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Oronzo Doria, generale: tutto legale a Bolzaneto

Publie le venerdì 23 gennaio 2004 par Open-Publishing

Genova. Oronzo Doria, generale.

«Un soldato», dice di sé. In servizio a Roma, al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
Doria è nella lista degli ultimi indagati della magistratura
genovese per le violenze nella caserma-carcere di Bolzaneto.

Era stato sentito dai magistrati del pool inquirente quando ormai l’inchiesta stava per
concludersi, scivolando
verso un epilogo deludente e risicato.
Generale, contro di lei parlano proprio gli agenti della penitenziaria. E il suo nome emerge, dopo
quasi tre anni, nel nòvero degli indagati...
«Una circostanza che mi inquieta. Io non ho la scorta. Io sono in apprensione per me e per la mia
famiglia, da quando il mio nome è uscito sui giornali e collegato alle vicende di Bolzaneto».

Una sorpresa?

«Diciamo che le cose sono andate in maniera strana. Scriva, scriva pure: è davvero inusuale che
una persona già sentita tre volte come teste, come “informata dei fatti”, dopo tanto tempo sia
richiamata come indagato».

Sono evidentemente emersi fatti nuovi...

«Io so solo di accuse che mi sembrano generiche e fotocopiate. Che non investono mie precise
responsabilità,
ma quelle complessive della catena di comando».

Un esempio, allora. Qualcuno tra gli agenti interrogati sostiene che sia stato proprio lei, quando
sono stati segnalati abusi e distorsioni, a consigliargli qualcosa del tipo: “impara a farti i
c... tuoi”.

«Io voglio vedere in faccia chi può affermare una cosa del genere. Spero che venga il processo,
sono pronto a
confrontarmi con chi sparla di me.
Voglio vedere se sarà in grado di ribadire quelle accuse infondate».
Com’era Bolzaneto in quei giorni del luglio 2001?

«Una struttura attrezzata per ricevere i detenuti. Con un piazzale d’ingresso, delle stanze per
ospitare gli
arrestati. Vari uffici. I nostri compiti, quelli della traduzione, erano limitati a un ambito ben
ristretto: dall’ufficio matricola alle “celle”. Questo per legge.
Questi sono gli incarichi che ci spettano...»

Proprio qui sta il punto. C’è chi sostiene che gli agenti delle traduzioni abbiano in realtà
travalicato i loro limiti, sia d’incarico, sia di movimento, spostandosi per la caserma e commettendo
violenze.

«A me non risulta che questo sia accaduto».

Neppure ricorda che qualcuno dei suoi uomini l’abbia avvertita che alcuni agenti si stavano
comportando
“da esaltati”, come sarebbe stato riferito alla procura in recenti interrogatori?

«No, non ricordo nemmeno questo frangente. Non mi consta assolutamente che a Bolzaneto ci sia
stata una violazione della legalità».

Valutando il suo operato, si sente sereno?

«Ho letto i giornali, negli ultimi giorni. Vedo che in molte occasioni sono stato definito come il

“braccio destro” di Alfonso Sabella. Non è così: io avevo una posizione subordinata, ma non ero il

“braccio destro” di nessuno.

Io sono un soldato, io mi sono comportato correttamente, non ho scrupoli né rimorsi. Non ho nulla,
ripeto, nulla, da rimproverarmi in quei giorni del 2001».

Eppure dopo tre anni si ritrova indagato, dopo le rivelazioni di alcuni “pentiti”...

«E già mi sembra tutto da capire, perché ci siano persone che decidono di parlare dopo tre anni e
di modificare
quel che avevano detto in precedenza...».

Perché avrebbero parlato di lei?

«Io posso dire una cosa. L’ambiente carcerario è strano, molto strano. Aspetto solo che la
tempesta sia passata.
Poi potrò raccontare molte cose».

dal secolo xix M. Men.