monitorare e schedare i partecipanti a pacifiche proteste: aveva accumulato schede su 3.000 individui e 200 gruppi. Ha smesso solo dopo un ricorso legale noto come il caso «spy files», schedature spia. C’è poi il caso Peace Fresno, gruppo contro la guerra dell’omonima città californiana: il gruppo ha scoperto che l’ufficio dello sheriffo della contea di Fresno aveva infiltrato un suo agente, e lo ha scoperto dagli annunci mortuari quando l’uomo ha avuto un incidente di moto: è un episodio reso famoso dal film Farenheit 9/11 di Michael Moore.
«E’ allarmante che l’Fbi continui a spiare i pacifici dimostranti», ha commentato ieri Anthony Romero, «e poi anche i dissidenti che compiono azioni di disobbidienza civile o azioni che turbano l’ordine non possono essere trattati da potenziali terroristi».